UN ANNO DI PONTIFICATO DI BENEDETTO XVI

NEL SEGNO DELL’AMORE

 

In una lettura di sintesi dei discorsi di Benedetto XVI in questo primo anno di pontificato si possono cogliere le grandi linee destinate a guidare la sua missione apostolica. Punto di riferimento è la fedeltà al concilio, mentre la luce che tutto illumina è l’amore, ben descritto nella sua prima enciclica Deus caritas est.

 

È stata senza dubbio un’idea quanto mai felice quella dell’Osservatore Romano di offrire ai propri lettori un arioso supplemento al n. del 18-19 aprile, con un’articolata silloge del magistero di Benedetto XVI, a un anno della sua elezione. Assediati come siamo ogni giorno da una congerie inestricabile di notizie che giungono da ogni parte del mondo e quasi impossibilitati a fermarsi a cogliere ciò che è essenziale, anche la parola del papa rischia di scivolare via inosservata o di meritare al massimo uno sguardo affrettato e per questo frammentario e superficiale. Si perde così tutta una ricchezza di insegnamenti che, se ascoltati e assecondati, ci aiuterebbero a sentirci maggiormente Chiesa e a vivere in sintonia con le sue ansie, i suoi problemi e a respirare al ritmo della sua missione nel mondo.

 

UNO STILE

DI UMILTÀ

 

Ripercorrendo le pagine proposte dal giornale vaticano ci si rende conto della grande ricchezza di insegnamenti e di stimoli che questo papa, in un solo anno di pontificato, ha saputo offrirci, a partire dal giorno della sua elezione, il 19 aprile 2005.

Risuonano ancora all’orecchio, come fosse ieri, le prime parole pronunciate dalla Loggia delle benedizioni in cui si è definito, quasi a indicare uno stile – il suo stile di pontificato – «un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Consapevole che la missione di essere pescatore di uomini al seguito di Cristo può spesso apparire faticosa – non dimentichiamo anche la sua non più giovane età – parlando il 24 aprile successivo, ha precisato che servire questa missione «è bello e grande, perché in definitiva è un servizio alla gioia, alla gioia di Dio che vuol fare il suo ingresso nel mondo».

Ha spiegato anche la ragione del nome scelto, Benedetto XVI: sia per riallacciarsi idealmente a Benedetto XV e sulle sue orme porre il proprio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, sia perché questo nome evoca la straordinaria figura del grande patriarca del monachesimo occidentale, Benedetto da Norcia, e chiedere a lui, – il cui motto come sappiamo è “nulla anteporre all’amore di Dio” – di tenere ferma la centralità di Cristo in tutto il suo servizio apostolico.

Un nome quindi che è un programma e insieme un mandato che non ha niente a che vedere con il potere, ma che è un servizio: un servizio non qualsiasi, ma con un punto ben preciso di riferimento: il concilio Vaticano II, nella continuità con il suo predecessore Giovanni Paolo II. È stata questa una indicazione che ha voluto mettere subito in evidenza, quasi a fugare ogni indebita aspettativa o arbitraria interpretazione: «Nell’accingermi al servizio, ha detto nella messa celebrata nella Cappella Sistina il 20 aprile 2005, voglio affermare con forza la decisa volontà di proseguire nell’impegno di attuazione del concilio Vaticano II, sulla scia dei miei predecessori e in fedele continuità con la bimillenaria tradizione della Chiesa».

Ritornando su questo argomento, il 22 dicembre 2005, nel discorso alla curia romana nell’imminenza delle feste natalizie, ha precisato: «In vaste parti della Chiesa, la recezione del concilio si è svolta in modo piuttosto difficile… Due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato e porta frutti. Da una parte esiste una interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”… Dall’altra parte c’è l’ “ermeneutica della riforma”… Possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il necessario rinnovamento della Chiesa».

 

L’ECUMENISMO

UNA PRIORITÀ

 

Ai vertici di questa fedeltà al concilio ha posto delle priorità, e tra queste, come già Giovanni Paolo II, il “dovere” di promuovere la causa dell’ecumenismo «senza risparmio di energie» per giungere «alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo». Ha definito questo impegno una sua “ambizione”, un suo “impellente dovere” (20 aprile 2005). Questa unità, ha precisato, è di importanza vitale anche per l’Europa, continente che ha bisogno di riscoprire le sue radici cristiane, dando spazio ai valori etici che fanno parte della suo vasto e consolidato patrimonio spirituale.

Non si tratta però di un’unità a tutti i costi. Essa deve fondarsi sul dialogo, che, a sua volta, «può svilupparsi in un contesto di sincera e coerente spiritualità». Al di là degli incontri e della ricerca a livello di studio e di commissioni, grande importanza dovrà essere attribuita all’ecumenismo spirituale, nella convinzione che «la preghiera, la conversione e la santificazione della vita costituiscono il cuore dell’incontro ecumenico». Anzi, ha precisato, «si potrebbe anche dire: la forma migliore di ecumenismo consiste nel vivere secondo il Vangelo» (19 agosto 2005, ai rappresentanti di altre chiese e comunità ecclesiali a Colonia).

Un dialogo a tutto campo: non solo con le chiese cristiane, ma anche con le altre religioni e, in senso ancora più ampio, con tutta la famiglia umana per favorire la riconciliazione e la pace tra i popoli e far cessare la violenza. È un tema questo sul quale ha attirato spesso l’attenzione a iniziare dal primo discorso del 20 aprile 2005 nella Cappella Sistina: «Mi rivolgo a tutti, aveva detto in quella circostanza, anche a coloro che seguono altre religioni o che semplicemente cercano una risposta alle domande fondamentali dell’esistenza e ancora non l’hanno trovata. A tutti mi rivolgo con semplicità e affetto per assicurare che la Chiesa vuole continuare a tessere con loro un dialogo aperto e sincero, alla ricerca del vero bene dell’uomo e della società».

Di questo bene fa parte in particolare la pace, «questa grande aspirazione del cuore di ogni uomo e di ogni donna (che) si edifica giorno dopo giorno con l’apporto di tutti» (1 gennaio 2006, Giornata mondiale della pace). Purtroppo, ha sottolineato, «la verità della pace continua a essere compromessa e negata, in modo drammatico, dal terrorismo, con le sue minacce e i suoi atti criminali… Tali disegni risultano essere ispirati da un nichilismo tragico e sconvolgente… Il nichilismo e il fondamentalismo si trovano accumunati da un pericoloso disprezzo per l’uomo e per la sua vita e, in ultima analisi, per Dio stesso» (messaggio per la Giornata mondiale della pace).

«Il dialogo, ha dichiarato il 4 novembre 2005, nel messaggio per la II Conferenza internazionale sulla pace e la tolleranza, è chiaramente indispensabile se si vogliono trovare soluzioni ai dannosi conflitti e alle tensioni che tanto male fanno alla società. Solo attraverso il dialogo può esservi speranza che il mondo diventi un luogo di pace e di fratellanza». Di qui la ferma condanna di ogni forma di discriminazione e di antisemitismo: «Tutti gli uomini hanno la stessa dignità, a qualunque popolo, cultura o religione appartengono… Oggi purtroppo emergono nuovamente segni di antisemitismo e si manifestano varie forme di ostilità generalizzata verso gli stranieri Come non vedere in ciò un motivo di preoccupazione e di vigilanza? La Chiesa cattolica si impegna – lo riaffermo anche in questa circostanza – per la tolleranza, il rispetto, l’amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni» (19 agosto, alla comunità ebraica nella sinagoga di Colonia).

Questo dialogo, in senso ancora più vasto, dovrà allargarsi ulteriormente e abbracciare il campo della cultura e della scienza allo scopo di costruire insieme un «nuovo umanesimo». «Oggi, ha detto il 17 febbraio 2006, nel discorso al collegio degli scrittori della rivista Civiltà cattolica, va sempre più affermandosi una cultura caratterizzata dal relativismo individualista e dallo scientismo positivista; una cultura quindi tendenzialmente chiusa a Dio e alla sua legge morale, anche se non sempre pregiudizialmente avversa al cristianesimo. È grande perciò lo sforzo che i cattolici sono chiamati a compiere per sviluppare il dialogo con la cultura e aprirla ai valori perenni della trascendenza…». Un compito questo che il papa affida soprattutto alle università cattoliche, ossia quello di «fare scienza nell’orizzonte di una razionalità vera, diversa da quella oggi ampiamente dominante, secondo una ragione aperta alla questione della verità e ai grandi valori iscritti nell’essere stesso, aperta quindi al trascendente, a Dio» (25 nov. 2005, visita alla sede romana dell’Università cattolica S. Cuore).

 

IN DIFESA

DEI GRANDI VALORI

 

Tra questi grandi valori, ha precisato, «oggi emergono particolarmente i seguenti: tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale; riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio…; tutela del diritto dei genitori di educare i figli» (30 marzo, discorso ai partecipanti al Congresso del partito popolare europeo). In particolare per quanto riguarda il matrimonio, oggi sottoposto a una vera e propria aggressione, ha sottolineato: «È un grave errore oscurare il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio, attribuendo ad altre forme di unione impropri riconoscimenti giuridici, dei quali non vi è, in realtà, alcuna effettiva esigenza sociale».

Ma «uguale attenzione e impegno richiede la tutela della vita umana nascente…». Inoltre, «in una società che invecchia diventano poi sempre più rilevanti l’assistenza agli anziani e tutte le complesse problematiche attinenti alla cura della salute dei cittadini» (12 gennaio 2006, agli amministratori regionali, provinciali e comunali del Lazio e di Roma).

Sul tema della famiglia e del matrimonio è intervenuto in varie altre circostanze, a sottolineare quanto il problema gli stia a cuore: il 17 maggio 2005, nella lettera al card. López Trujillo in vista del V Incontro mondiale delle famiglie; il 6 giugno 2005 nel discorso all’apertura del convegno ecclesiale diocesano di Roma; il 24 giugno 2005, nella visita ufficiale al presidente della repubblica italiana; il 3 dicembre 2005, rivolgendosi ai presidenti delle Commissioni episcopali famiglia e vita dell’America latina.

In questo orizzonte della famiglia, della difesa della vita e della dignità umana rientra anche il suo “no” alla cultura ampiamente dominante della morte e che egli definisce «un’anticultura che si manifesta, per esempio, nella droga, nella fuga dal reale verso l’illusorio, verso una felicità falsa…; che si esprime in una sessualità che diventa puro divertimento senza responsabilità, che diventa una “cosificazione” – per così dire – dell’uomo… A questa “anticultura” diciamo “no”, per coltivare la cultura della vita. Per questo il “sì” cristiano dai tempi antichi fino a oggi, è un grande “sì” alla vita” ( 8 gennaio 2006, celebrazione del sacramento del battesimo nella Cappella Sistina).

Un’area molto ampia del suo magistero ha riguardato anche la difesa dei diritti umani e l’impegno a favore dei poveri, malati e bisognosi: «La Chiesa non cessa di proclamare e di difendere i diritti umani fondamentali, purtroppo ancora violati in diverse parti della terra, e opera affinché vengano riconosciuti i diritti di ogni persona umana alla vita, alla nutrizione, o a un tetto, al lavoro, all’assistenza sanitaria, alla tutela della famiglia e alla promozione dello sviluppo sociale, nel rispetto della dignità dell’uomo e della donna creati a immagine di Dio» (12 maggio 2005, discorso al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede). E ancora: «Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo “sguardo” di Cristo» (29 settembre 2005, messaggio per la quaresima 2006). Da parte sua, ha sostenuto, «la Chiesa intende chinarsi con particolare sollecitudine sui sofferenti, richiamando l’attenzione della pubblica opinione sui problemi connessi col disagio mentale, che colpisce ormai un quinto dell’umanità e costituisce una vera e propria emergenza socio-sanitaria… Ogni cristiano, secondo il proprio compito e la propria responsabilità, è chiamato a dare il suo apporto affinché venga riconosciuta, rispettata e promossa la dignità di questi nostri fratelli e sorelle» (8 dicembre 2005, messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato).

Altre importanti attenzioni presenti nei suoi discorsi riguardano il significato dell’Eucaristia nella vita della Chiesa e del cristiano, il sacerdozio ministeriale e i religiosi (cf. fuoritesto).

Tutto questo magistero ha trovato la sua sintesi e rinnovato slancio nell’enciclica Deus caritas est, emanata il 25 dicembre, in coincidenza con la solennità del Natale. Come egli ha scritto, la chiave interpretativa dell’essenza stessa della Chiesa e della sua missione nel mondo non può infatti essere che questa: l’amore ad esso è anche il centro di tutta la vita cristiana.

Un anno, quindi, quello di Benedetto XVI vissuto nella luce della grande verità Deus caritas est, Dio è amore. Ed è su questo fondamento su cui poggia tutta intera la fede della Chiesa, che egli intende costruire il suo pontificato.

 

A.D.