RILEGGENDO L’ENCICLICA DI BENEDETTO XVI
ASPETTO SOCIALE DELLA CARITÀ
Incontrare
Dio-Amore rivela l’uomo a se stesso e gli consente una più acuta intelligenza
della sua responsabilità nella storia. L’enciclica di papa Benedetto XVI, Deus
caritas est, afferma che la carità stimola il progresso della giustizia, in
quanto essa riesce a intuire i bisogni nuovi dell’uomo e della società, fin dal
loro sorgere.
La Deus caritas est (DC) può considerarsi anche un’enciclica
sociale? Certamente per papa Benedetto XVI è un documento unitario, in cui la
prima parte sull’essenza dell’amore è strettamente collegata alla seconda sulla
carità ecclesiale (cf. Osservatore Romano 23-24/1/06, 5).
Anche gli spiriti più lontani dalla fede, e che forse si
aspettavano un testo di battaglia anti-secolare, non hanno nascosto la sorpresa
per un’argomentazione razionale dialogante in cui si prendono in esame le
ragioni dello spirito e quelle della materia (unità nella distinzione). Il
cardinale R. Martino (presidente del pontificio Consiglio giustizia e pace), in
sede di presentazione, ha constatato che si tratta di un testo programmatico:
«Ricordando che Dio è carità, il santo padre invita tutti ad andare al centro
della fede cristiana: all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione
etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona,
che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».
PURIFICAZIONE
DELLA GIUSTIZIA
Secondo Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio
internazionale cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa, la
DC è senz’altro da considerarsi
enciclica sociale, «perché affronta i problemi sociali di oggi dal punto di
vista della Chiesa di sempre: la carità, che come virtù teologale emana dalla
vita stessa della Trinità e come virtù umana è la prima condizione perché gli
uomini continuino a stare assieme. La nuova enciclica non elude il problema
della giustizia. Questa non può essere sostituita dalla carità, perché la
grazia non toglie la natura e la fede non elimina la ragione. La giustizia,
dice il papa, è frutto della “ragion pratica”, richiede il rispetto delle esigenze
della natura umana e quindi il rispetto dei diritti e dei doveri dell’uomo. Su
essa si fonda la giusta politica, cui spetta appunto di costruire la giustizia,
senza della quale lo stato non è che una “banda di ladri” come diceva
sant’Agostino. Ma la ragione, pur se autonoma, cade facilmente preda delle
ideologie e delle distorsioni della giustizia dovute agli egoismi umani. Così
la giustizia, che la ragione fonda e illumina, e la politica, che la giustizia
concretamente realizza, hanno intrinsecamente bisogno di essere “purificate”
dalla fede».
Normalmente si pensa prima la giustizia e poi la carità: si
pensa cioè che se la giustizia facesse bene il proprio lavoro non ci sarebbe
bisogno della carità (DC 26). Per evitare di ricadere in messianismi materialisti
il papa dichiara invece che è la carità a rendere possibile la stessa
giustizia. Non solo perché i poveri li avremo sempre con noi («non c’è nessun
ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio
dell’amore»), ma soprattutto perché la carità “purifica” la giustizia, così
come la fede purifica la ragione. Questo il concetto centrale dei paragrafi più
direttamente dedicati al rapporto tra giustizia e carità.
Su questo compito di “purificazione” si fonda la dottrina
sociale della Chiesa, che quindi si colloca nella sua missione di diakonia nel
mondo. La carità non arriva insomma solo quando la giustizia ha fatto il suo
corso, ma la aiuta a essere se stessa. La dottrina sociale della Chiesa,
quindi, «non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo stato. Neppure vuole
imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di
comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla
purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è
giusto possa, qui e ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato» (28).
In questo processo di purificazione occorre chiarire che la
giustizia è la misura minima della carità (Paolo VI, Discorso ai campesinos,
Bogotá 1968). L’osservanza formale delle regole non basta: si ha vera
giustizia, quando il riconoscimento dei mutui diritti e doveri è integrato
dalla carità. Essa pertanto vivifica la giustizia stessa con elementi di
gratuità e di rapporto interpersonale (contro burocratismo, anonimato e legalismo)
e ne stimola il progresso, riuscendo a intuire i bisogni nuovi dell’uomo e
della società, fin dal loro sorgere. La carità anima la giustizia, ma nello
stesso tempo la trascende.
ILLUMINAZIONE
DELLA COSCIENZA
Perciò il cardinale C. Caffarra afferma, a commento
dell’enciclica, che «nella sintesi, vissuta dalle persone, di eros e agape
risiede la forza costruttiva della società umana. Per questo motivo i cristiani
sono chiamati a esserne luce e lievito. Gli uomini costruiscono il sociale
creando strutture di vario tipo: politiche, giuridiche, economiche ecc. La
Chiesa non deve sostituire una società a un’altra. Ha il compito di “animarla”
(in senso etimologico-reale), personalizzandola: trasformando la società di
individui in società di persone». il prossimo da amare si presenta “in
società”, così che sovvenire al suo bisogno può voler dire qualcosa di diverso
dal bene sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano sociale
significa avvalersi delle mediazioni sociali per migliorare la sua vita oppure
rimuovere i fattori sociali che causano la sua indigenza. Ecco perché una
politica a misura d’uomo esige di essere integrata dalla carità sociale, in
particolare verso le fasce più deboli.
La seconda sezione dell’enciclica muove dall’unità alla
molteplicità: Caritas – l’esercizio dell’amore da parte della Chiesa quale
“comunità d’amore” (nn. 19-39). Tale unità è rappresentata dalla Chiesa delle
origini che è insieme, si dice nel n. 20, comunità spirituale e materiale,
comunità di uomini uguali. L’elemento della “comunione” (koinonia) consiste
appunto nel fatto che i credenti hanno tutto in comune e che, in mezzo a loro,
la differenza tra ricchi e poveri non sussiste più. Tale comunione iniziale si
scinde successivamente per effetto delle differenze presenti nella società
stessa, fino ai nostri giorni. «Il sorgere dell’industria moderna ha dissolto
le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un
cambiamento radicale nella composizione della società, all’interno della quale
il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva – una
questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di
produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di
pochi, comportava per le masse lavoratrici una privazione di diritti contro la
quale bisognava ribellarsi» (26). Si ammette che i rappresentanti della Chiesa
hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della
società si poneva in modo nuovo (27). Subito dopo Benedetto XVI afferma che
solo a far tempo dalla Rerum novarum è cominciato nella Chiesa un movimento di
piena consapevolezza terminato nel Compendio della dottrina sociale della
Chiesa (2004).
Si mette così in guardia la Chiesa del nuovo millennio circa
il rischio di apparire come comunità religiosa di un mondo privilegiato e sordo
di fronte al crescere della disuguaglianza sociale (notiamo la singolare
coincidenza: l’enciclica è uscita mentre si svolgeva l’appuntamento annuale del
World Economic Forum!). In una situazione in cui cresce la consapevolezza della
disuguaglianza per effetto dell’informazione globale, si dice che l’azione
caritatevole è un compito a cui la Chiesa stessa è chiamata con le sue
strutture fondamentali (in particolare i vescovi), e non solo attraverso i
singoli movimenti o gli ordini religiosi, che pure svolgono un ruolo meritorio.
Viene qui svolto un ragionamento intorno alla necessità che
la carità ecclesiale si rivolga a tutti, cattolici e non cattolici, e che non
deve essere operata a fine di proselitismo, ma si rivendica anche la necessità
per la Chiesa di essere una comunità che opera al suo interno contro le
disuguaglianze. Infine si ribadisce come la comunità ecclesiale non possa in
ogni caso risolversi nella sola carità, ma debba accompagnare questa con il
culto e la preghiera (unione di carità, Parola e sacramento, di spirituale e
materiale). In definitiva con questo testo la Chiesa intende occupare il suo
posto nella società europea, in modo dialogante con le altre parti sociali, e
rivendica il suo diritto di esserne parte, non soltanto come insieme di
singoli, ma anche come comunità.
Con questo spirito i fedeli laici sono chiamati a
partecipare in prima persona alla vita pubblica (29), configurando la vita
sociale nel rispetto della sua autonomia e in collaborazione con gli altri
cittadini. Non possono lasciare che la fede sia ridotta all’ambito privato, né
che le sue manifestazioni siano confinate all’interno del tempio, ma devono
operare per plasmare la società civile allo spirito del Vangelo. Questa
attività politica dei fedeli laici, individualmente o in modo associato, deve
distinguersi dalle attività caritative ufficiali della Chiesa. La Chiesa
(insieme istituzione e popolo di Dio) contribuisce alla vita della comunità
politica proprio illuminando le coscienze, attraverso la «carità sociale»,
intesa sia come servizio, sia come spiritualità.
L’impegno socio-politico va vissuto non come una
“professione”, ma come vocazione. Scrive Benedetto XVI: «Quanto più uno
s’adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo:
“Siamo servi inutili” (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base
a una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene
fa dono» (35). La coscienza di essere servi mantiene umili. Per questo «è
venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte
all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel
lavoro caritativo» (37). La Chiesa in definitiva non ha bisogno di trasformarsi
in partito o in sindacato per dare il proprio apporto di liberazione alla
società, deve solo seguire la propria missione religiosa. Lo stato deve
concedere alla Chiesa e alle altre forze spirituali della società, questa
libertà. Il rispetto della libertà religiosa diventa dovere e interesse politico,
e la rivendicazione della libertà religiosa diventa assunzione di responsabilità
per il bene comune.
Mario Chiaro