NEL CAMMINO

VERSO LA PASQUA

 

Dopo la morte e la risurrezione di Gesù la nostra vita non può più essere “normale”, ma deve lasciarsi sconvolgere per avviarsi verso

i tempi nuovi del Regno.

 

Nella domenica delle Palme, la realtà di cui si tratta è il nostro coinvolgimento con il regno di Dio, è la nostra responsabilità verso di esso. Cristo non entra più in Gerusalemme, l’ha fatto una volta per tutte.

Lunedì, martedì e mercoledì, poi, questi tre giorni che la Chiesa chiama grandi e santi, hanno, all’interno dello sviluppo liturgico della settimana santa, uno scopo ben definito. Essi situano tutte le sue celebrazioni nella prospettiva della Fine, ci ricordano il senso escatologico della Pasqua.

Assai spesso la settimana santa è considerata come una “bella tradizione”, una “usanza”, una data importante del calendario. Lo prendiamo per scontato e ce ne rallegriamo come per una cara ricorrenza annuale “osservata” fin dall’infanzia, ammiriamo la bellezza degli uffici, il fasto dei suoi riti e, ultima cosa ma non di minore importanza, ci piace l’affaccendarsi intorno alla tavola pasquale...

Poi, una volta che tutto questo è finito, riprendiamo la nostra vita normale.

Ma siamo coscienti che da quando il mondo ha rigettato il suo Salvatore, da quando Gesù è stato triste e abbattuto, la sua anima triste fino alla morte, ed egli è morto sulla croce, la “vita normale” è giunta alla sua fine e non è più possibile?

Erano pur degli uomini “normali” che gridavano “Crocifiggilo!”, degli uomini “normali” che hanno sputato su di lui e l’hanno inchiodato alla croce. Se questi l’hanno odiato e ucciso, è proprio perché egli è venuto a sconvolgere e a turbare la loro vita normale.

Era pur un mondo perfettamente “normale” quello che ha preferito le tenebre e la morte alla luce e alla vita.

Con la morte di Gesù, il mondo “normale” e la vita “normale” sono stati irrevocabilmente condannati. O, più esattamente, essi hanno rivelato la loro natura vera e anormale, la loro incapacità di accogliere la Luce, il potere terribile che il male esercita su di loro.

«Ora è il giudizio di questo mondo» (Gv 12,31). La Pasqua di Gesù significa la sua fine «a questo mondo» (Gv 12,31) e, al contempo, che esso è, da allora, alla sua fine.

Questa fine può durare centinaia di secoli, ma ciò non altera affatto la natura del tempo in cui noi viviamo come «gli ultimi tempi».

«Passa la scena di questo mondo» (1 Cor 7,31).

Pasqua significa passaggio. Per gli ebrei questa festa è la commemorazione annuale di tutta la loro storia come salvezza, ed è la salvezza come passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla liberta, dall’esilio alla terra promessa, prefigurazione dell’ultimo passaggio, quello che conduce al regno di Dio.

Cristo è stato il compimento della Pasqua. Egli ha compiuto l’ultimo passaggio, quello dalla morte alla vita, da questo vecchio mondo al mondo nuovo, ai tempi nuovi del Regno.

Egli ha reso possibile per noi questo passaggio. Vivendo in questo mondo noi possiamo già non essere di questo mondo, cioè liberi dalla schiavitù della morte e del peccato e partecipi del mondo futuro.

Ma per questo dobbiamo compiere il nostro personale passaggio, condannare in noi il vecchio Adamo, rivestirci di Cristo nella morte del battesimo e avere la nostra vera vita nascosta con Cristo in Dio, nel mondo futuro.

Pasqua non è dunque più una ricorrenza annuale, bella e solenne di un evento passato. È l’evento stesso manifestato, dato a noi, evento sempre efficace, che rivela che il nostro mondo, il nostro tempo e la nostra vita sono alla loro fine e che annuncia l’inizio della vita nuova.

Il ruolo dei primi tre giorni della settimana santa è proprio quello di metterci di fronte al senso ultimo, definitivo della Pasqua, di prepararci a comprenderla in tutta la sua ampiezza. Tale orientamento escatologico, cioè ultimo, decisivo e finale, è ben sottolineato nella liturgia ortodossa dal tropario comune a questi tre giorni: «Ecco lo Sposo viene nel mezzo della notte: beato quel servo che troverà vigilante».

 

Alexander Schmemann

da Il mistero pasquale, Lipa edizioni, Roma 2003.