TESTIMONIANZA DI MONS. FRANCESCHINI DI SMIRNE

LA CHIESA  OGGI IN TURCHIA

 

Il nostro programma è prima di tutto organizzare una presenza significativa: una Chiesa semplice, anche se non numerosa, ma viva e consapevole, una comunità di presenza e di testimonianza, che superi la paura e la stanchezza, originate dalla piccolezza del gruppo.

 

Dopo l’uccisione di don Andrea Santoro, c’è stato un risveglio di interesse verso la situazione della Chiesa in Turchia. Ce la descrive ora in questo articolo mons. Ruggero Franceschini, vescovo di Smirne.

La storia della presenza della Chiesa in Turchia è una storia lunga: un’alternarsi di momenti meravigliosi (la stupenda fioritura ad Antiochia, le figure dominanti di Pietro e di Paolo di Tarso, la diffusione del Vangelo in tutta l’Asia Minore, con una presenza meravigliosa intorno all’antica Efeso, con Maria e Giovanni, e successivamente con Paolo, Luca e Timoteo, e la significativa diffusione nelle Chiese dell’Apocalisse).

Parallelamente alla grande crescita del cristianesimo, si assiste a una forte persecuzione da parte dell’impero romano, soprattutto nei primi secoli.

Con l’avvento del musulmanesimo (622), continua la lotta contro il cristianesimo, mentre si assiste alla fioritura del monachesimo, in Egitto, già dai secoli precedenti, e successivamente in Cappadocia; si assiste pure alla nascita di comunità numerose che sopravvivono all’ondata barbarica per la conquista da parte degli arabi dell’Asia minore, dell’Africa del nord e della Spagna.

Nei secoli XII, XIII, XIV, e metà del XV secolo, l’Asia minore è invasa dai turchi, mentre altre tribù invadono l’Africa settentrionale, la Spagna e la Francia.

Con la caduta dell’impero romano d’oriente (1453), la vita della Chiesa, sotto i sultani turchi, solidamente insediati al vertice dell’impero turco-ottomano, incontra difficoltà profonde, ma anche stima per le opere che fioriscono intorno alle Chiese e alle comunità cristiane (scuole, collegi, convitti, case di riposo, ospedali…).

 

UN DECLINO

INARRESTABILE

 

Con l’avvento della repubblica (1922), e la proclamazione ufficiale della laicità dello stato, la Chiesa non è più riconosciuta come ente morale, ma solo come singole persone fisiche.

Incomincia così il declino della Chiesa e delle chiese, venendo meno la possibilità di essere riconosciuta, e quindi di compiere diverse attività proprie soltanto dello stato, come l’istruzione e l’educazione, la cura degli ammalati…

Le scuole, e i luoghi di assistenza, come ospedali e case di riposo, si riducono a pochissime. Rimangono soltanto gli enti intitolati ai cittadini turchi, o gli enti la cui proprietà è stata riconosciuta anche dalla repubblica.

I cristiani, numerosissimi soprattutto all’est, ma anche nelle grandi città (Istanbul, Smirne, Adana…), o emigrano, o vivono la propria fede sempre meno apertamente, e soltanto all’interno delle proprie chiese.

Difficoltà minori hanno le chiese di rito orientale (ortodossa, armena, siro-cattolica e siro-ortodossa, caldea, bizantina), in quanto i membri della sola repubblica turca, sopravvissuta alla caduta dell’impero, essendo cittadini turchi, possono organizzarsi in associazioni e fondazioni, controllate dallo stato.

Attualmente, la presenza cattolica cristiana in Turchia è ridotta allo 0,1%, (0,2% se si contano gli immigrati), mentre quella ortodossa, nei suoi diversi riti, soprattutto armena, rimane abbastanza numerosa (70/80.000).

I cattolici di rito latino sono circa 25/30.000, suddivisi in tre diocesi.

Dopo avere premesso questo, ci domandiamo che significato possa avere la nostra presenza in Turchia, dato che è vietata qualsiasi forma di catechesi o di culto, se non all’interno delle chiese.

La missione in Turchia, è una missione prima di tutto a favore di quanti lavorano o fanno capo a queste Chiese.

 

UNA CHIESA

PICCOLA MA VIVA

 

I cristiani, e soprattutto i sacerdoti, i religiosi e le religiose, sono qui per ritrovare se stessi, nella preghiera, nell’accoglienza, nella semplicità e povertà di vita; per rivivere una profonda conversione che accoglie il dono della fede con gioia, e la presenza di Dio nella propria vita.

Si tratta di una chiesa povera e bisognosa di aiuto, in tutti i sensi: bisognosa di personale e di sostegno per le diverse attività di assistenza che essa ancora compie.

Questa Chiesa, piccola ma viva, offre un prezioso servizio alla Chiesa universale, pellegrina in questi luoghi santi, per ritrovare la freschezza della propria fede; accoglie i pellegrini, aiutandoli a riscoprire le ricchezze della prima chiesa; custodisce memorie irrinunciabili (la casa di Maria, la memoria di Giovanni, di Luca, di Timoteo e di Policarpo, la memoria delle chiese dell’Apocalisse, e delle piccole comunità fiorite intorno a questi luoghi).

Il nostro programma è prima di tutto organizzare una presenza significativa: una Chiesa semplice, anche se non numerosa, ma viva e consapevole, una comunità di presenza e di testimonianza, che superi la paura e la stanchezza, originate dalla piccolezza del gruppo.

Come arrivare a questo? Prima di tutto, ridando vita e coraggio alle chiese, e, quando è necessario, ricostruendo materialmente le strutture, per ricostruire attorno a esse la comunità cristiana.

È necessario riutilizzare i locali fatiscenti ancora di nostra proprietà, per metterli a disposizione delle parrocchie, dei giovani, e dei bambini; organizzando, con l’aiuto di un volontariato entusiasta, quando è possibile, molteplici piccoli servizi a favore dei poveri, degli handicappati, degli anziani, e dei bambini.

Non è vietato aiutare persone anche non cristiane, soprattutto quando sono loro a rivolgersi a noi.

Per questo abbiamo creato anche una catena di borse di studio per aiutare, soprattutto nel settore scolastico, ma anche nel settore dell’assistenza (ricoveri ospedalieri, medicine, assistenza domiciliare…).

Il mondo della sofferenza, come andiamo ripetendo, è immenso, causato dalle guerre, che ormai ininterrottamente, intorno a questi luoghi, vengono combattute.

Inoltre, ci prendiamo cura del numero immenso di immigrati, alcuni in attesa di un possibile espatrio; immigrazione sempre causata dalle guerre che insanguinano, ormai da tanti anni, questo Medio Oriente.

Nel settore dell’assistenza e dell’aiuto alle famiglie povere, e soprattutto nel far fronte alle continue emigrazioni, come abbiamo detto, svolge un ottimo lavoro la Caritas di Turchia, suddivisa nelle diverse diocesi.

Attraverso questo grande impegno di assistenza, fatto con uno stile di vita gioioso e generoso, si arriva molto facilmente al dialogo, fatto di gesti semplici, per arrivare poi anche a condivisioni di ideali e di intenti.

Le nostre comunità, e insieme a loro i volontari, si sforzano di essere prima di tutto portatori di pace, di fraternità, di perdono, di solidarietà…

Di qui nasce un risveglio spirituale nelle comunità stesse, e una facilità a condividere le stesse esperienze, prima di tutto con i fratelli di fede, gli ortodossi, con i quali non solo abbiamo organizzato interventi assistenziali realizzati insieme, ma abbiamo vissuto anche – e viviamo – forti momenti di fraternità e di fede comuni.

 

CON I MUSULMANI

RESTANO MOLTE DIFFICOLTÀ

 

Anche il dialogo con i musulmani è facilitato da occasioni culturali e ricreative vissute insieme, anche se rimangono molte difficoltà, soprattutto a livello di autorità, mentre con la gente semplice è più facile l’intesa sui problemi comuni della vita.

Attualmente stiamo vivendo un momento molto critico. Mentre la Turchia chiede di far parte della Comunità Europea, e quindi di condividere i principi del rispetto dei diritti dell’uomo, del rispetto anche delle diverse scelte religiose, dovrebbe impegnarsi molto di più nel riconoscere la personalità giuridica della Chiesa cattolica, e di altre confessioni religiose, con tutto quanto ne consegue.

Dovrebbe impegnarsi maggiormente nel rispetto dei diritti umani semplicemente; non predicare la violenza a ogni costo, come frutto della loro confessione religiosa, e neppure rispondere a provocazioni, che pure noi riteniamo ingiuste, con la violenza e la distruzione.

Continuiamo, insieme, a predicare il rispetto vicendevole, e la collaborazione, per il bene di tutti!

Chi impegnare?

– Sacerdoti, come guide e animatori delle comunità;

– religiosi, come modelli e come stimolo (di qui la grande importanza della presenza delle suore, che fanno vita e preghiera comunitaria);

– volontari laici, che creano un clima di amicizia, con il lavoro svolto insieme alla gente del luogo;

tutti insieme, attraverso l’accoglienza nei luoghi santi, e creando possibili luoghi e momenti di preghiera, di riflessione e di ritiro, per favorire il recupero dello spirito della prima chiesa, e dell’entusiasmo dei primi discepoli del Signore.

 

Abbiamo iniziato una piccola catena di solidarietà, che coinvolge comunità parrocchiali dell’Italia e della Francia, per aiutare la folla di immigrati che si è creata attorno alla diocesi e alla città di Smirne.

Questa piccola chiesa, con 14 sacerdoti, 1 diacono, 12 suore, 3 religiosi non sacerdoti, 2 laiche impegnate, vive un momento di risveglio, organizzata per il dialogo con le tante persone che a noi si rivolgono, per conoscere la nostra fede.

Abbiamo tanti luoghi dove esistono cristiani cattolici che visitiamo solo saltuariamente: si tratta di diverse migliaia.

È nata felicemente, proprio in questo ultimo anno, una collaborazione con il Centro culturale italiano e francese di Smirne. L’insegnamento della lingua italiana e francese, richiesto anche nelle fabbriche, crea momenti di facile amicizia, e soprattutto di superamento delle immotivate contrapposizioni e delle diversità culturali.

Vi invitiamo a pregare, perché aumentino le vocazioni per questa terra, e perché ognuno di noi si impegni al massimo, per non lasciare passare questo importante momento inutilmente, e soprattutto, perché nessuno di noi venga meno al meraviglioso mandato ricevuto.

 

Mons. Ruggero Franceschini

arcivescovo metropolita di Smirne

Smirne, 21/02/2006