FR. ÁLVARO R. ECHEVERRÍA AI LASSALLIANI
DECISIVA LA PASSIONE D’AMORE
Non
possiamo vivere una vita religiosa anonima e nemmeno credere di poter vivere di
rendita. Attraversiamo un momento di incertezza, ma la risposta sta nel vivere
con maggiore autenticità ciò che siamo e ciò che Dio vuole che siamo. Questo
implica una lotta contro la mediocrità e la superficialità e l’impegno a vivere
appassionatamente la nostra vocazione.
«Base e culmine della vita religiosa, la sua radice e il suo frutto, suo principio e suo fine è l’amore. Solo nell’amore e come passione di amore questa scelta ha un senso»
È l’affermazione centrale attorno a cui fr. Álvaro Rodríguez Echeverría, superiore generale dei Fratelli delle Scuole Cristiane (lassalliani) ha costruito la lunga lettera pastorale annuale, scritta all’istituto in data 25 dicembre 2005, e intitolata Associati per cercare insieme Dio, seguire Gesù Cristo e lavorare per il suo Regno. La lettera si collega con quelle degli anni precedenti e ne rappresenta un naturale sviluppo. Tutte infatti portano nel titolo il termine “associati” per sottolineare come la missione che i Fratelli sono chiamati a vivere è essenzialmente un fatto di comunione e mai individuale: Associati al Dio vivente: la nostra vita di preghiera, era intitolata quella del 2002; e quella del 2003: Associati con il Dio dei Poveri. La nostra vita consacrata alla luce del nostro 4° voto; quella del 2004 Associati al Dio del Regno e al regno di Dio, ministri e servitori della Parola.
Ognuna di queste sviluppa un aspetto della molteplice missione che i lassalliani sono chiamati a vivere nella Chiesa. Fondamentale, sottolinea fr. Álvaro, è l’amore, come è scritto anche nella regola dell’istituto: «La regola che esprime la nostra vita deve essere per noi uno strumento al servizio dell’amore. L’amore è la sua ragion d’essere e il suo fine». In effetti, «mi consacro fondamentalmente per Cristo. E per Cristo, alla maniera di san Paolo, si bruciano i giorni e le notti per il Vangelo. Nello stesso modo in cui i figli di Zebedeo lasciano la loro barca e le loro reti, o Matteo il suo banco e i suoi conti, perché sono stati catturati da Cristo che passava, così anche noi facciamo la nostra consacrazione non perché abbiamo incontrato Cristo me perché lui ci ha catturato. Siamo non tanto nell’ordine morale, ma nell’ordine teologale. È questo il senso delle parabole del tesoro e della perla».
In queste riflessioni si sente in sottofondo l’eco di quel “fascino” per Cristo su cui tanto ha insistito il congresso del novembre 2004. A quel congresso, infatti, fr. Álvaro fa continuamente riferimento in questa lettera e da esso trae ispirazione.
CERCARE
DIO INSIEME
Approfondendo la sua riflessione, osserva che lo scopo per cui nell’istituto ci si sente “associati” è «per cercare insieme Dio, seguire Gesù Cristo e lavorare per il suo Regno».
Al primo posto quindi sta la ricerca di Dio, vissuta personalmente e comunitariamente. Come i discepoli si sentirono attratti da Gesù e non importò loro di lasciare tutto quanto avevano per seguirlo, così è necessario recuperare quel “fascino” che abbia poi a tradursi in una vera e propria “seduzione”. Purtroppo, scrive, «oggi ci preoccupano molte cose, però il Signore ci dice che una sola cosa è necessaria. Stiamo vivendo un momento di incertezza, ma la risposta principale è quella di vivere con maggiore autenticità ciò che siamo e ciò che Dio vuole che siamo. Questo implica una lotta contro la mediocrità e la superficialità e l’impegno a vivere appassionatamente la nostra vocazione».
Non possiamo infatti vivere una vita religiosa anonima, sottolinea fr. Álvaro. Per questo «la nostra ricerca di Dio, la nostra sequela di Gesù, la costruzione del Regno implicano, oltre a un’esperienza comunitaria, anche un indispensabile itinerario personale». È la ragione per cui è necessario un «continuo tornare a ricominciare e non “vivere di rendita”come dice molto bene il vescovo ortodosso Anthony Bloom: “Ancorare la nostra mente a una grazia passata vuol dire perdere le grazie future. Il Dio che ho conosciuto ieri non sarà necessariamente quello che mi si rivelerà domani. Non ti puoi nutrire di memorie. Le memorie sono morte, mentre Dio non è il Dio dei morti ma dei vivi. Avvicinati a lui disposto a essere sorpreso… Non mettere al posto di Dio le immagini di Dio che tu hai elaborato nel passato: questa è idolatria spirituale. Ripeti nella preghiera: Signore, liberami da tutti i concetti passati che mi sono formato di te… Dobbiamo guardare con la mente e il cuore aperti, senza cercare di dare una forma a Dio o di racchiuderlo in concetti e immagini: solo allora possiamo bussare alla sua porta».
Indispensabile quindi è questo itinerario personale che per ognuno è unico irripetibile, inedito, un’avventura sempre aperta, imprevedibile da cui nasce poi l’impegno a vivere la missione come prolungamento dell’azione salvifica di Dio.
Il pericolo come già avvertiva fr. John Johnston, ex superiore generale, nella lettera pastorale del 1990 – citata da fr. Álvaro – è di vivere l’attività professionale ai margini della vita religiosa: «Ciò è dovuto al fatto che l‘impegno nell’apostolato non è stato presentato con sufficiente chiarezza come parte integrante della consacrazione del fratello a Dio, e siccome non si è insistito sullo “zelo ardente” come su una dimensione essenziale dello spirito dell’istituto, molti di noi non sono stati gli evangelizzatori che avremmo dovuto essere».
Il problema, commenta fr. Álvaro, può nascere quando viviamo la nostra azione apostolica come un fine in se stesso o come mera ricerca della nostra realizzazione, quando Dio in essa diviene qualcosa di relativo o secondario o, nel peggiore dei casi, inesistente. In questi casi la nostra vocazione è in serio pericolo, perché se ciò che mi sostiene è il carattere assoluto che ho attribuito alla mia azione, può arrivare il momento in cui questa non mi dice più nulla, o in cui penserò che posso realizzarla meglio fuori delle strutture della vita religiosa, o in cui, visto che oggi viviamo l’associazione e la missione condivisa con i laici, penserò che non ci sia bisogno di continuare a essere religioso per viverla efficacemente. O posso cadere in una seria depressione quando, a causa della malattia o dell’età, non potrò continuare a realizzarla».
Non avviene così invece se Dio è la ragioneultima del nostro cammino. Allora, «possono pure arrivare tsunami o uragani: la nostra barca potrà sembrare sul punto di naufragare, ma potremo andare avanti, non in virtù della nostra forza, ma perché, malgrado le nostre debolezze, Dio continua a essere la ragione ultima della nostra vita e sappiamo che ci sta accanto».
LA PASSIONE D’AMORE
ESPRESSA NEI VOTI
Ritornando ora al cuore della sua riflessione, fr. Álvaro afferma che decisivi sono l’amore, la “passione di amore”. Questa chiamata all’amore si esperimenta soprattutto mediante il voto di castità, che, come è scritto nella regola lassalliana, «è il dono del nostro amore totale a Dio, che ci libera per servire le persone e dedicarci al regno di Dio». Esso «non è un voto di disamore, ma di radicalismo nell’amore… La castità non nasce da un’assenza o privazione, ma dalla proiezione e dallo straripare di una sovrabbondanza… La nostra esperienza di insufficienza e la nostra sete di pienezza si concentrano sulla persona di Gesù. “Egli mi ha amato” (cf. Gal 2,19-20) e il suo amore fonda e sostiene per sempre la mia esistenza e la mia capacità di dono. Questo vuol dire che dobbiamo avere il cuore pieno di Dio come lo sposo ha il cuore pieno della donna che ama (san Giovanni Crisostomo).
L’amore sta a fondamento anche del voto di povertà il quale afferma che solo Dio basta, che lui è l’unico Signore e non possiamo permettere che le cose o il denaro funzionino come divinità nella nostra vita. Di questo, osserva fr. Álvaro, facciamo una professione, una incarnazione visibile nella Chiesa e di fronte al mondo… La povertà, come la castità, in fondo sono questione di amore, come lo è anche l’obbedienza. Attraverso di essa, ci mettiamo al servizio del progetto del Padre, come è stato per Gesù. Non si tratta solo di un impegno in un genere di lavoro, ma soprattutto di una relazione di amicizia con il Signore Gesù in uno stile di vita; un amore che si fa desiderio di compiere la sua volontà, di amare ciò che lui ama e di rischiare per ciò che lui ha rischiato. Si tratta di una consacrazione totale alla sua persona. Si può dire realmente che i voti trovano qui il loro punto di unificazione.
INCONTRO
CON COLUI CHE SI AMA
Se la vita consacrata è fondamentalmente questione di amore, sottolinea fr. Álvaro, allora «suppone, anzi esige, non come un imperativo morale bensì come un imperativo esistenziale, dei momenti di incontro profondo, prolungato, frequente con chi sappiamo che ci ama». In effetti, «lo amiamo perché lui ci ha amato per primo. Non si tratta di guadagnarmi l’amore di Dio, dal momento che è un amore gratuito. Si tratta piuttosto di rispondere, di espormi alla sua luce, alla sua misericordia, al suo potere, come mi espongo al sole sulla spiaggia. E questo espormi al sole di Dio mi porta insensibilmente verso il mondo, verso i giovani, verso i poveri miei simili. Kierkegaard esprimeva tutto ciò con l’immagine delle due porte. Quando apriamo la porta a Dio, automaticamente si apre la porta del prossimo; se chiudiamo la porta al nostro prossimo, automaticamente chiudiamo anche la porta a Dio».
Approfondendo il discorso sulla preghiera, Fr. Álvaro sottolinea che essa più che un’arte è un dono. Non sgorga infatti dall’io posso perché non dipende dalla capacità di controllo mentale che io posso esercitare. Le tecniche di autocontrollo mi possono aiutare, ma non sono propriamente preghiera. Non dobbiamo dimenticare che la preghiera anche se è un compito umano, prima di tutto è dono di Dio.
Non si può ridurre nemmeno all’io penso, perché la preghiera non è il risultato di una mia speculazione intellettuale, né della logica interna dei miei pensieri, né della loro bellezza estetica.
Non consiste nemmeno nell’io sento perché i sentimenti possono essere utili, ma non costituiscono la preghiera. A questo proposito si potrebbe applicare ad essa ciò che dice un proverbio arabo: “Quanto è diverso andare al banchetto per il banchetto, dall’andare al banchetto per l’amico”.
La preghiera deve piuttosto nascere dall’io voglio, ma non da un volere che è sinonimo di potere, come si è soliti dire “volere è potere”, bensì da un volere di abbandono che deriva da un amore profondo e disinteressato. In altre parole, «è come dire al Signore Io voglio quello che tu vuoi. Aridità, consolazione o vuoto, poco importa, purché sia quello che tu vuoi. La preghiera è concentrarsi in Dio e uscire da noi stessi. Nel caso in cui sinceramente sentiamo di non essere in grado di volere ciò che Dio vuole, pregare è dire almeno: Signore io vorrei volere quello che tu vuoi. Come diceva in un poema Elizabeth Barret,1 parlando dell’amore umano: “Se mi ami, che questo non sia per qualche cosa, eccetto che per l’amore solo”.
Fr. Álvaro termina la sua lettera con un invito a mantenere viva la speranza che la nostra vita vale la pena e ha un futuro. «Di fronte all’invecchiamento e alla diminuzione del numero dei fratelli in alcuni settori dell’istituto, scrive, la tentazione è di lasciarci prendere dal pessimismo e dallo scoraggiamento». Ma, si chiede, «ciò che stiamo vivendo non sarà piuttosto un’occasione propizia, un tempo di grazia, perché nella nostra fragilità non confidiamo tanto in noi stessi, nei nostri mezzi e nel nostro prestigio, ma in questo Dio capace di risuscitare i morti e in cui abbiamo posto la nostra speranza? Possiamo applicare alla vita religiosa ciò che André Frossard dice del cristianesimo servendosi di un proverbio africano: “L’albero vecchio che cade fa più rumore della foresta che nasce e cresce”. Sul piano della vita religiosa è difficile immaginare e programmare ciò che si sta sviluppando. Quello che possiamo e dobbiamo fare è favorire la sua crescita. La vita religiosa del futuro non sarà unicamente, né principalmente il risultato dei nostri sforzi; sarà soprattutto un frutto nuovo, insperato, sorprendente dell’azione dello Spirito nel cuore del mondo».
A.D.
1 Barret Browning Elizabeth (1806-1867), poetessa britannica. Moglie di R. Browning, visse con lui in Italia, interessandosi alla causa dell’indipendenza italiana. Scrisse versi di carattere autobiografico, filosofico e politico.