GESUITI AMICI NEL SIGNORE

 

 “Tre amici nel Signore” è espressione con la quale Ignazio di Loyola qualificava il piccolo nucleo di universitari che si era formato intorno a lui. Il 2006 è anno giubilare per i gesuiti che fanno memoria dei tre studenti del collegio parigino di Santa Barbara negli anni 1530: celebrano infatti i 450 anni dalla morte del loro fondatore sant’Ignazio, il quinto centenario della nascita di san Francesco Saverio e i 460 anni dalla morte di Pietro Favre: un basco (Iñigo), un figlio di Navarra (Xavier) e un savoiardo (Favre, primo sacerdote della Societas Iesu). Proprio Francesco, all’età di 19 anni, recatosi a Parigi per gli studi universitari, prende alloggio a Santa Barbara e si trova a condividere la stanza con Pierre. Ottenuta la licenza in filosofia, i due proseguono il cursus universitario con gli studi teologici; si consolidava nel frattempo la relazione con un terzo compagno di stanza, quell’Ignazio che avrebbe avuto un’influenza decisiva nel loro percorso esistenziale. L’anno chiave è il 1533: Ignazio vince le ultime resistenze di Francesco (“la pasta più rude che abbia dovuto maneggiare”) e lo convince a intraprendere un nuovo cammino per l’edificazione del Regno, attraverso il ministero della predicazione e il servizio ai più bisognosi.

 

CAPACI DI STARE

NEL TRAVAGLIO

 

Essi vissero in un’epoca nella quale dal travaglio dell’umanesimo rinascimentale nasceva il mondo moderno e dal travaglio della Riforma protestante doveva nascere una Chiesa rinnovata. Li affrontarono senza paura, convinti di essere chiamati a formare un nuovo tipo di persone, capaci di mettere insieme preghiera e azione. Proprio per questo motivo possono es­se­re considerati un modello anche per la nostra epoca, caratterizzata da una transizione difficile e dolorosa verso un mondo nuovo, fatto di rimescola­mento di culture, di razze e di religioni.

Non dimentichiamo che la novità della Compagnia di Gesù, rispetto agli istituti precedenti (benedettini, francescani e domenicani ), sta nel suo porsi sin dall’inizio come ordine apostolico e missionario. La vita religiosa è così non solo ordinata ma anche subordinata all’apostolato: da un lato, infatti, tutto deve tendere a formare un evangelizzatore contemplativo nell’azione, un’azione che deve mettere saldi radici nello studio; dall’altro, si eliminano strutture e osservanze che possono impedire proprio la scioltezza dell’apostolato, da svolgersi in povertà e sotto il significativo ombrello del voto di obbedienza al papa. La spiritualità gesuita si inserisce comunque sia nel filone della spiritualità benedettina per quanto riguarda il primato di Dio, sia in quello francescano per il suo carattere affettivo verso l’umanità di Gesù, sia in quello ascetico-pratico della devotio moderna espresso da un libro chiave per la formazione del fondatore Ignazio, la famosa “Imitazione di Cristo”. Si tratta di una spiritualità quindi che non mira a formare né il monaco né il conventuale, ma decisamente l’apostolo in missione. Spiritualità dunque di “aiuto alle anime” per la maggior gloria di Dio e di servizio di Cristo nella “Chiesa militante”. La perfezione cristiana non è cercata per se stessa, ma per meglio aiutare il prossimo a salvarsi. Si è apostoli però nella misura in cui si è santi.1 In questo senso esemplare per l’ordine e per la Chiesa è proprio la figura di san Francesco Saverio, che nel 1540 accoglie immediatamente l’invito di Ignazio a recarsi nelle Indie per morirvi appena dodici anni dopo. In lui si rivela che il servizio a Dio deve essere “insigne”, non mediocre: nel solco di una spiritualità del magis, del “più”, radicata nella contemplazione del Cristo povero, apostolo e sofferente. Una contemplazione che ha lo scopo di entrare in una commozione profonda di spirito e di cuore con la persona di Gesù. La preghiera al Padre infatti consiste nel chiedere “la conoscenza intima del Signore Gesù, che per me si è fatto uomo, affinché io lo ami di più e lo segua” (Esercizi spirituali n. 104).

 

ESSENDO MESSI

CON CRISTO

 

In quest’anno giubilare saveriano forse la maggior acquisizione potrebbe consistere nel riequilibrare l’idea che la spiritualità gesuitica sia fortemente segnata solo da un ascetismo, che sembra talvolta scivolare in una sorta di pelagianesimo.2 Contro alcune incontestabili accentuazioni di eccessivo volontarismo nella lotta contro le passioni e nella pratica delle virtù, vanno riscoperte anche le profonde radici mistiche della loro spiritualità, come quelle della scuola di p. L. Lallemant (1588-1635). Ma vanno anche riconsiderate più in profondità le vicende straordinarie di cui si è fatto interprete Francesco Saverio (1506-1552), inviato da papa Paolo III come nunzio apostolico per tutto l’oriente. Una missione itinerante fonte di sofferenze fisiche e spirituali, piena di contraddittorie e “moderne” discussioni con i bramini indiani e con i bonzi giapponesi, in clima di straziante solitudine per la forzata lontananza dalla “compagnia”. Pur nella prospettiva teologica del tempo del “salvare anime” a tutti i costi, Saverio ha amato le persone, a partire soprattutto da una preghiera incessante per giungere a offrire loro, letteralmente, tutta la sua vita.

Anche nell’ultimo santo gesuita, in ordine di tempo (è stato canonizzato da Benedetto XVI il 23 ottobre 2005), il cileno p. Alberto Hurtado (1901-1952), c’è uno stile di preghiera che gli ha permesso di cercare e trovare Dio in tutte le cose, con attenzione speciale verso i giovani. Ha partecipato così anche lui a quella famosa grazia concessa a Ignazio nella cappella della Storta a Roma (1537), quando il Padre, indicandogli Gesù che portava la croce, gli disse: “Voglio che tu lo serva”. Si tratta della grazia di essere messo con Cristo, che ha spinto anche p.Hurtado a vedere Cristo nei poveri di Santiago e a creare il “Focolare di Cristo” (Hogar de Cristo), circa 300 centri di accoglienza per diversi tipi di povertà. Attraverso questi loro compagni, i gesuiti ancor oggi indicano la necessità di offrire al mondo un volto di Chiesa in frontiera, non arroccata in difesa, ma aperta al soffio dello Spirito.

M.C.

1 La Compagnia di Gesù ha oltre 460 anni (è nata infatti nel 1539), e ha offerto alla Chiesa 50 santi e 146 beati. Si è sviluppata nei secoli intorno a fondamentali bisogni ecclesiali: la missione ad gentes (ricordiamo in Asia: Saverio, Roberto de’ Nobili, Matteo Ricci; in America: Emanuele Nobrega, san Piero Claver, san Jean de Brébeuf), la cultura (ricordiamo i teologi Suarez, de Molina, Canisio e san Roberto Bellarmino), le missioni popolari (san Francesco de Geronimo, Segneri, san Francesco Régis) e le opere di assistenza ai bisognosi (basti il nome di san Luigi Gonzaga). Le priorità odierne sono: la proclamazione della fede e la promozione della giustizia, l’evangelizzazione delle culture e il dialogo interreligioso. 19.850 i gesuiti sparsi in tutti i continenti.

2 Vedi i brevi e sapienti capitoli dedicati alla spiritualità ignaziana da Giuseppe De Rosa nel volume Gesuiti, Elledici -La Civiltà Cattolica 2006, pp. 148, € 7,00.