DI FRONTE ALLA PANDEMIA DELL’AIDS

SERVIRE I NUOVI INTOCCABILI

 

I due terzi di malati e infetti di Aids vivono nel continente africano: ogni giorno muoiono 6mila persone e altre 11mila vengono contagiate. I missionari/e sono stanchi di lanciare appelli, di procurare bare e impartire benedizioni per i morti di AIDS. Il compito dei consacrati.

 

Per la prima volta nella storia dell’umanità, con l’AIDS siamo di fronte a una pandemia di carattere mondiale. Le epidemie di colera, vaiolo o peste furono catastrofi istantanee e localizzate, anche se con tassi di mortalità impressionanti. Nonostante il carattere planetario della pandemia, essa è oggi un problema essenzialmente africano: i due terzi di malati e infetti (oltre 25 milioni) risiedono qui (nel mondo si contano oltre 40 mln di sieropositivi).1

Essa si è diffusa molto più velocemente in alcuni paesi piuttosto che in altri. In Botswana, il 36% della popolazione adulta è sieropositiva. Nello Zimbawe e nello Swaziland, il tasso di infezione è del 25%. Nel Lesoto il tasso è del 24%. In Namibia, Sudafrica e Zambia è del 20%. Nello Zimbabwe, senza l’Aids, l’aspettativa di vita nel 2010 sarebbe di 70 anni, con l’Aids forse precipiterà sotto i 35. In Sudafrica, dai 68 anni ai 48 anni; in Zambia, dai 60 ai 30 anni. Il tempo che intercorre tra l’infezione e la morte negli adulti è tra i 7 e i 10 anni. Il Botswana perderà il 36% della popolazione adulta sieropositiva entro questa decade, più quelli che saranno contagiati entro uno-due anni: circa la metà degli adulti di oggi saranno morti nel 2010. Altri paesi con alti tassi di infezione (Sudafrica, Swaziland e Zimbawe) perderanno circa un terzo della popolazione adulta nel 2010. Entro il 2010 l’Africa avrà 40 milioni di orfani.

I figli di madri sieropositive tra il 30 e il 60% hanno la probabilità di nascere affetti dal virus, con aspettativa di vita inferiore a 2 anni. Molti altri bambini si contagiano attraverso il latte materno. Il virus riduce anche la fertilità. Le donne si infettano a una età più giovane rispetto agli uomini, perché hanno rapporti sessuali con uomini più anziani. Tra i giovani di 15-19 anni, le donne risultano contagiate cinque volte più degli uomini: molte muoiono prima di aver raggiunto l’età della riproduzione. C’è poi il fenomeno del levirato (quando un uomo muore ed è sposato, la moglie e i figli vengono ereditati dal fratello maggiore): ha contribuito alla diffusione esponenziale del morbo, perché se muore un uomo sieropositivo sua moglie probabilmente è infetta e, a sua volta, trasmette il morbo al cognato-sposo, il quale contagia altre mogli e quindi la famiglia intera. Un altro fattore tradizionale aggravante è la circoncisione: i ragazzi vengono portati al fiume e il maestro pratica il taglio l’uno dopo l’altro, in fila, con lo stesso coltello!

 

CONTRO L’AIDS

E AFRO-PESSIMISMO

 

I missionari/e africani sono stanchi di lanciare appelli, di procurare bare e impartire benedizioni funebri. Nel 2004 il comitato Salute Africa (promosso dall’istituto della Consolata) ha lanciato un progetto culminato nel convegno “Pandemia Aids: Africa chiama Italia” (Torino, 1 dicembre 2005).2 Secondo gli organizzatori, all’epidemia non viene data la priorità che dovrebbe avere, sia nei paesi più contagiati che nella comunità internazionale. La sfida è quella di ridurre il numero delle nuove infezioni il più rapidamente possibile. L’undicesimo capitolo dell’IMC ha denunciato i responsabili politici che preferiscono “non vedere” il problema.

Mons. John Onayiekan, arcivescovo di Abuja in Nigeria, ha di recente affermato, a nome delle conferenze episcopali del continente, che l’impegno della Chiesa africana è quello di lottare «contro l’Aids e, nello stesso tempo, contro l’afro-pessimismo». In questo senso sono coinvolte le strutture sanitarie del continente gestite da enti ecclesiali o missionari (ricordiamo che i centri cattolici che curano l’Aids nel mondo sono il 26,7%, contro il 42% gestito dai governi):3 vige un approccio di tipo “solistico”, che va dai trattamenti anti-retrovirali alla prevenzione e formazione, all’assistenza psicologica e spirituale di ammalati e famiglie, all’accompagnamento di vedove e orfani. Un approccio condiviso anche da ambiti non ecclesiali: «Dobbiamo prendere in mano il nostro destino e liberarci dell’Hiv/Aids: per questo sono necessarie politiche che rinforzino il modello familiare africano, basato sui valori dell’ospitalità, della cura e dell’assistenza» (Femi Soyinka, presidente conferenza internazionale in Nigeria 2005).

La chiesa di Uganda ha fatto propria questa visione, contribuendo alla riduzione del contagio, con un lavoro capillare e in rete insieme a tutti i soggetti coinvolti tempestivamente dal governo centrale, e adottando una formula basata sulla promozione di fedeltà e astinenza. Lo stesso presidente ugandese Yoweri Museveni predica l’ABC con fervore: Abstain, Be faithful, Condoms (astinenza, fedeltà e profilattici qualora astinenza e fedeltà non siano praticati). Si è passati dal 12% di infettati negli anni ’90 al 4,1% nel 2003. Non si può dire lo stesso per altri paesi: il Sudafrica, ad esempio, ha il numero assoluto più alto di malati (5 milioni su una popolazione di 44 mln), ma ha elaborato un programma nazionale solo nel 2003.

Sr. Zita Amanzia Danzero, missionaria della Consolata in Iringa (Tanzania) esprime bene i sentimenti dei religiosi impegnati su questo fronte: «La grande sfida è questa: ogni giorno dare nuova speranza, anche quando non me la sento, quando io stessa l’ho perduta… non dobbiamo rispondere solo alle emergenze, ma andare a fondo della situazione, per vederne le cause. La prima di queste è l’ignoranza, dovuta a mancanza di istruzione, perché non c’è la volontà politica di istruire i popoli… Liberiamo le persone dalle loro paure ataviche, che le portano a legare questa malattia a stregonerie o maledizioni… dobbiamo aiutare a credere che Dio non c’entra, che ama anche dentro una storia di sofferenza».

 

IMPEGNO

DEI CONSACRATI

 

Alle chiese africane e alle congregazioni missionarie è richiesta dunque una risposta globale capace di comprendere oltre i malati terminali, i sopravvissuti (orfani, nonni, vedove e vedovi), le persone sieropositive e le persone sane. Le medicine sono ancora fuori dalla portata della maggioranza dei sieropositivi, ma la conoscenza della loro esistenza dona ai malati nuova speranza e il desiderio di farsi curare. Perciò p. Giordano Rigamonti imc, presidente del comitato “Salute Africa”, ha dichiarato senza mezze misure: «Prima la salute, poi il commercio». Occorre continuare ad abbassare i prezzi dei farmaci anti-retrovirali: dai 12mila dollari all’anno del 2000 si è passati già ai 300 dollari di oggi. Ricordiamo qui la coraggiosa scelta della tailandese Krisana Kraisint (che ha sfidato il sistema dei brevetti, producendo farmaci “generici” copiati da anti-retrovirali) e lo sviluppo di una etnofarmacologia su prodotti naturali più vicini alla sensibilità delle popolazioni africane.

Occorre accompagnare l’intervento sanitario-farmaceutico con quello culturale. Il Rapporto ONU Aids in Africa: tre scenari al 2025 identifica cinque forze guida cruciali per un futuro senza Aids: la crescita dell’unità e dell’integrazione sociale e politica; l’evoluzione dei valori e dei significati (superare la logica della punizione divina o dello stigma); attivare risorse in modo coordinato; applicare le conoscenze esistenti; distribuire il potere e l’autorità in modo da far interagire i diversi centri tra loro. Già dom Helder Camara in una conferenza del 1979 a Parigi toccava i punti decisivi in una prospettiva di dialogo tra nord e sud del mondo. Diceva che bisognava lottare contro il modello consumistico per non sprecare risorse necessarie ai paesi in via di sviluppo; quindi chiedeva di non affrontare l’esplosione demografica con invasione di pillole anticoncezionali o, diremmo oggi, di preservativi; e ancora, spingeva a approfondire il problema della fame e dell’indebitamento dei paesi della fame. L’Europa in particolare è chiamata a un nuovo umanesimo dell’economia e quindi un nuovo progetto globale di solidarietà, consapevole di dover favorire nuovi governi democratici africani, per prevenire il dramma dei giovani che approdano sulle nostre coste e incendiano le nostre periferie cittadine.

Una quarantina di delegati, riuniti a Roma nel dicembre 2005 in rappresentanza di circa un milione di consacrate/i, per una riflessione comune su Hiv/Aids, si sono trovati in sintonia con tali prospettive. Configurarsi a Cristo nel servizio integrale ai nuovi intoccabili: questo lo spirito con cui hanno individuato le innumerevoli sfide della pandemia globale. Innanzitutto occorre assicurare la sostenibilità dei programmi Aids, cercando nuove vie per assicurare i fondi e puntando su strategie di prevenzione, con azioni globali di denuncia dei nuovi idoli. Hanno convenuto che, come consacrati, necessitano di una trasformazione strutturale con comunità più ospitali, piene di spirito nuovo di libertà, mitezza e gratuità. Ci vuole insomma un modello di vita consacrata che esprima meglio la passione per l’umanità. Ne conseguono: la formazione al dialogo interreligioso e interculturale, la testimonianza delle bellezza di una vita casta, l’utilizzazione dei moderni mezzi di comunicazione, la lotta al fianco dei più deboli (poveri, donne, bambini) per la difesa dei loro diritti. In questo modo la VC può probabilmente aiutare anche a riconciliare le due concezioni in lotta sulla prevenzione della malattia (quella trascendente che privilegia fedeltà per i coniugati e astinenza per i single, e quella immanente che favorisce la libertà sessuale e l’esercizio di essa come diritto assoluto), in favore di un’auto-disciplina fortemente necessaria.

 

Mario Chiaro

 

1La trasmissione del virus è di tipo diretto: rapporti sessuali, rapporto materno-infantile e contatto con sangue infetto o suoi derivati sono le modalità principali di contagio e infezione. Prima e seconda via sono le più frequenti, e l’infezione è spesso mediata da rapporti eterosessuali. In Europa e Stati Uniti si è raggiunta una soglia di saturazione dei gruppi con comportamenti a rischio (tossicodipendenti e omo-bisessuali), con interessamento marginale della popolazione generale. Peculiare, nell’Aids, il fatto che colpisca essenzialmente giovani adulti. Tale decesso è il più traumatico, perché il giovane adulto sta per generare o ha figli ancora piccoli. La sua morte è anomala nella cultura africana: viene considerata come effetto di un venir meno dell’armonia comunitaria, non come conseguenza di un problema fisico.

2Prendiamo spunti dal numero unico della rivista Missioni Consolata (febbraio 2006), con i materiali del convegno.

3Dall’ultimo censimento fatto dal Pontificio consiglio per gli operatori sanitari risulta che  sono 21.757 le istituzioni sanitarie ove è presente la Chiesa, censite in 12.596 località di 135 stati cioè del 76% degli stati del mondo. In Africa e in Asia circa l’80% delle istituzioni sanitarie risulta degli ordini religiosi (rispettivamente 35% e 70%) e delle diocesi (rispettivamente 45% e 10%); nelle Americhe circa il 60% è nel complesso di proprietà di ordini religiosi (47%) e delle diocesi (13%); in Europa il 39% risulta di proprietà degli ordini religiosi per il 30% e delle diocesi per il 9%.