ASSEMBLEA DELL’UCESM

ASCOLTARE LA STORIA PER RISPONDERE A DIO

 

La vita consacrata e le sfide nell’Europa di oggi. Più facile il dialogo con le altre religioni e le altre culture che non all’interno delle nostre comunità? La chiara identità, il fervore nella preghiera, la gioia e la semplicità di vita nelle nuove comunità e nei nuovi movimenti ecclesiali come “risorsa” per gli istituti religiosi tradizionali?

 

Interrogarsi sul presente e sul futuro della vita consacrata in Europa sta diventando oggi una questione sempre più urgente e complessa insieme. Non lo è da meno, sicuramente, anche negli altri continenti. Non per nulla, sia nel congresso internazionale sulla vita consacrata del novembre 2004, promosso dalle unioni dei superiori e delle superiore generali, sia nel simposio sui 40 anni del decreto conciliare Perfectae caritatis del settembre 2005, promosso dalla congregazione per la vita consacrata, sia anche in alcune recenti pubblicazioni, è sempre più diffusa l’esigenza di una diversificata lettura della situazione della vita consacrata tra un continente e l’altro.

Ma l’interesse per l’Europa è dettato dal fatto che qui, storicamente, sono nati e da qui si sono diffusi nel mondo le più consistenti e significative esperienze di vita consacrata ancora oggi esistenti. È questo il motivo per cui un organismo come l’Unione delle Conferenze Europee dei Superiori Maggiori (Ucesm) ha davanti a sé una vasta prospettiva di studio e di riflessione. È quanto ha cercato di fare anche nella sua ultima assemblea, svoltasi a Fatima dal 6 al 12 febbraio 2006.

Nel contesto del tema generale dell’incontro, In ascolto della storia per rispondere a Dio, il gesuita Mark Rotsaert si è soffermato sulla situazione della vita consacrata oggi in Europa. Lo ha fatto affrontando, anzitutto, una rilettura storica della nascita delle varie realtà di vita consacrata. Ha chiarito, quindi, il senso del “cuore” della vita consacrata, vale a dire i classici tre voti di povertà, obbedienza e castità, e ha concluso interrogandosi, appunto, sulla vita consacrata in Europa nel 2006.

 

“MEMORIA VIVENTE

DEL VANGELO”

 

Risalendo proprio agli inizi della vita consacrata ne ha evidenziato le sue principali caratteristiche. Si tratta, anzitutto, di esperienze assolutamente “spontanee”. Nulla di organizzato e di prevedibile all’inizio. Antonio, ad esempio, dopo aver ascoltato un’omelia ad Alessandria d’Egitto, si ritira nel deserto con la prospettiva dichiarata di una vita più evangelica. Ma insieme alla spontaneità, si impone fin dagli inizi anche una molteplicità di forme di vita consacrata, tutte finalizzate a vivere più integralmente il vangelo. Accanto agli eremiti che vivono nella più grande solitudine, non mancano monasteri in cui si va lentamente organizzando una vita comunitaria . Ma nessuno, all’inizio, sa con certezza in che tipo di vita andrà configurandosi poi concretamente la propria scelta eremitica o cenobitica.

Fin dagli inizi, ancora, c’è un atteggiamento comune a tutti, vale a dire quello di una “fuga” non solo dal mondo ma, in certo senso, anche dalla Chiesa. La scelta del deserto, come nel caso di Antonio e di Pacomio ad esempio, ha un significato ben preciso. Vuol essere chiaramente una critica alla forma di vita cristiana del proprio tempo. Diventando religione ufficiale (con Costantino), il cristianesimo, infatti, ha incominciato a perdere la sua capacità di essere realmente “sale” della terra. Antonio, Pacomio e tanti altri «hanno cercato dei modi di vivere il vangelo in tutto il suo rigore», trasformandosi, anzi, in “memoria vivente del vangelo”.

Questo esplicito e dichiarato ritorno al vangelo già fin dalle primissime forme di vita consacrata, secondo Rotsaert è fondamentale e insieme funzionale alla comprensione di tutti gli sviluppi e di tutte le forme successive della vita consacrata, dal monachesimo alla nascita degli ordini mendicanti, alle congregazioni di vita apostolica. La storia, cioè, si ripeterà anche in seguito. Gli ordini mendicanti dei francescani e dei domenicani, ad esempio, con la scelta della povertà da una parte e la difesa della verità dall’altra, hanno cercato di reagire nei confronti di una ben determinata e preoccupante situazione sia nella società che nella Chiesa del tempo. Domenico di Guzman è sinceramente convinto che i vescovi, gli abati, i sacerdoti avrebbero dovuto essere i primi a dare il buon esempio nella sequela di Cristo povero e umile. «Cambiamo il nostro stile di vita, diceva, e solo allora potremo predicare la verità del vangelo, perché ne va della nostra credibilità».

Rileggendo con attenzione la storia della vita consacrata emerge con evidenza una costante: una crisi di civilizzazione suscita nuove forme di vita religiosa ed evangelica. Nascono nuove sensibilità, nuovi valori che necessitano di altre forme di vita religiosa. Il rischio di rinnovarsi e insieme di “adattarsi” al mondo è sempre latente. Ecco allora che nascono nuove esperienze di vita consacrata suscitate dallo Spirito. Certe congregazioni religiose, troppo legate all’una o all’altra opera caritativa, hanno trovato difficoltà a sopravvivere quando lo stato ha incominciato ad assumersi in prima persona certe attività pionieristicamente inventate, in ben altri tempi, dallo zelo e dalla fantasia di tanti fondatori e fondatrici di istituti religiosi.

 

IL “FILO CONDUTTORE”

DELLA STORIA

 

Da una rilettura affrettata della storia della vita consacrata emergono anche altre costanti. I religiosi e le religiose hanno sempre cercato di vivere una vita povera, sobria, casta, obbediente e sottomessa ad un Altro. Nei primi secoli non si parlava affatto di voti religiosi. Semplicemente se ne viveva il contenuto. Ma per quale motivo, si chiede Rotsaert, «la storia della vita consacrata ci ha legati a questi tre voti e non ad altri?». La risposta, a suo avviso, è molto semplice. Nei tre voti classici c’è un richiamo esplicito a tre dimensioni che sono fondamentali nella vita di tutti gli uomini. Ogni persona, infatti, ha bisogno di un minimo di cose materiali per sopravvivere. Non è possibile, infatti, sussistere a lungo senza il nutrimento, un tetto sopra la testa, un abito per proteggersi dalle intemperie. Tutti, inoltre, hanno bisogno di essere riconosciuti, compresi, amati, consolati. Diversamente è facile deperire se non sempre fisicamente, di sicuro psicologicamente. Infine, poi, tutti necessitano di uno spazio libero in cui si possa autonomamente decidere della propria vita, del proprio futuro. Senza queste tre dimensioni fondamentali una persona non andrebbe oltre lo stadio puro e semplice di un robot.

Ora, se apriamo il vangelo, ci accorgiamo che queste tre dimensioni “assolutamente necessarie” nella vita di un uomo, sono però “relative”, non possono avere, cioè, una valenza assoluta e prioritaria su tutto il resto. E questo discorso riguarda ogni cristiano, ogni persona che intende vivere e seguire il vangelo. Dio solo è assoluto, unico, mentre ogni cristiano, proprio in quanto tale, non potrà non tenerne conto nella propria vita.

Ora i religiosi, senza per questo ostentare nessuna superiorità, fanno un passo oltre, e cioè ne tengono conto in maniera esplicita e dichiarata. «Ciò che ogni cristiano porta nel suo cuore, il religioso lo porta sulla sua fronte». Ma anche qui, sempre e solo alla scuola del vangelo. Le tentazioni a cui è stato sottoposto Gesù nel deserto subito dopo il suo battesimo e immediatamente prima dell’inizio della sua vita pubblica, ci dicono una cosa sola, e cioè che i beni materiali, la sessualità, la libertà, pur importanti che possano e debbano essere, non devono però diventare mai degli idoli, di fronte a cui inchinarsi, compromettendo la propria dignità personale. Il seguire Cristo lungo la sua strada, ribadisce Rotsaert, è il «filo conduttore della vita consacrata in tutta la sua storia». Sia i tre voti religiosi che le tre tentazioni di Gesù nel deserto rinviano alle stesse dimensioni fondamentali di ogni singola persona.

 

IL PRIMATO

DELLA SPIRITUALITÀ

 

Sulla base della storia della vita consacrata, da cui emerge da una parte il suo costante riferimento al vangelo e dall’altra un atteggiamento critico nei confronti della società e del mondo ecclesiastico del proprio tempo, che deduzioni è possibile trarne in riferimento alla vita consacrata in Europa nel 2006? Intanto va precisato che questa storia «continua anche oggi e continua nelle nostre vite». Alcune congregazioni sono scomparse o stanno scomparendo. Altre si stanno adattando ai tempi di oggi. In questo contesto si può senz’altro dire che «ciò che permetterà di trovare un nuovo slancio sarà la qualità della spiritualità propria di ciascun istituto».

È proprio questa la ragione per cui la vita contemplativa sopravvivrà facilmente più a lungo e con meno problemi di quella attiva. Il confronto dei contemplativi con il mondo che li circonda è molto chiaro. «Solo Dio basta». Gli istituti di vita attiva, invece, necessitano di una forte spiritualità per riuscire a dire qualcosa di convincente, che saprà dare una risposta esaustiva alle esigenze e alle sensibilità del mondo d’oggi.

Senza spiritualità è difficile vivere i valori di fronte a cui si trova il continente europeo oggi. Soprattutto in Europa c’è bisogno di riconciliazione, di pace, di solidarietà. Sono i valori e le sfide da cui si è costantemente sollecitati oggi. Rotsaert lega forse con troppa convinzione la salvaguardia di questi valori e il superamento di queste sfide al consolidamento di un organismo come quello dell’Unione Europea. Sicuramente, osserva, l’Europa di oggi non è più quella conosciuta dai suoi primi “padri fondatori”. Con le sue inarrestabili diversità linguistiche e culturali sta diventando sempre più una realtà interculturale. Le migrazioni in crescita costante, motivate da ragioni economiche, politiche ed ecologiche, stanno progressivamente trasformando l’Europa in un miscuglio di culture e di religioni differenti.

La risposta politica a questo complesso di fenomeni non è semplice, dice Rotsaert. Ma noi ci permettiamo di aggiungere che prima ancora di attendere una risposta politica unitaria, seriamente e forse definitivamente compromessa, per altro, dal no referendario francese e olandese all’approvazione di una nuova carta costituzionale europea, gli istituti di vita consacrata hanno ben altre risorse a cui attingere per far fronte a queste sfide. Sono le risorse stesse di tutta la ricchezza profetica e carismatica del proprio passato.

Giustamente, si chiede Rotsaert, che risposta sappiamo dare a queste sfide, come religiosi, all’inizio del terzo millennio? Siamo pronti al dialogo? Siamo capaci di ritrovare nelle altre culture le tracce del Dio unico? Che atteggiamento stiamo assumendo nei confronti dell’islam, una presenza sempre più significativa, e anche preoccupante aggiungiamo noi, in tante nostre città europee?

Ora il dialogo con gli altri non ha alcun senso «se noi per primi non abbiamo più nulla da dire a noi stessi». Il dialogo, infatti, deve incominciare nelle nostre comunità, nelle vie in cui abitiamo, nei quartieri in cui viviamo. Diventerà sempre più indispensabile sia nei vari centri studi delle congregazioni che nel campo della formazione dei giovani religiosi. «Fare opera di riconciliazione e di pace, aprire le nostre mentalità al dialogo e costruire un mondo più solidale, significa operare una scelta per una cultura della vita, e questo nel contesto di un mondo che tende, invece, a scegliere una cultura della morte».

Quando Rotsaert si chiede: «quale testimonianza stiamo dando come religiosi?», nella risposta non può non richiamarsi alla grande esperienza che nel campo, ad esempio, della solidarietà hanno saputo dare tante congregazioni religiose. Altrettanto si potrebbe dire, aggiungiamo noi, per quanto riguarda la riconciliazione, la pace, la spiritualità, la cultura. Nel momento in cui siamo alla ricerca di “nuovi paradigmi”, di una “diversa” vita religiosa, in Europa soprattutto, basterebbe forse vivere in un’altra maniera “questa” vita religiosa, fatta di passione e di convinzione (cf. Testimoni, n. 5, pag. 8).

 

LA NOVITÀ

DEI MOVIMENTI

 

Rotsaert ha concluso il suo intervento elencando gli elementi principali che a suo avviso connotano tutte quelle nuove comunità, quei nuovi movimenti ecclesiali che da tempo stanno conoscendo uno slancio inatteso, come il rinnovamento carismatico, la comunità di sant’Egidio, comunione e liberazione, i monaci di Taizé, i legionari di Cristo ecc. In queste nuove realtà ecclesiali colpisce, anzitutto, la chiarezza d’intenti con cui si pongono di fronte al mondo e all’interno della missione della Chiesa. E lo fanno con un fervore, con una preghiera che parte prima dal cuore che non dalle labbra. Inoltre, la vita comunitaria, in questi movimenti, ha una notevole importanza ed è vissuta con gioia e semplicità. Ancora, in queste nuove realtà assume una significativa rilevanza la Chiesa gerarchica, nei confronti della quale l’amore supera di gran lunga la critica.

Ora, le comunità religiose tradizionali possono dire di avere la stessa chiarezza riguardo alla propria identità e alla propria ragion d’essere, lo stesso fervore nella preghiera, la stessa gioia e la stessa semplicità di vita, lo stesso amore per Cristo e per la Chiesa? Rotsaert non risponde direttamente a questi interrogativi. Dall’insieme di tutto il suo discorso, lascia comunque facilmente intendere che senza un ritorno alle origini, senza la radicalità evangelica, la capacità anche di una certa contestazione “profetica” nei confronti sia del mondo che della realtà ecclesiale nel suo complesso, senza soprattutto una rinnovata e più autentica spiritualità, vissuta nella gioia e nella semplicità, la vita religiosa in Europa già oggi ma più ancora in futuro potrebbe anche essere seriamente e definitivamente compromessa.

 

Angelo Arrighini

 

1 FERNANDO PRADO, a cura, Dove ci porta il Signore. La vita consacrata nel mondo: tendenze e prospettive, Edizioni Paoline, Milano 2005, pp. 293, € 13,00.