UN ANNO
DI PREGHIERA INDETTO DAI VESCOVI BELGI
SENZA
PREGHIERA LA FEDE MUORE
Spesso anche nella Chiesa si è posto
l’accento sulle cose da fare anziché sulla persona di Cristo, trasformando la
fede in etica anziché in mistica. Bisogna riportare la preghiera al centro
dell’azione pastorale, perché, se un cristiano non prega, la sua fede corre dei
grossi rischi; è un cristiano in pericolo.
La
cultura dominante nel mondo d’oggi non favorisce certo la preghiera e tutti ne
vediamo le conseguenze. Questa è la ragione per cui la Chiesa, nella sua azione
pastorale, deve riportare la preghiera al primo posto nella vita personale del
cristiano, affinché essa abbia il primato sulle attività esterne, per quanto
importanti.
I
vescovi del Belgio hanno voluto prendere sul serio questo impegno dedicando un
anno intero, tra il 2005 e il 2006, a questo argomento, e accompagnando
l’iniziativa con un elaborato opuscolo dal titolo evangelico Seigneur,
apprends-nous à prier, “Signore, insegnaci a pregare”.
Essi
affermano che se è difficile oggi risolversi a pregare nel clima di
secolarizzazione in cui siamo immersi, anche la Chiesa deve riconoscere i suoi
torti. Adeguandoci alla cultura moderna, scrivono, spesso abbiamo posto quasi
esclusivamente l’accento su quello che un cristiano deve fare, anziché su
quello che egli deve essere, quasi che essere cristiani derivasse più dalle
opere che dalla preghiera: in altre parole, la fede era diventata quasi
un’etica a scapito della mistica. Ma la Buona Novella non proclama ciò che
dobbiamo fare; non si fonda su dei valori, fossero pure evangelici, ma su una
persona. Essa ha come centro Gesù, non l’uomo che è vissuto in un passato
lontano, ma il Signore vivente che ci conduce al Padre.
Tenendo
presente questa prospettiva bisogna allora, osservano i vescovi, avere uno
sguardo critico sul nostro lavoro pastorale, sempre più diffuso nella Chiesa.
In mezzo ai tanti impegni, la preghiera si riduce spesso a una “porzione
congrua”, nel senso che ci sono altre esigenze che attirano la nostra
attenzione. Non riusciamo più a essere nella calma. Non siamo più in condizione
di pregare. In queste circostanze, non solamente si diventa estranei all’amore
di Dio, ma anche la vita cristiana rischia di deteriorarsi. Come uomini moderni,
guardiamo al lavoro pastorale in maniera molto personale. L’amministrazione, la
concertazione e la comunicazione fagocitano una grande quantità di tempo. Ora,
se tutto questo è utile e necessario, esso impoverisce la nostra pastorale.
Jean de Ruysbroeck,1 già a suo tempo diceva: «Si tiene spesso il capitolo ed è
una cosa utile e buona, ma intanto la fede diminuisce di giorno in giorno».
Nella
Chiesa, proseguono i vescovi, la fretta e la pressione minacciano numerose
persone impegnate. Nonostante tutto il lavoro compiuto, esse sono tormentate da
una cattiva coscienza che le induce a credere di fare troppo poco. Altri sono
piuttosto portati alla rassegnazione, per non dire al cinismo. Si sentono
sovraccarichi di lavoro e così si limitano all’assolutamente indispensabile e
anche questo poco lo fanno senza gioia. Solo la preghiera può lasciare il campo
libero a “Colui che in tutto ha il potere di fare, molto più di quanto possiamo
domandare o pensare” «Ef 3,20).
COSA SI
INTENDE
PER
PREGHIERA?
Ma
bisogna capire bene che cosa s’intende quando si dice “preghiera”. Essa non
coincide con la meditazione, come se i due termini fossero interscambiabili.
Certamente
la preghiera implica anche un momento di raccoglimento e di concentrazione, ma
ha bisogno di una dimensione supplementare. La preghiera si riconosce dal fatto
che le parole sono rivolte direttamente a Dio, come a un tu, mentre nella
meditazione il testo rimane più neutro: parla di Dio in terza persona. Si
scopre qui qualcosa di essenziale, ossia che pregare non è possibile se
Qualcuno non si volge verso di noi e attende che noi gli rimaniamo aperti.
Pregare non vuol dire impiegare tutto un arsenale umano di possibilità di
senso. Significa bussare alla porta di Dio ed essere sicuri che colui a cui si
bussa, aprirà (Lc 11,10). Ciò suppone naturalmente che ci sia Qualcuno che
possa aprire. Nella preghiera non siamo mai soli. Il mistero della preghiera
sta nella reciprocità di una relazione. E non è solo l’uomo che bussa alla
porta di Dio. In Cristo, Dio stesso è venuto in mezzo a noi, per rendere
sensibili le nostre orecchie alla sua dolce voce che dice: «Ecco, sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò a
lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).
Per
approfondire questa dimensione della preghiera bisognerebbe mettersi alla
scuola dei grandi oranti della Bibbia. L’opuscolo dei vescovi ne cita alcuni:
Abramo, Mosè, Elia, Eliseo… Inoltre i salmi e, oltre a questi, le altre 85
preghiere che sono come delle perle di gran valore: le preghiere di Anna,
Davide, Giuditta, Geremia, Giobbe, Sara e Tobia, Salomone, Esdra…
Da tutti
questi esempi se ne ricava che il cuore della preghiera biblica è sempre una
relazione tra Dio e il suo popolo. E ciò appare in maniera splendente in Gesù;
ed è per mezzo di lui che noi abbiamo accesso al Padre (cf. Ef 2,18). Egli
desidera che tutti i suoi discepoli “conoscano” Dio (Gv 17,3). Per questo prega
nel momento del suo congedo da questo mondo. Ciò che Gesù domanda non è una
conoscenza teorica, ma un’esperienza e una relazione. È una conoscenza che non
viene da un’informazione, ma da un’intimità, da un contatto. Pregare è
frequentare Dio. Non vuol dire avere dei bei pensieri riguardo a Dio. Ce ne
sono a sufficienza nei testi di meditazione. Ciò che occorre è l’esperienza di
Dio. Pregare vuol dire trovarsi “a casa” con Dio e questo non avviene senza la
preghiera.
COME
ENTRARE
NELLA
PREGHIERA?
Il
Signore che vive in ciascuno di noi ci dona il suo Spirito. Grazie a lui è
possibile essere “a casa” con noi stessi davanti al Padre. Quale eccellente
maestro di casa, Dio è profondamente rispettoso dei suoi ospiti. Noi possiamo
quindi essere semplicemente noi stessi. Egli preferisce incontrarci così come
siamo. In tutte le situazioni desidera condividere la nostra vita. È proprio
qui dove vuole offrirci il dono della sua presenza. È questa la ragione per cui
la preghiera comporta tante sfumature quante ne ha la vita stessa. In ciascuno
ha delle risonanze diverse, ma esistono delle linee comuni capaci di ispirarla.
La prima
di queste è l’attenzione. Si tratta cioè di una pausa di riflessione, di un
momento di tranquillità poiché l’agitazione e le preoccupazioni finiscono con
lo sconvolgere la nostra vita. La sensibilità allo Spirito richiede
un’apertura, un’attenzione, un atteggiamento di attesa, una recettività piena
d’amore di tutta la nostra persona. Essa comporta esercizio e sforzo. È
necessario combattere la nostra distrazione e superficialità, tutto ciò che ci
allontana dalla vera realtà e da ciò che è nel più profondo del nostro cuore.
Un’attenzione del genere è il contrario di una fuga dal mondo. Ci fa stare anzi
con i piedi per terra. La nostra vocazione infatti è quella di essere “uomini
tra gli uomini”.
Questo
abitare secum, essere “in casa propria” è un arte che richiede un
apprendimento. Vuol dire imparare a conoscere il proprio cuore, i propri
desideri più profondi.
DIO
PARLA
NEL
SILENZIO
Ora,
questa attenzione che rende aperti e disponibili, è possibile solo in un clima
di silenzio. Il silenzio è la forma essenziale della preghiera. Non si tratta
solo di tacere. Un silenzio del genere potrebbe essere vuoto, creare
allontanamento: potrebbe essere la conseguenza di una disputa, oppure di un
atteggiamento di divisione. Il vero silenzio è tutto il contrario. Esso è
vicinanza e disponibilità, apertura verso l’altro, è comunicazione. Un silenzio
siffatto è eloquente, si colloca nel linguaggio dell’amore. Gli amanti non
hanno bisogno di tante parole, stanno in silenzio l’uno accanto all’altro.
Nell’agitazione
in cui oggi viviamo, il silenzio è diventato una merce preziosa. La pubblicità
e l’internet, i mezzi di comunicazione ci inondano di un torrente di
informazioni. La nostra attenzione è fuorviata da una grande quantità di
stimoli uditivi e visivi. Non stupisce allora trovare un numero sempre maggiore
di persone che cercano il silenzio, per esempio nei monasteri, nelle case per
ritiri. Queste persone hanno molto da insegnarci.
La
nostra comunità ecclesiale dovrebbe essere più significativa per queste persone
in ricerca. La Chiesa in se stessa è infinitamente più ricca di quanto non
lascino intravedere le nostre chiassose attività sociali. La stessa liturgia
dovrebbe lasciare più spazio alla lode del silenzio. Troppo spesso noi
cerchiamo di spiegare i nostri simboli “a forza di parole” (Mt 6,7),
dimenticando che l’essenziale di Dio sfugge alle nostre semplici parole.
Senza
dubbio, sottolinea l’opuscolo dei vescovi belgi, bisogna che ci
ri-familiarizziamo con il silenzio. Esso è in grado di renderci ricettivi della
meraviglia della venuta di Dio. Il Padre, infatti, dice la sua Parola “in un
silenzio eterno” ed è nel silenzio che l’anima lo sente. È quanto è avvenuto al
profeta Elia a cui Dio si rivolse sulla montagna nel “mormorio di un vento
leggero” (1 Re 19,12).
Ma
mettersi in silenzio richiede disciplina e pazienza; bisogna che ci liberiamo
dai nostri progetti rumorosi. La pace e il silenzio sono essenziali sia per la
nostra salute spirituale, sia per la nostra preghiera in particolare.
Colui
che fa un po’ di spazio al silenzio ne sarà largamente ricompensato. Dio
infatti parla e cerca chi lo ascolti. La nostra preghiera non deve limitarsi a
essere un monologo personale. È Dio stesso a prendere la parola, è lui il primo
orante. Ci supplica di poter condividere la nostra vita. Questa è la sua
volontà, il suo desiderio più profondo. Se Dio ci parla allora è importante
familiarizzarci sia con Gesù sia con la Scrittura, poiché è qui dove impariamo
ad ascoltarlo. Non basta tuttavia essere edotti su tutti gli approcci biblici
moderni. Questi possono essere di aiuto, ma la parola di Dio deve essere letta
e “ruminata” a un livello più profondo; deve portare a un “dialogo
contemplativo” e aiutare a discernere Dio nella propria esperienza.
Ma oltre
che nella Bibbia, Dio si lascia riconoscere anche negli avvenimenti della vita.
Egli viene a noi in maniera del tutto inattesa, attraverso innumerevoli vie.
Il
silenzio e la disponibilità all’ascolto non sono però le sole forme di
preghiera. Bisogna che essa si esprima anche come una relazione d’amicizia.
Infatti, come scrive Teresa d’Avila, “la preghiera non è altro che un’amicizia
intima con Colui da cui sappiamo di essere amati”.
Un altro
aspetto della preghiera è il ringraziamento. Chi prega è contento che Dio sia
così come egli è. Il rendimento di grazie trova il suo luogo privilegiato
nell’Eucaristia e nella celebrazione della domenica “giorno del Signore”. Ma
anche al di fuori dell’Eucaristia è necessario imparare a rendere grazie in
ogni circostanza, come raccomanda Paolo (1 Ts 5,18). Si tratta di qualcosa di
fondamentale per il nostro stile di vita, commenta l’opuscolo dei vescovi; ed è
essenziale anche per la nostra salute psichica. Infatti, “che cosa mai possiedi
che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come non
l’avessi ricevuto?» (1 Cor 4,7). Questa consapevolezza ci dice che non dobbiamo
portare la vita come un fardello che pesa sulle spalle. Se siamo riconoscenti,
possiamo trovare appoggio su Qualcun altro. Saperlo, vuol dire ricevere un grande
dono. La gratitudine può anche guarirci dallo stress e dallo strapazzo. Essa
ricrea un contatto sano con le cose e con gli altri.
Questa
preghiera di riconoscenza deve accompagnarci in ogni momento e soprattutto
avere il suo posto la sera, guardando alla giornata trascorsa. Le esperienze
dalla giornata non devono essere considerate come qualcosa che va da sé; sono
tanti piccoli doni di Dio che ci rivelano la sua presenza. Chi lo percepisce si
sente contento. Allora il suo esame di coscienza non partirà più da una ricerca
scrupolosa delle mancanze compiute, ma diventerà in primo luogo un
riconoscimento pieno di gratitudine al Signore.
Altre
volte, sottolinea ancora l’opuscolo dei vescovi, la preghiera può assumere la
forma di lode, come risposta d’amore all’Amore ricevuto. Si pensi per esempio
al Magnificat di Maria, oppure alle preghiera di san Francesco nel cantico
delle creature…Anche noi abbiamo tante ragioni per lodare il Signore per tutto
quello che ci ha dato in Gesù.
Inoltre,
può essere preghiera di supplica. Si può dire pertanto: a ogni momento, la sua
preghiera. A volte emergono delle ragioni per lodare o ringraziare, altre volte
la preghiera può diventare un gemito, una supplica o una domanda, a seconda dei
problemi che sentiamo nel cuore. In una parola, se si cresce veramente nella
preghiera, essa diventerà il lievito, l’orientamento delle nostre giornate.
Come diceva giustamente Dietrich Bonhoeffer: «La preghiera del mattino decide
la giornata». Con la preghiera, ciò che facciamo o non facciamo, le scelte
compiute, il lavoro intrapreso, i contrattempi, tutto viene posto sotto il
segno dell’alleanza con Dio. È nella vita quotidiana che i cristiani possono
“camminare con Dio”.
La
preghiera insegna anche a vivere meglio il tempo, che per molti è una specie di
idolo che li rende schiavi. Se questo avviene, allora tutto è profondamente
sconvolto: il rapporto sereno con coloro che ci attorniano, l’attenzione ai
nostri desideri più profondi, la presenza di Dio, tutto diventa fonte di un
malessere lancinante. La preghiera invece ci insegna a utilizzare il tempo in
maniera più umana e a evitare di considerarlo come un treno di vagoni vuoti, da
riempire assolutamente con l’azione. Il tempo è ben più di un’agenda di cui
bisogna riempire le pagine. Se l’orologio digitale che segna lo scorrere del
tempo è necessario per la tecnica e la scienza, un approccio del genere è
invece mortale per la nostra vita. Le persone che si amano non badano all’ora.
Ciò che conta è la meraviglia di vivere un momento che apre nuove prospettive
al loro amore. Perciò nella preghiera non bisogna accanirsi a fare qualcosa, ma
unicamente aspettare con impazienza Qualcuno che viene verso di noi. Questo
incontro del tutto immeritato è un puro dono. Basta essere aperti, nella
fiducia che Egli verrà a suo tempo. La preghiera è l’ora dell’incontro.
I
vescovi concludono: «Tutto ciò che fa di noi dei cristiani trova il suo
dinamismo nel rapporto con Dio. Non ci si scappa: un cristiano senza la
preghiera è un cristiano in pericolo. Impegno cristiano, annuncio, celebrazione
diventano affannosi se la preghiera s’interrompe. In effetti se la nostra
diaconia non ha come punto di partenza l’amore ricevuto da Dio, rischia di
ridursi, poco alla volta, a una semplice filantropia. Alla stessa maniera,
senza l’accompagnamento della preghiera, la nostra catechesi degenera in
propaganda; se la nostra preghiera liturgica perde di intensità, allora la
liturgia si ridurrà a una celebrazione senza la percezione del mistero della
venuta di Dio.
In una
parola, ribadiscono i vescovi, dove cessa la preghiera, muore la fede.
Ecco la
ragione di questo anno dedicato alla preghiera. Essa deve diventare l’astro che
ci precede nella notte e nell’oscurità, il mezzo per riscoprire l’ “unico
necessario”, la “perla di grande valore”. Solo così saremo allora anche in
grado di tendere la mano a tutti coloro che sono in cerca di senso e di
sostegno.
A.D.
1Mistico
fiammingo, vissuto tra il 1293 e il 1381, si ritirò con due compagni in un
eremitaggio a Groenendaal, nei pressi di Bruxelles. In seguito, raggiunto da
altri compagni, diede inizio alla comunità dei “canonici regolari”.