IL VOLTO DI UNA CHIESA MISSIONARIA
Nei giorni del terzo Convegno
missionario nazionale (Montesilvano, settembre 2004) molti, nei dialoghi di
corridoio, si mostravano perplessi sul fatto che le comunità cristiane italiane
volessero e potessero cambiare il loro modello pastorale in direzione di una
vera missionarietà. Il momento più dinamico del convegno stesso, quello dei
laboratori, offriva interessanti linee di conversione pastorale, che oggi
possono essere rivisitate in vista del prossimo appuntamento ecclesiale di
Verona (ottobre 2006), caratterizzato da un tema quanto mai missionario,
Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo.1
NELLA PROSPETTIVA
DI VERONA
La sorgente della speranza è il
Risorto: dunque la Chiesa deve mettere al centro l’annuncio del regno di Dio,
più che di se stessa. Questo comporta che la gioiosa proclamazione deve
pervadere ogni ambito e che il confronto con gli “altri” è il vertice di ogni
attività (cf. il laboratorio di Montesilvano su annuncio e testimonianza, p.
192). La radice della speranza è nel battesimo, che aiuta a vivere con libertà
la sofferenza (umana e apostolica) e a percepire la storia come già salvata. Un
solo esempio dei tanti emersi dai vari continenti durante il convegno del 2004:
mons. Masserdotti, vescovo di Balsas in Brasile, chiedeva un maggior tasso di
profezia al cristianesimo dei ‘primi mondi’ nei confronti dei popoli della
povertà, soprattutto per superare la distorsione del Dio trino in quella del
Dio quattrino. «Una Chiesa troppo preoccupata di sé, ripiegata al suo interno,
non è più in grado di garantire l’annuncio del Vangelo… Le strade in cui, oggi,
la vita religiosa esprime la profezia del suo rinnovamento sono varie: le unità
di strada, i centri di ascolto, le comunità di accoglienza, la preparazione
professionale, il ministero pastorale» (sr. Antonietta Papa a nome dell’Usmi,
pp. 139-141).
Il racconto della speranza diventa
quella testimonianza del filosofo ateo convertito Gabriel Marcel, che, dopo la
morte della moglie, comprende che «la speranza non va confusa con il personale
desiderio di felicità: essa è uno stile di pensiero e di vita che mi vincola
alla persona cara (e quindi a Dio) e agli altri… spero in te per noi». Il
volume degli Atti di Montesilvano è prezioso vademecum di questa speranza
realistica; vedi i laboratori su islam (p. 193), buddismo (194-195),
fondamentalismi religiosi (p. 199) ecc. L’esercizio della testimonianza diventa
allora arte che accoglie e discerne alcuni degli ambiti della vita odierna
individuati dalla Traccia del convegno di Verona: a) il mondo delle fragilità
umane (discriminazioni razziali, p. 176; infanzia negata, pp. 178-179; il mondo
degli esclusi, p. 184); b) la trasmissione del patrimonio culturale (scuole,
media, informazione alternativa, la famiglia, seminari e scuole teologiche), c)
cittadinanza (cf. p. A. D’Andria su opzione preferenziale per i poveri, pp.
108-109; p. D. Bossi su vie di giustizia e di promozione della pace, pp.
166-168; M. Toschi su guerra e terrorismo, pp. 169-171; S. Marelli sulla
governance mondiale, p. 173; R. Moro su debito estero e paesi poveri, pp.
185-186).
IL MOVIMENTO
MISSIONARIO
Don Gianni Colzani (pp. 331 e ss.), nel
tracciare la sintesi del convegno di Montesilvano, si diceva convinto che «il
movimento missionario italiano sia non solo una realtà grande e bella ma che
sia anche giunto a formulare una sua proposta di vita cristiana, una sua
proposta globale. Voglio dire che questo movimento, quello qui rappresentato, è
portatore non solo di una serie di iniziative di appoggio alla missione ad
gentes ma anche di una maniera di interpretare la fede e, quindi, di
comprendere la persona di Gesù e l’esperienza della Chiesa, di una maniera di
leggere la storia e, quindi, di valutarne le dinamiche e le prospettive, di una
maniera di intendere la vita e, quindi, di coglierne i valori e il significato.
Il movimento missionario italiano non è più solo il volto della Chiesa italiana
verso l’estero, non è più solo un settore dell’attività di questa Chiesa ma è
un soggetto ecclesiale con una sua nitida identità».
Il primo convegno missionario (Verona
1990) era stata la conferma della ricchezza multiforme dei doni dello Spirito;
il secondo convegno (Bellaria 1998) è stata la consapevolezza della loro
sincera ecclesialità. Montesilvano (2004) rappresenta la coscienza di un
movimento che ritiene di poter e di dover contribuire in modo tutto particolare
al cammino della Chiesa italiana. Toccato dalle parole della Nota CEI sulla
parrocchia («comunicare il Vangelo in un mondo che cambia è la questione
cruciale della Chiesa in Italia oggi», 1) e da quelle del documento CEI
programmatico per il primo decennio del terzo millennio («la missione ad gentes
non è soltanto il punto conclusivo dell’impegno pastorale ma il suo costante
orizzonte e il suo paradigma per eccellenza», 32), il popolo della missione è pronto
a dare il suo contributo e a mettere le sue ricchezze al servizio dei fratelli.
«Per ritrovare le radici della
missione, continua Colzani, vorrei ritornare al pomeriggio di lunedì quando
questo convegno è cominciato. In quel pomeriggio abbiamo fatto tre cose:
abbiamo fatto memoria del nostro battesimo, abbiamo intronizzato il Vangelo e
abbiamo richiamato a noi stessi la coscienza dei profondi cambiamenti oggi in
atto. A mio parere vi sono qui le tre radici di ogni missione… La nostra
consapevolezza di ad gentes ci ha portato a collocare il nostro battesimo in un
quadro ampio, il quadro dell’agire di Dio. Abbiamo così ricordato che la terra
è piena dello Spirito di Dio e che lo Spirito, acqua di vita, opera nei cuori
di tutte le persone… L’intronizzazione del Vangelo ci ha richiamato quella
vocazione che ha raccolto la nostra vita attorno al Verbo fatto Servo; fu
infatti contemplando quel Verbo che ognuno di noi si è sentito mandato, inviato
ad gentes. In questo servizio abbiamo incontrato molti drammi… Abbiamo così
imparato che il cuore del Vangelo è il passaggio dalla morte alla vita e che
questa buona notizia è il segreto ultimo di una storia animata dall’amore del
Padre. Questo Vangelo è stato il tutto della nostra missione. Il vangelo del
Regno comprende per noi il mistero dell’amore dell’Abbá, la riformulazione dei
rapporti tra le persone su basi nuove e il misterioso legame che la croce di
Gesù ha reso possibile tra la sofferenza e l’amore salvifico. Per questo il
vangelo del Regno non ci ha allontanato da Dio ma ci ha avvicinato alle
persone… Certo abbiamo utilizzato analisi culturali e sociali, abbiamo anche
assunto posizioni politiche ma solo perché fosse pieno e senza ombre il
servizio a quel Gesù che è venuto perché tutti abbiano la vita e l’abbiano in
abbondanza… Il terzo momento ci ha richiamato la realtà di un mondo in profondo
cambiamento; per noi, il battesimo e il Vangelo non possono essere vissuti se
non in questo cambiamento… il dramma dei cambiamenti e la debolezza nel
guidarli hanno il volto di milioni di persone, hanno il volto delle gentes, dei
popoli e delle loro migrazioni, del loro bisogno di pace, di salvezza, di vita.
Il battesimo, il Vangelo e la storia sono le nostre radici, sono i punti a cui
continuamente ritorniamo e da cui continuamente attingiamo energie; ci hanno
insegnato che la missione è un’azione divina testimoniata da uomini e donne che
la servono».
Oggi la missione non si presenta come
un dare ma come un condividere rispettoso e accogliente. Questo implica
l’abbandono di quella concezione coloniale che la pensava sullo sfondo
dell’espansione culturale e religiosa dell’occidente, come conquista di spazi e
ampliamento della propria zona di influenza; la missione è condivisione del
Vangelo in una condivisione di vita.
L’evangelizzazione appare dunque come
il coraggio dell’annuncio e la semplicità radicale e disarmante della
testimonianza della vita, fino al martirio. L’annuncio è l’espressione della
figura affascinante di Gesù e nasce dalla consapevolezza del suo continuare ad
agire anche oggi: è annuncio di una salvezza e di un Salvatore. Un annuncio che
va fatto anche a popoli che hanno un profondo senso religioso, in modo attento
alla sensibilità culturale di quei popoli. In questo modo emerge il laico come
annunciatore che diffonde il Vangelo che ama, come operaio del Regno che ne
divulga i valori, come christifidelis che testimonia quanto esso gli ha
riempito il cuore.
Perciò il nodo della comunione nella
corresponsabilità preoccupa e interessa in vista di Verona: esige che si
valorizzino maggiormente i carismi presenti, che si dia maggiore spazio al
dialogo e ai rientrati sia diocesani sia di istituti missionari. In una società
dalla fede tradizionale, che ha conosciuto una pesante separazione tra fede e
vita, quest’impegno rappresenta una condizione previa per poter presentare il
Vangelo con maggior credibilità.
M. C.
1 Cf. la riflessione di Francesco
Grasselli Da Montesilvano a Verona (pp. 11-20), in “Comunione e
corresponsabilità per la missione”, EMI 2006, pp. 383, € 15,00.