DOVE SI POSA LO SGUARDO DI DIO

 

Lo sguardo di Dio “fa preferenze”, distingue tra chi ama e chi non ama,

tra vittima e carnefice. Inizia dalle periferie della storia.

 

«L’occhio desidera bellezza e grazia» (Sir 40,22). Questa è la stella polare per l’occhio dell’uomo, il suo orizzonte. L’occhio va dove c’è bellezza. Lo dice, con una dimostrazione al negativo, anche Isaia, parlando del Servo sofferente: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto» (Is 53, 22). Ma se lo sguardo dell’uomo ha per prima cosa fame e sete di bellezza, se trova la sua gioia nella contemplazione del bello e del luminoso, quello di Dio secondo la Scrittura è mosso altrimenti. Sono quattro gli elementi su cui si posa lo sguardo di Dio.

La bellezza. Quel bello e buono che in principio è una cosa sola, che unisce in sé i due concetti di bontà e bellezza in un’unica parola, che da subito rapì lo sguardo di Dio e creò la prima meraviglia divina. «Dio guardò e disse: che bello!». La bellezza è la prima caratteristica che Dio attribuisce, il primo aggettivo con cui è qualificata la creazione. L’occhio di Dio desidera bellezza e trova gioia in essa.

Le lacrime. Quasi all’opposto della bellezza, un altro elemento cattura lo sguardo di Dio: «Le lacrime. Le mie lacrime nell’otre tuo raccogli»(Sal 56, 9). Neppure una va perduta, il Signore conta ad una ad una le mie lacrime, sono preziose ai suoi occhi. Il Signore conserverà le lacrime dell’uomo. Tesoro di Dio sono le lacrime. Il suo otre è pieno, un immenso archivio di lacrime. Per questo alla fine della storia il suo compito, la sua promessa è quella di «tergere ogni lacrima dal volto di ogni uomo»(Ap 7,17; 21,4).

Una lacrima è il sangue dell’occhio, il sangue alla sua sorgente. Il linguaggio delle lacrime mostra che Dio vede la sofferenza del popolo, guarda al dolore dei suoi poveri, alla persecuzione del giusto. Conta le stelle nel cielo, ma conta ogni fibra del povero, non una lascia che sia spezzata. L’eloquenza delle lacrime giunge fino alle lacrime dell’uomo spirituale. Nell’esperienza mistica esse non configurano uno stato di forte emozione: sono una rivelazione, sgorgano da una visione spirituale come velo sugli occhi, ma velo che rivela. Chi piange discende verso la sua sorgente.

L’umiltà. Lo sguardo di Dio penetra gli abissi, va di eternità in eternità, ma si posa come colomba sull’umiltà della sua serva (Lc 1,48). Il Signore guarda l’umile (Sal 138, 6). Preferisce il piccolo. Mette in mezzo perché sia al centro degli sguardi un bambino. Ciò che il Signore ha in abominio è l’occhio superbo, «non sopporta l’occhio altero»; davanti a lui il peccato è avere occhi superbi. Questi non sanno guardare; guardano dall’alto in basso, non sono rivelazione e non creano relazione. L’umiltà invece guarda dal basso verso l’alto, come Gesù inginocchiato ai piedi dei discepoli quando lava loro i piedi: l’esatta relazione.

Il peccato dell’occhio superbo è uscire dalla fraternità; con occhio superbo non ti riconosci fratello dei tuoi fratelli, non riconosci Dio come Padre di tutti, per questo al superbo il Signore volge lo sguardo da lontano.

L’amore. Lo sguardo si volge verso l’oggetto del tuo amore, verso Abele e la sua offerta, verso colei, dice il profeta, che è la delizia dei tuoi occhi (cf. Ez 24,159. «Ti vedo, luce dei miei occhi» (Tb 11, 13): noi siamo la luce degli occhi di Dio e l’occhio a sua volta cerca la luce. Cerca e si posa su ciò che ama, luce della vita.

Occhio rinvia al cuore. Ma se l’occhio è guidato dal cuore, si verifica anche il percorso inverso: l’amore nasce con il primo sguardo: «Mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo»(Ct 4,9). Prima viene l’occhio, primo strumento di comunicazione, primo organo che esprime la sessualità umana. Lo sguardo non è innanzitutto per vedere, ma per amare.

Il linguaggio degli occhi dice che lo sguardo di Dio non è imparziale, fa delle preferenze, distingue tra vittima e carnefice, inizia dalle periferie della storia.

E questo è anche il nostro compito: conquistare lo sguardo di Dio.

 

Ermes Ronchi

da Il linguaggio degli occhi nella Bibbia,

 in Lo sguardo di Maria sul mondo contemporaneo, Ediz.AMI, Roma 2005