CONVINZIONI E PROPOSTE DEL MINISTRO GENERALE OFM

LA SCELTA DEGLI ESCLUSI

 

L’abbraccio del lebbroso da parte di Francesco, paradigma del rapporto tra i frati minori e i tanti “esclusi” di oggi. Ma c’è ancora troppa distanza tra le parole e i fatti. Solo liberando la profezia evangelica, ponendo al centro la parola di Dio, sarà possibile costruire “ponti” per intercettare le attese degli esclusi del nostro tempo.

 

Vi confesso che non mi è facile scrivere o parlare su questo tema. Ho molta paura, vero panico anzi, se penso che la crisi che stiamo attraversando, benché intesa come opportunità e difficoltà, ci porta a volte a nascondere l’insicurezza e lo sconcerto e il deficit di vita nel quale viviamo». Troppo spesso le con parole e i discorsi, percepiti che paiono inizialmente come buoni e innovativi, alla prova dei fatti diventano, invece, « ma che subito si convertono in “temi”, di modo che, ancor prima di essere esternati in maniera vitale, essi suonano ai nostri orecchi come già vecchi e obsoleti perché hanno poco a che fare con la nostra vita concreta». Con queste consapevoli preoccupazioni ha aperto il suo intervento il ministro generale dei frati minori, p. José Rodriguez Carballo, in occasione del consiglio internazionale “Giustizia e pace”, svoltosi a Uberlândia, in Brasile, 11-12 febbraio 2006.

Parlando degli “esclusi del nostro tempo” era in qualche modo inevitabile partire dall’atteggiamento di Francesco nei confronti degli esclusi del suo tempo. Il suo abbraccio con il lebbroso era stato qualcosa di più di un semplice gesto di compassione, di vicinanza o di solidarietà. Voleva essere, invece, il segno della sua decisa scelta di «una forma di vita di altissima povertà che fu quella del Figlio e della sua madre poverella». E lo ha voluto fare insieme ai suoi frati e ai «sacerdoti poverelli che vivono secondo la forma della santa Chiesa romana». Per quanto personale potesse essere, l’opzione preferenziale di Francesco per i poveri non avrebbe mai potuto prescindere, però, da una piena comunione con i propri fratelli e con la Chiesa. Ma essere in comunione con la Chiesa non ha mai esonerato i frati minori, lungo la storia, dallo svolgere una particolare funzione profetica anche nei confronti degli uomini di Chiesa «per ricordare loro il vero progetto di Gesù, talvolta offuscato da strutture, istituzioni e, chiaramente, anche da incoerenze».

ANCORA

TROPPA DISTANZA

Pedro Casaldaliga dice che dobbiamo “pensare anche con i piedi”, cosicché le nostre riflessioni non ci portino a confondere pratica e pensiero (tra i due esiste talvolta un grande divorzio) a tal punto da render le nostre parole vuote, se non addirittura parole obsolete.

In una umanità crocifissa come la nostra, il mondo degli esclusi è sempre più vasto. Basti pensare alla lunga schiera degli uomini e donne che dormono lungo le strade, sulle banchine delle stazioni, nei parchi, di «coloro che mettiamo da parte perché non si integrano nei nostri sistemi e così li disintegriamo». Basti pensare, ancora, ai milioni di disoccupati, giovani e adulti, ai milioni di ammalati cronici (malati di Aids, depressi, handicappati), ai tossicodipendenti, che non hanno altra alternativa se non la morte, alla moltitudine degli anziani abbandonati e alle donne maltrattate e violentate, alla moltitudine dei bambini di strada, privati della loro infanzia, costretti a vagare, a lavorare, a vendere il proprio corpo per sopravvivere, in paesi sempre più poveri, privi di qualsiasi prospettiva di sviluppo, spogliati della propria identità culturale, delle proprie risorse naturali, privati della libertà.

Sull’esempio di Francesco, nei confronti di tutti questi esclusi i frati minori sono oggi chiamati a usare loro misericordia, ad abbracciarli, a capire, cioè, e ad alleviare la loro infelicità, considerandola in un certo modo come propria. Solo adottando la “mistica della misericordia” del Signore sarà possibile trasformare la propria esistenza «fino a diventare lebbrosi con i lebbrosi, poveri con i poveri, esclusi con gli esclusi, fino ad andare fra di essi, a vivere con essi e servirli poiché questo è il vero significato di “usare misericordia”, “abbracciarli”».

In 800 anni di storia i frati minori non si sono mai stancati di abbracciare gli esclusi del proprio tempo. E continuano a farlo anche adesso, attraverso il dialogo interreligioso, le fraternità interculturali, la collaborazione nei diversi ambiti di solidarietà, in difesa dei diritti umani, e anche trasformando, se necessario, le strutture sociali ingiuste. Sono sempre più numerosi i frati minori, di ogni età, che vivono in situazioni di conflitto e di violenza, in piena sintonia con la gente. «Mentre altri se ne vanno, essi, pur potendolo fare, restano a rischio la propria vita, spesso fino al martirio, come segno di solidarietà radicale con gli esclusi».

Eppure, nonostante il numero enorme di frati che lavorano con il lebbrosi, gli ammalati di Aids, i tossicodipendenti, i senzatetto, sussiste spesso «una distanza che ci fa soffrire e in qualche modo mette in discussione la radicalità della nostra opzione per il Regno come priorità assoluta. Non basta enunciare l’opzione preferenziale per i poveri. Bisogna avere il coraggio di «incarnare l’ideale in progetti concreti», superando tutti gli ostacoli, esterni e interni, che inevitabilmente i frati minori incontreranno lungo il proprio cammino. Accanto, infatti, agli ostacoli di natura strutturale, tipici del sistema economico neoliberale che rischia facilmente di compromettere ogni doverosa azione profetica e ogni “posizione evangelicamente critica”, altri ostacoli «sorgono dalle nostre stesse strutture e tipi di organizzazione delle nostre entità, che sono spesso troppo rigide, non rispondono ai bisogni della nostra epoca, rendono difficile la creatività che le risposte alle nuove sfide esigono». Il modello economico della maggior parte delle entità e degli stessi processi formativi dei frati minori «spesso non aiutano a vivere come compagni e amici degli esclusi, creando piuttosto spazi protetti che impediscono una solidarietà reale con queste persone».

Con timore e tremore, ma con un grande grazie da parte mia agli organizzatori di questo congresso e a tutti coloro che hanno risposto al mio invito, parlerò pensando soprattutto a un cambiamento di mentalità (conversione) che ci porti, come Francesco, ad abbracciare gli esclusi dei nostri giorni, contemplando in essi il volto di Cristo povero e crocifisso.

UN NUOVO

STILE DI VITA

Per questo motivo partirò dal cammino che portò Francesco ad abbracciare il lebbroso e ad andare in mezzo a loro, per soffermare poi lo sguardo sulla nostra vita e sul cammino da percorrere per avvicinarci all’escluso di oggi. Credo che questo itinerario di riflessione sia sufficientemente giustificato dal semplice fatto che il nostro incontro avviene nel primo anno di preparazione alla celebrazione dell’VIII centenario della fondazione del nostro ordine, dedicato in modo speciale al tema del discernimento.

Non mancano, purtroppo, neanche certi ostacoli che nascono all’interno della stessa vita consacrata. Sono facilmente individuabili nei tanti “volti della paura” di correre rischi sul piano istituzionale e della missione, di confrontarsi con ciò che è nuovo e diverso, di perdere potere, in altre parole, di compromettersi con gli esclusi. A tutte queste paure si aggiungono non raramente anche certe divergenze e certi conflitti interni che paralizzano l’azione profetica del gruppo e compromettono un’autentica collaborazione tra le varie entità.

Tuttavia «ciò che più di tutto ci separa dagli esclusi e ci impedisce di abbracciarli è molto spesso il nostro stesso stile di vita». È, infatti, molto facile separarsi dalla gente ogni volta che la cupidigia prende il posto della moderazione. È quanto si verifica quando ci si misura con gli altri sulla base di «quanto abbiamo e di quanto contiamo», quando si è alla ricerca del meglio e non ci si accontenta del necessario, quando si cede alla tentazione di cercare la sicurezza e accumulare “grano nei nostri granai”, giustificandosi di fronte alla temuta eventualità dei tempi delle vacche magre. Ci si separa dagli esclusi, in definitiva, «quando le nostre parole in favore degli esclusi sono solo per sentito dire e non hanno nulla a che vedere con la nostra vita», quando si pronunciano solo parole vuote, o, peggio ancora, quando queste parole vuote vengono strumentalizzate fino al punto da diventare pura ideologia.

Ciò che serve e ciò che viene chiesto ai frati minori è un impegno concreto a favore degli esclusi: «Dobbiamo accettare la provocazione e vedere che cosa dobbiamo cambiare o, meglio ancora, come dobbiamo cambiare perché il dono della profezia sia liberato e possiamo abbracciare tutti gli esclusi del nostro tempo». Dichiarando di voler esprimere una sua “profonda convinzione”, padre Carballo giustamente osserva che i cambiamenti non si producono semplicemente perché si è deciso di cambiare. I cambiamenti più veri e profondi «sono frutto dell’apertura allo Spirito del Signore che ci parla attraverso la Parola, che si fa presente nel discernimento della fraternità, che ci guida con le domande che il contatto con gli esclusi suscita nei nostri cuori». Senza questa reale consistenza spirituale e senza la disponibilità a ricerca le ragioni per cui cambiare costa tanto, non si va lontano.

Nella concreta prospettiva di gettare ponti tra i frati minori e gli esclusi, sulla base di una seria analisi della realtà da una parte e delle forze disponibili sul campo dall’altra, padre Carballo tenta di enunciare alcuni urgenti e irrinunciabili cambiamenti. Pur consapevoli, realisticamente, dei propri limiti, dovuti all’età e al numero, anche in vista dell’VIII centenario della fondazione dell’ordine, «siamo chiamati a promuovere la riflessione sugli elementi essenziali della nostra “forma di vita” e allo stesso tempo sui segni dei tempi e i “segni dei luoghi” per rispondere meglio alle sfide che ci vengono dal nostro carisma e dal grido degli esclusi e assumerci perciò il compito di una rifondazione autentica del nostro ordine».

In uno spirito di libertà interiore e di itineranza affettiva ed effettiva tipicamente francescana, i minori dovrebbero tentare di spostarsi verso nuovi luoghi di missione, verso i “nuovi areopaghi”, disposti anche ad abbandonare alcuni attuali ministeri. Dovrebbero lasciarsi sedurre dai “chiostri dimenticati”, dai “chiostri inumani” dove la bellezza e la dignità della persona sono continuamente offese, andando verso la frontiera e spostandosi nelle periferie che da sempre sono state segni di vitalità profetica nella vita francescana e di fedeltà al carisma ereditato da san Francesco.

Proprio tornando allo spirito delle origini, i frati minori, dovrebbero promuovere un inserimento concreto delle proprie fraternità fra la gente, dando spazio soprattutto ai poveri, specialmente nei luoghi dove si trovano persone con differenti credo religiosi, rafforzando la ferma convinzione che Dio è il Padre di tutti, che il suo amore è aperto a tutti e che accoglie tutti. Questa consapevolezza «ci predispone al dialogo e alla collaborazione e moltiplica la capacità di risposta alla situazione di esclusione che vivono tante persone nel nostro mondo». Sarà così più facile dar vita a comunità interculturali e internazionali in cui condividere la fede e il patrimonio culturale di ciascuno alla luce del vangelo, a fraternità che amministrino le proprie risorse materiali e spirituali in favore di chi non possiede nulla.

EVANGELIZZATI

DAI POVERI

Signore, cosa vuoi che io faccia? (3Comp. 6)

Per poter vivere più radicalmente la dimensione profetica della vita in favore dei poveri e degli esclusi, qualcosa deve assolutamente cambiare. E il punto di partenza non può non essere la fedeltà al carisma delle origini, alla parola di Dio, alla missione di Gesù e alle modalità con le quali lui l’ha saputa realizzare. Ogni tentativo di cambiamento si deve radicare nella ferma convinzione che una rinnovata consapevolezza della dimensione profetica della vita consacrata è essenziale, dal momento che «oggi ci è richiesto molto coraggio e creatività per creare occasioni concrete per manifestarla».

La profezia, in quanto dono dello Spirito, è sempre stato un elemento costitutivo della vita consacrata e in particolare della forma vitae francescana.

Non è possibile aprirsi agli esclusi senza prima aprirsi al Dio, pieno di clemenza e ricco di misericordia, di Gesù. «Dare priorità al Signore nella nostra vita è la condizione per abbracciare gli esclusi in chiave evangelica e francescana». Saranno poi i poveri stessi ad evangelizzare e ad aiutare i frati minori «a scoprire il volto di Dio e a rinnovare le nostre fraternità».

Non è meno urgente, poi, formarsi e approfondire una spiritualità integrale, alimentata da una lettura contestualizzata della parola di Dio. Solo sulla base di questa Parola è possibile rinnovarsi profeticamente e dar vita a fraternità che in quanto segni del Regno sappiano aprirsi all’accoglienza e alla solidarietà con i più bisognosi.

Senza rinunciare, inoltre, a tutte le possibili opere assistenziali «dobbiamo impegnarci maggiormente nella promozione di una cultura di vero rispetto della dignità degli esclusi». Bisogna saper «analizzare e riflettere sulla nostra stessa esperienza di esclusione all’interno delle nostre fraternità, poiché ci aiuterà a non escludere altri né nella Chiesa né nella società in generale».

Sulla base di tutte queste convinzioni di partenza, è poi facile trarne tutte le conseguenze operative: dal primato della parola di Dio e dalla sua condivisione con i poveri alla revisione, proprio a partire dai poveri, dello nostro stile di vita e di tutte le opere e strutture economiche. «Riconosciamo la necessità di prendere alcune decisioni significative in questa linea, che ci aiutino a vivere in una certa precarietà e nella totale disponibilità alla missione». Non è affatto verosimile che i frati possano anche solo apparire «una classe lontana dalla vita della loro gente». Estendendo il più ampiamente possibile le reti di solidarietà è invece importante «far crescere la speranza della gente».

Insieme a tutti gli altri religiosi si dovrebbe attivarsi «per promuovere la presenza della vita consacrata nei forum mondiali alternativi e nei centri di decisione dove si determina il futuro dell’umanità». È indispensabile essere presenti nei luoghi dove la vita e la dignità sono maggiormente minacciate, cercando di attivare, insieme ad altri consacrati, tutte quelle «piattaforme che ci permettano di dare risposte concrete ad alcune situazioni drammatiche nelle quali vivono gli esclusi».

«Ciò che stiamo facendo per gli esclusi, ha osservato il ministro generale, è molto e di questo dobbiamo ringraziare il Signore». Ma anche le sfide sono molte.

Nonostante le tante paure e le infinite debolezze, sotto l’azione dello Spirito e sull’esempio di Francesco, bisogna avere il coraggio di liberare la profezia per saper andare tra i tanti lebbrosi di oggi. Spesso manca solo il coraggio di mettersi decisamente in cammino.

 

A. A.