ALLE RADICI DELLA VITA CONSACRATA

SENZA PASSIONE NON C’È CONVINZIONE

 

Il vero problema della vita consacrata non sta nel cambiarla, ma nel viverla autenticamente. Non si tratta di cercare un’altra forma, ma di vivere quella che abbiamo in maniera nuova, ossia sforzarci di vivere come ha vissuto Gesù Cristo. Non quindi una formula o una ricetta, ma una Persona viva.

 

E’ possibile un’altra vita religiosa? Se lo chiede Ignacio Iglesias sj, direttore di esercizi spirituali e scrittore, in un articolo riferito al congresso della vita religiosa che si è tenuto a Roma, nel novembre 2004, sul tema Passione per Cristo, passione per l’umanità. A questo interrogativo egli ne contrappone un altro: un’altra vita religiosa? ma perché non questa? E la sua risposta è: sì, questa, ma vissuta in un’altra maniera. Non si tratta di entrare in un gioco di modi, ma semplicemente di viverla con tutta la nostra persona. La vita, in effetti, non si può spostare come un mobile e cambiare come un vestito. Il problema della vita religiosa, come problema di vita, non sta nel cambiarla, ma nel viverla e ciò spetta esclusivamente alla responsabilità della persona.

Più che cambiarla quindi si tratta di crescere, di maturare e ciò vale anche per tutta la vita cristiana, come scrive Paolo: «… finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo» (Ef 4,13-15).

 

IL VANGELO

NON LE OSSERVANZE

 

L’impegno originale del nostro battesimo: vivere come ha vissuto Gesù Cristo – tradotto poi come impegno nella nostra consacrazione religiosa – esige che abbiamo a crescere come è cresciuto Gesù Cristo. Bisogna allora chiederci: siamo cresciuti? O non ci siamo forse preoccupati di accumulare “supporti”, addirittura fino all’eccesso, utilizzati spesso come pillole di crescita? Ma la crescita non consiste in questo, ma nella costante assimilazione del fondamento evangelico che faccia da sostegno a questi ipotetici “supporti”. Abbiamo perfino avuto il coraggio di “addomesticare” questo sostegno evangelico, stabilendo e fissando nostri concetti di abnegazione, povertà, preghiera, obbedienza, missione… Da qui abbiamo derivato stili e forme di vita che hanno finito per essere più delle gabbie che non delle ali. Tutto ciò ci ha impedito, senza volerlo, di entrare nel Vangelo.

Iglesias si domanda: «Di che cosa abbiamo nutrito la nostra abnegazione, povertà, obbedienza, preghiera, missione… di costituzioni o di Vangelo? Di regole o della regola sempre viva, sempre nuova e mai sufficientemente imparata che è Gesù? di etichette o di magistero interiore? di risposte fatte o di domande aperte? Padre Arrupe oltre una cinquantina d’anni fa, diceva: «Parliamo molto della dottrina di Gesù, ma poco della sua persona. E una delle ultime profezie di Giovanni Paolo II dice così: «No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa infonde in noi: Io sono con voi!» (NMI 29).

In questa prospettiva, domandarci se è possibile un’altra vita religiosa, non potrebbe forse suonare come un dubbio circa l’Autore e datore di questa vita, di ciò che la fa esistere, nonostante le nostre resistenze a maturare? Colui che l’ha fatta nascere, diceva sant’Ignazio di Loyola, è lo stesso che la fa crescere. Però a una condizione: che non pretendiamo di sostituirlo, ma che ci lasciamo precedere e accompagnare da lui e cooperiamo con lui, senza voler dettargli le vie, ma di percorrere realmente la Via.

Se ripercorriamo questi ultimi cinquant’anni è facile riconoscere che spesso abbiamo identificato questa vita con le osservanze. Oggi, si chiede p. Iglesias, non corriamo forse il rischio di un inganno equivalente: quello di identificare la vita religiosa con le nuove strutture apostoliche, comunitarie?

Con l’aggravante che oggi siamo “costretti” a cambiarle sia per le circostanze esterne, sia per quelle interne che ci inducono a rivedere, metodi, luoghi, stili, opportunità… di vita e di evangelizzazione. L’inganno sta nel sorvolare sulle nostre persone e nel guardare dall’altra parte anziché ascoltare colui che ci parla in tutto ciò che avviene e che ci invita alla conversione?

 

LA PASSIONE

GENERA LE CONVINZIONI

 

Secondo p. Iglesias, l’aspetto più indovinato del congresso del 2004 è stato di averlo programmato e costruito sull’asse centrale della vita religiosa: passione e convinzione. Esso ha saputo cioè entrare nel dinamismo profondo della vita consacrata: quello di una passione che genera convinzioni, le quali consentono a chi le possiede un esercizio più maturo della persona: scegliere, decidere, attuare. Ambedue, la passione e le convinzioni toccano direttamentel’io di ciascuna persona, posto a servizio di Dio. Il tema del congresso non ha sorvolato le persone; al contrario ha messo in risalto una chiamata a entrare in un processo sempre più completo: quella di un’esperienza originante che nutre, mediante un’illuminazione interiore, la passione e accende l’adesione-convinzione, come necessità di agire mediante esperienze attive sul mondo. Giovanni Paolo II ha descritto molto bene questo nerbo vitale della vita religiosa: «La vera profezia nasce da Dio, dall’amicizia con lui, dall’ascolto attento della sua Parola nelle diverse circostanze della storia. Il profeta sente ardere nel cuore la passione per la santità di Dio e, dopo averne accolto nel dialogo della preghiera la parola, la proclama con la vita, con le labbra e con i gesti, facendosi portavoce di Dio contro il male ed il peccato» (VC 84).

Si può allora descrivere così il processo:

– un’esperienza originante: amicizia, ascolto attento, dialogo della preghiera;

– passione per Dio: sentire ardere il, proprio cuore;

– convinzione: accoglienza, appropriazione volontaria che genera un bisogno di …;

– esperienza di attuazione che proclama e si fa portatrice di Dio mediante i tre idiomi umani: la vita, le opere, la parola (quest’ultimo è il più povero).

Movendosi su questo asse, il congresso ha implicitamente diagnosticato che il vero problema della vita consacrata oggi non riguarda la carrozzeria, gli accessori, l’equipaggiamento, la linea aerodinamica, i nuovi modelli… ma il motore, la responsabilità personale, la revisione dei sistemi interni di formazione per la maturità cristiana, la libertà dei figli di Dio. In passato un regime di “osservanze” non ha garantito questa formazione, né pare che essa sia oggi sufficientemente assicurata e aiutata da una pesante gestione delle strutture in cambiamento. Si tratta piuttosto di passione-convinzione personale, da non semplificare come semplice problema generazionale o culturale, ma da incentrare nella convinzione che, sia i giovani, che le persone più avanti negli anni, vogliono prendere sul serio il battesimo, ossia vivere come ha vissuto Gesù Cristo.

La conferma di questo asse della vita religiosa è stato spesso offuscato dal ricorso alle osservanze, le quali, anziché alimentare la passione e le convinzioni, che si davano per supposte, hanno affogato nella loro rete non pochi doni che la persona aveva messo a disposizione di Dio per gli uomini.

La vita religiosa, sottolinea ancora p. Iglesias ha bisogno di una continua revisione evangelica e di una limpidezza di fondo, in modo che affiori sempre più nelle nostre persone il Vangelo sine glossa. Tutto ciò che non serve alla maturità della persona consacrata – ma sempre persona – e più ancora, la blocca o la deforma deve essere riveduto, poiché non è cooperazione con Dio. Dio non crea persone per imporre loro un decalogo, per premiarle o castigarle a seconda che lo mettano o no in pratica, ma crea uomini e donne a sua immagine e somiglianza per condividere con esse il suo mondo, in qualità di collaboratori liberi e responsabili. Fino a farsi lui stesso “simile” per amore”, “uno dei tanti”, per donarci la maturità dell’obbedienza del suo Figlio che ci libera dall’immaturità della disobbedienza di Adamo, cosa che permane sempre nella nostra natura.

 

CRESCERE

REALTÀ MAI COMPIUTA

 

Maturità che si misura dalla capacità di scegliere e prendere decisioni, da noi stessi, secondo la propria volontà, e di costruire responsabilmente comunità che scelgono, decidono e attuano questa volontà, cercata e trovata.

La vita religiosa, osserva p. Iglesias è una realtà che non è mai compiuta. Cessa di essere, se smette di farsi, se desiste dal “raggiungere” la sua utopia (Fil 3,13-14). Si svuota di significato se consideriamo terminato il processo di coloro che ci hanno preceduto.

Se non lo continuiamo oppure lo continuiamo come “ripetitori fuori tempo” e non come persone che discernono; se ci limitiamo a citare e non a pensare e a far pensare; a eseguire ciò che altri esplorano senza continuare a esplorare noi stessi, cercando oggi, osservando oggi, realizzando oggi. In base all’amore che va molto al di là della mente. Il discernimento ci pone nel più profondo di questa sequela.

Se la vita consacrata deve caratterizzarsi per la sovrabbondanza di gratitudine e di amore, con cui deve inondare un mondo affogato nei propri egoismi, dovrà ravvivare come cuore della sua teologia – teoria e prassi – il nerbo biblico dell’alleanza, amicizia, fedeltà sponsale… che alimenta e rafforza la passione e le convinzioni, elementi essenziali per la persona consacrata. O se si preferisce: il nucleo sacramentale del battesimo in nome di nostro Signore Gesù Cristo.

Questo sacramento, confinato in un tempo ormai lontano, nel rito sacramentale, ha bisogno di essere accolto consapevolmente ogni giorno in Cristo (Rm 6,2-11), come unica via per un impegno volontario di vivere come lui. Pretendere di curare la lacerante anoressia motivazionale con ideologie mascherate di nuovi vocabolari o cambi strategici di gestione o di opere è come voler curare la debolezza della fede con la secolarizzazione del cuore che la produce.

Solo con l’esperienza della passione di Dio verso l’essere umano concreto si accende la passione per Dio e la passione per l’umanità, come unica passione, non due. La prima, irrinunciabile, contiene necessariamente la seconda. Ma non necessariamente il contrario. Pretendere di sfociare nella prima a partire dalla seconda e per mezzo di essa, vuol dire alterare il piano di Dio. Il fatto che l’umanità (gli esseri umani concreti) sia la destinataria della mia vita – e deve esserlo – non significa che essa sia la “ragione”, il motivo per cui devo donarla. Le povertà degli uomini (tutte) sono il vento forte che ravviva questa passione unica; ma non sono esse il combustibile (la “ragione”, il “perché”) che accende e la nutre di continuo. Senza questo combustibile, senza l’esperienza della passione di Dio (Lc 22,15) e il suo diffondersi per il mondo (Ef 1,8), quel vento può soffiare delle ceneri.

Se non c’è passione, prosegue p. Iglesias, non c’è convinzione ed è questa convinzione che crea il bisogno di vivere, che induce a imprimere un impulso alla vita. Senza convinzioni contribuiremo ad accumulare indifferenza – “frustrazione”, “astio”, “delusione”, nuovi volti dell’indifferenza – in un mondo di cui trabocca già per conto suo. Ciò che il mondo aspetta dalla nostra sovrabbondanza di gratitudine e di amore, sono proprio le ragioni per sperare. Quelle che riempiono di significato la vita.

Vivere il momento presente come “fallimento” vuol, dire che ci siamo arrogati poteri che non ci competono. Non ripetiamo lo stesso sbaglio, aspirando a “programmare” un’altra vita, mentre stiamo imparando a vivere in pienezza questa, quella che ci è data.

Se così fosse non riprodurremmo forse in noi stessi il cammino dei due discepoli scoraggiati sulla via di Emmaus, cercando di costruire la vita religiosa a partire dalle nostra speranze, in vece di preoccuparci di vivere e di offrire a tutti l’unica ragione di speranza totale di un essere umano? Più preoccupati di sopravvivere noi stessi che di accendere altri motori, per contatto, a partire dal nostro acceso?

“Noi speravamo”. I discepoli di Emmaus non speravano. Avevano fatto i loro calcoli. Il loro fallimento era annunciato. Non avendo trasformato i disegni di Dio nei loro, non facevano affidamento su di lui. La loro speranza era fragile quanto i calcoli inconfessati su cui li fondavano… Avevano costruito la loro casa sulla sabbia e questa crollò (Mt 7,24-27). Eppure avevano la roccia ben vicina: Era necessario che Cristo amasse così. L’Amore è la roccia, la ragione di tutto. Dio è amore, la ragione di sperare che ogni essere umano ha a sua portata. Se dimentichiamo questa ragione, ci troviamo soli con noi stessi. E questa solitudine è il seno materno della perdita di speranza.

Bisognerà, sottolinea p. Iglesias, che invertiamo di 180 gradi la nostra angustia, anziché andare a mendicare da altri mendicanti formule, strumenti, sostegni per sperare. …”. Questa ragione di speranza non è una ricetta, una formula, un programma (un’altra vita religiosa), ma una Persona viva, fondata su colui che ha detto: «Non abbiate paura, io sarò con voi per sempre».

Rifacendosi ora all’interrogativo iniziale: è possibile un’altra vita religiosa?, Padre Iglesias risponde: realisticamente, è possibile vivere questa (ripulendola con molte glosse del Vangelo) come una grande passione condivisa, che genera convinzioni condivise che portano all’impegno battesimale condiviso di vivere come ha vissuto Gesù Cristo.

È possibile come è stato tante volte nella storia, come una riforma non delle cose, ma delle persone.. Non irretiamoci nei termini. La forme, antiche o nuove, saranno autentiche se nascono e portano il sigillo di questa passione e la forza di questa convinzione, non se sono progetti del nostro laboratorio.

Non si tratta forse di camminare al soffio dello Spirito Santo? In effetti è lo Spirito Santo, più di ogni altra cosa, che continua a guidarci alla verità tutta intera (Gv 16,13). Ed egli continua a battezzarci.