LA SCOMPARSA DI DON DIVO BARSOTTI
MISTICO CHE VISSE LA VITA DI TUTTI
Divo Barsotti, mistico fiorentino fondatore della Comunità dei Figli di
Dio, fu legato da intima amicizia con tante persone, rimanendo interiormente
libero da tutti per vivere una spiritualità della bellezza, che nasce dall’urto
paradossale tra fuga e abbraccio del mondo. Parlò di Dio con il linguaggio
della poesia e della mistica.
Don Divo Barsotti fu un genio
religioso. Platone, nel Menone, ha parlato di “genio etico” nel senso che chi
intuisce il valore che si mostra produce la decisione del volere, l’adesione al
valore. Barsotti fu un “genio religioso”; la sua personale intuizione di Dio
(visione) che si rivela nella natura, nella storia e nell’umanità di Cristo,
riesce a suscitare nell’uomo la decisione di aderire con tutte le potenze alla
realtà del Mistero. Questa intuizione di Dio, Barsotti l’ha comunicata con il
linguaggio della poesia e della mistica, un linguaggio che fu espressione della
sua viva esperienza di Dio. Diceva sempre che la verità può allontanare, il
bene può dare fastidio, ma la bellezza come splendore della verità e del bene
attira. Ecco perché fece sua la verità di Dostoevskij: «La bellezza salverà il
mondo».
VOCAZIONE
SPIRITUALE MONASTICA
Don Divo ci ha lasciato il 15 febbraio
scorso. Era nato a Palaia in provincia di Pisa il 25 aprile del 1914, settimo
di nove figli. A undici anni entrò nel seminario vescovile di S. Miniato.
L’insegnamento della letteratura italiana gli lasciò una traccia profonda. Gli
anni del seminario furono segnati da una profonda crisi. Cercò di abbandonare
l’ideale sacerdotale e trovare la strada per diventare un grande scrittore. La
vera conversione del mistico toscano risale al liceo, quando ebbe un contatto
con gli scritti del grande scrittore russo Dostoevskij. Questo scrittore ispirò
lentamente anche la vocazione e la missione di Barsotti, che fu quella di
vivere e di portare nel mondo la spiritualità monastica. Nei Fratelli
Karamazov, Dostoevskij racconta che lo staretz Zosima chiede ad Alioscia di
lasciare il monastero e andare nel mondo per vivere lo spirito monastico, una
dilatazione d’amore verso tutti gli uomini, un assumere il peccato di tutti, ma
anche un donare a tutti la gioia dell’annuncio pasquale. «Noi siamo
responsabili di tutto e di tutti» (Dostoevskij).
La vocazione di Barsotti si precisa con
altri incontri: «attraverso De Foucauld debbo vivere il mio rapporto con
l’islam, attraverso Monchanin con l’India, attraverso Ghika con l’oriente
cristiano e in particolare con il monachesimo esicasta russo e atonista,
attraverso p. Lebbe con la tradizione cinese; attraverso tutte e quattro io
debbo essere sicuro di una mia vocazione monastica» (D. Barsotti, Ebbi a cuore
l’Eterno, Rusconi 1981, p. 56). Don Divo fu ordinato sacerdote il 18 luglio del
1937. Dopo pochi anni di vita pastorale come vice parroco, fu chiamato a
insegnare, nel seminario di S. Miniato, letteratura italiana al ginnasio
superiore e patrologia al corso teologico. In quegli anni tentò di andare come
missionario in India, ma a causa della guerra non vi riuscì. In questo periodo
scriveva per l’Osservatore Romano e visse un’intensa vita di studio.
“USTIONATO” DALLA
BELLEZZA DI CRISTO
L’incontro con Cristo del 1933 lo
bruciò. Ne conseguì che la sua testimonianza «è voce di ferito, di ustionato
appunto da quella luce prima, abbagliante gli occhi dell’anima, ustione che
lascia l’uomo completamente solo» (E. Fabiani, Prefazione a Ebbi a cuore
l’Eterno, cit., p. 5). Cosa vuoi Signore che io faccia? Fu questa anche la
domanda che Francesco fece a Dio davanti al crocefisso di S. Damiano. Il 26
ottobre 1941 Barsotti scrisse: «Se conoscessi senza interesse il disegno divino
non potrei affezionarmi a quello invece che a Dio? Quanto più cerco la via, i
mezzi, quanto più considero quello che può chiedermi Dio, tanto più il dubbio,
l’incertezza, la tenebra mi avvolge e mi assale. Allora non vedo più nulla. Tutto
mi è sconosciuto. Devo abbandonarmi a Dio con fiducia fermissima e piena
serenità. Egli stesso compirà in me l’opera sua» ( D. Barsotti, La lotta con
l’angelo, Libreria Editrice Fiorentina 1954, pp. 23-24). Don Divo si accorse
che non era il “che fare” che gli interessava, ma la ricerca di Dio, ricerca
continu. Scrisse: «Dio dunque non mi chiama all’azione quasi lasciandomi
lontano da sé, ma dilata il mio cuore così da far mio l’interesse di tutta la
Chiesa, imponendomi così, per la permanenza e la verità della mia unione con
lui, un apostolato che sarà sempre più vasto e parteciperà sempre più della
forza di Dio» (ibidem, p. 42). Nel corso degli anni questa dilatazione del
cuore si estenderà oltre i confini della Chiesa per abbracciare il mondo
intero. Nel primo dopo-guerra don Barsotti si trasferì a Firenze
nell’arcidiocesi del card. Elia dalla Costa, chiamato da Giorgio la Pira. Nel
mese di maggio del 1946 gli venne affidato un movimento fatto da poche anime.
Assieme a loro il 1° gennaio del 1947 si consacrò a Dio. Nacque così la
Comunità dei Figli di Dio, approvata dal cardinal Silvano Piovanelli il 6
gennaio del 1984; una comunità monastica che impegna i propri membri a vivere
nel mondo il mistero dell’adozione filiale nella perfezione della carità.
Don Divo era convinto che il mistico in
quanto mistico dovesse vivere tutta la vita del mondo. «Se uno vive la vita del
mondo, si dice che non può essere un mistico; io sento al contrario che
fintanto il mistico non vive tutta la vita non è ancora un mistico grande» (La
fuga immobile, p. 292). La vita è rapporto diceva sempre don Barsotti;
attraverso i suoi studi visse in compagnia con le grandi anime del passato, ma
soprattutto visse nella comunione dei santi. Ebbe un rapporto anche coi papi,
vescovi, sacerdoti, laici, letterati come Mario Luzi, Nicola Lisi, Enzo Fabiani
e molti altri; fu amico di La Pira, di Marcello Candia, ebbe la fiducia del
cardinale Elia Dalla Costa, conobbe Dossetti, teologi come Von Balthasar, de
Lubac, Bouyer, Daniélou; fu amato da tutti e ha amato tutti. «La vita è una
immensa comunione d’amore» ripeteva spesso. Il mistico fiorentino era legato da
intima amicizia con tante persone, ma rimase sempre interiormente libero da
tutti, convinto com’era che la comunione perfetta con gli altri fosse rimandata
al di là della morte, nel cielo. Egli fu costretto alla sua solitudine. «L’uomo
che rinuncia alla sua solitudine o non si è ancora trovato o si è già perduto»
(Nella comunione dei santi, Vita e Pensiero 1970, p.195). Don Divo Barsotti è notoriamente
conosciuto come autore di molte opere di carattere teologico, liturgico,
spirituale e letterario. Questa vasta opera letteraria risponde alla sua
vocazione monastica: la ricerca di Dio nella creazione, nella storia,
nell’umanità di Cristo e in Cristo in ogni uomo. Fu il mistico fiorentino che
fece conoscere per primo la spiritualità russa in Italia. Il suo Cristianesimo
russo (Libreria Editrice Fiorentina 1948) e altri scritti vollero introdurre
una spiritualità che nasce dall’urto paradossale tra fuga del mondo e abbraccio
del mondo, tra contemplazione assoluta e azione salvifica che da essa sgorga
(cf. H. Von Balthasar, Introduzione a La fuga immobile, Ed. Comunità 1957, p.
8). Nella rivelazione cosmica prima, in quella profetica poi e nella pienezza
della rivelazione cristiana, la rivelazione ha precisamente il carattere di
bellezza.
Per Barsotti, il cristianesimo ha
perduto la sua forza perché la Verità di Dio è stata resa opaca nelle struttura
rigida di un pensiero che non sembra avere in sé la vita, e la Bontà di Dio si
è trasformata, dal messaggio che doveva rivelarlo, in un insegnamento di morale
senza luce di libertà e di gioia. Il concilio Vaticano II impone alla teologia
di ripensarsi a partire da una duplice armonia; armonia fra i due Testamenti,
ma anche l’armonia fra le religioni e il cristianesimo (L.G. p. 16). Scrisse
don Divo: «Tutte le religioni sono una praeparatio evangelica […] la teologia
cristiana certamente si impoverisce, diviene superficiale e informale, se non
realizza che la rivelazione cristiana è adempimento ultimo di tutta la vita
religiosa del mondo. Si deve certamente riconoscere l’originalità cristiana dal
momento che il cristianesimo è superamento delle figure, delle profezie, delle
promesse che hanno alimentato le attese degli uomini, ma non si può negare
anche la continuità fra tutte le religioni e la religione ultima vera. Quante
dottrine del cristianesimo attendono di essere chiarite, illuminate dalle
anticipazioni, dai presentimenti, dalla religione viva di ogni popolo e di ogni
cultura […] nella esperienza viva delle anime che hanno cercato Dio, sia pure a
tentoni, nel buio, quanta luce può illuminare anche il cristianesimo» (In
Cristo, Rusconi 1988, pp. 37-38).
Nel quadro della dottrina patristica
dei semina Verbi, don Barsotti vide la storia dell’umanità come una grande
avventura religiosa che trova il suo compimento in Cristo. Esiste pertanto una
continuità e un superamento fra la rivelazione cosmica, la rivelazione
profetica e la rivelazione cristiana, continuità e discontinuità. Il Cristo
contiene e porta a compimento tutte le tappe della rivelazione di Dio. Questa
prospettiva teologica è una prospettiva ecumenica, missionaria e monastica. Don
Divo, nella sua stessa esperienza di unità con Dio, sentì necessaria ed
essenziale, per la missione affidata alla Chiesa, l’assunzione di tutti gli
uomini, della loro esperienza, sulla scia dell’assunzione della natura umana da
parte del Verbo incarnato. Questo permette al cristiano e alla stessa teologia
di non ghettizzarsi e di evitare il formalismo per non tradire la vocazione
originaria. Le varie tappe della rivelazione che Barsotti ha consegnato nei
suoi libri sono un profondo studio che ci consente di vivere la vita religiosa
di tutti gli uomini (per questo ha voluto mantenere la celebrazione delle
quattro tempora) e la cultura e i valori di tutti i popoli. Il cristiano,
conoscendo tutte queste dimensioni della rivelazione, vive la vita religiosa di
tutti i popoli e con la sua testimonianza spinge tutti a raggiungere il
compimento della vita religiosa, che è l’amore crocifisso del Verbo incarnato.
PER UNA SANTITÀ
CHE GENERA COMUNITÀ
La vita di Barsotti, i suoi studi, il
suo impegno missionario, i suoi scritti furono ordinati soprattutto all’opera
sua più grande: la comunità. «La santità cristiana deve trasparire anche
quaggiù la realtà di quella comunione ineffabile che è la vita del cielo:
comunione con Dio, comunione con gli altri, comunione con tutto l’universo.
Proprio per questo un santo non può essere isolato; la santità crea la
comunità, e la vita di un santo crea un movimento, una storia, spesso
un’epopea» (Nella comunione dei santi, cit.,p. 214). La Comunità dei Figli di
Dio, fondata da Barsotti, vive una spiritualità monastica nel mondo: il primato
di Dio nella preghiera, il primato delle virtù teologali e la comunione
fraterna.
La comunità è strutturata in quattro
rami, suddivisa in famiglie e ciascuna di queste è suddivisa in piccoli gruppi.
La comunità vive il suo rapporto con Dio attraverso la creazione, nell’ascolto
e nello studio della parola di Dio, nella sacra liturgia, specialmente nella
santa messa e nella preghiera del giorno. La vita della comunità è ritmata da
un incontro settimanale nei gruppi, incontro di presentazione di un libro della
S. Scrittura, un incontro di formazione comunitaria, un incontro di preghiera
biblica e un incontro sul catechismo della Chiesa cattolica. La comunità
abbraccia tutte le differenze e per un miracolo dello Spirito le compone in
unità; queste differenze hanno trovato nella vasta prospettiva culturale del
padre e nella sua umiltà la loro unità feconda.
Egli insisteva sempre che la comunità è
una comunità di persone, di figli di Dio. La persona è ordinata alla comunità e
la comunità è ordinata alla persona; senza questo principio trinitario, la
comunità può diventare un collettivo irregimentato. La comunità e i singoli
membri devono essere rivelatori del Padre e testimoni fedeli e veraci del
Cristo. Di questa comunità, egli fu guida e padre. «L’uomo raggiunge la sua
perfezione nella paternità: così la perfezione di una vita spirituale si
manifesta nella comunicazione di questa medesima vita» (ivi).1
Giuseppe Guarnieri
1 Don Barsotti ha scritto più di
centocinquanta opere: diari, poesie, teologia patristica, teologia biblica,
teologia liturgica, spiritualità; molti di questi libri sono stati tradotti in
molte lingue. L’intera bibliografia si può consultare nel sito della comunità
www.figlididio.it.