UNA TESTIMONIANZA DAL VIVO

DON SANTORO VISTO DA VICINO

 

L’assassinio di don Andrea ha improvvisamente squarciato un velo a noi tutti del vicariato dell’Anatolia e ci ha mostrato la statura di un uomo di Dio che noi abbiamo conosciuto per la sua straordinaria (e cocciuta) fedeltà alla parola di Dio e alla Chiesa.

 

Quando don Andrea venne a risiedere in Turchia anche noi suore di Maria Bambina eravamo da poco arrivate e nell’ottobre del 2001 andammo a fargli visita a Urfa, sua prima stazione missionaria. Non c’era la chiesa e non si sapeva se c’erano cristiani... cosa questa piuttosto difficile per un prete cattolico, giacché la legge ne impedisce la permanenza . Ma lui accettò, senza scoraggiarsi.

Sempre a Urfa (l’antica Emessa, vicina ad Harran, patria di Abramo) fece di una casa armena la sua residenza dove poteva accogliere amici o piccoli gruppi che desideravano fare esperienza di preghiera e di riflessione “sulle tracce di Abramo”.

Spesso si inoltrava verso la regione che confina con l’Iraq e la Siria – terra curda – spinto dalla sete di conoscere e da un amore profondo verso un popolo che “geneticamente” porta l’eredità biblica di Abramo, ma i passaggi storici dell’ultimo secolo hanno loro cancellato ogni connotazione cristiana.

La sua partecipazione e i suoi interventi alle nostre giornate di fraternità del vicariato di Iskenderun, erano sempre contrassegnati da una carica umana e da una passione evangelica uniche. Ci coinvolgeva tutti. Instancabile e quasi ripetitivo nel chiedersi e nel chiederci il senso della presenza della Chiesa in Turchia, insistente nell’invito ad aprirci con coraggio a orizzonti di evangelizzazione fatta di presenza, silenzio e preghiera.

 

LA SUA GIOIA

DI CONDIVIDERE

 

Quando venne trasferito alla stazione missionaria di Trabzon (Trebisonda) sul Mar Nero, zona per nulla accogliente verso i cristiani, ma dove c’era una chiesa con annesso convento, trovò anche qui ben pochi cristiani (scomparsi con le espulsioni dei greco-ortodossi e con il genocidio degli armeni).

L’anno scorso, per la settimana santa, il vescovo mons. Padovese organizzò a Iskenderun due giorni di preghiera e di condivisione con tutti i sacerdoti e i religiosi del vicariato. Venne anche don Andrea.

Fu in quell’occasione che mi invitò alla sua chiesa per dipingere tre pareti con i santi Pietro e Andrea e la scena del battesimo di Gesù. Per lui quelle raffigurazioni erano uno strumento di catechesi sia per i pochi cristiani che per i tanti mussulmani che visitano la chiesa.

E andai, giacché anche il vescovo doveva recarsi sul Mar Nero per conoscere le due realtà di Trabzon e di Samsum.

Erano giornate fredde e umide, e quella casa, dove abitava, una volta convento dei cappuccini, era davvero una ghiacciaia. Al mattino egli si alzava prima per accendere i caloriferi e farci trovare così l’ambiente un po’ più sopportabile.

Alle 7,30 ci riunivamo in cappellina (una volta cantina dei frati, da lui trasformata in un ambiente luminoso e accogliente): sulla parete tre grandi icone con l’Ultima Cena, la crocifissione e la trasfigurazione, e nell’angolo il tabernacolo.

Lodi, santa messa, adorazione accompagnate dalla sua riflessione e calate nel silenzio del cuore. Così tutte le mattine, mentre la sera il vespro e ancora l’adorazione e il silenzio per un’ora.

Quando le giornate erano belle si usciva verso luoghi che lui aveva esplorato e amato. Erano le chiese armene o greco-ortodosse dei villaggi circostanti, abbandonate durante i massacri, ma trasformate in stalle o depositi di attrezzi.

Ci si fermava per pregare e per meditare, poi lui si avvicinava alla gente, alle donne, chiedeva notizie con garbo, si faceva conoscere. Io scattavo qualche foto.

Una sera disse: “Andiamo a pregare nella chiesa di S. Daniele”, un piccolo edificio, gioiello di stile bizantino, ma trasformato in moschea.

L’imam gli consegnò la chiave; sapeva che andavamo a pregare. Diciamo il vespro, ma poco dopo è il momento della preghiera per i mussulmani.

Noi siamo seduti per terra in fondo alla chiesa, ci fermiamo ancora un po’, quindi. All’esterno una schiera di bambini si fa attorno per salutarci. Scatto qualche diapositiva mentre le mamme da lontano sorridono.

 Don Andrea diceva: “I bisogni di Trabzon sono tanti, ma io vedo soprattutto la necessità di un lavoro tra le prostitute...”.

Era la sua angoscia trovare e incontrare per i vicoli e le stradine vecchie della città bellissime ragazze georgiane (cristiane) fuggite dalla miseria e dalla fame del loro paese e finite nei bordelli dei musulmani...

Di questa urgenza si era fatto portavoce anche nel nostro ultimo incontro di dicembre (prima di Natale), attirando d’improvviso l’attenzione di tutti. La sua ansia era una passione apostolica che esprimeva con precisione di dati e di contesti. Voleva toglierci dalle discussioni marginali.

Ogni suo intervento riguardava un lavoro pastorale verso fronti che lui intravedeva con lucidità e lungimiranza e che richiedevano umiltà, preghiera, una seria preparazione.

Sosteneva e vedeva la necessità:

– di un progetto di dialogo ecumenico e interreligioso attraverso una libreria che curasse pubblicazioni di contenuto cristiano, ebreo e musulmano;

– di una presenza in terra di Abramo, perché da lì sono nate e si ritrovano le tre grandi religioni, per la comune discendenza da Abramo.

Provvederà il Signore a mandare uomini e donne idonee a questo tipo di presenza?

Lui lo sa, noi preghiamo, aspettiamo, lanciamo appelli, apriamo finestre di conoscenza e di informazione, seminiamo quel minuscolo e fragile seme che siamo noi stessi, coltivando la speranza che il Signore voglia regalarci dei fratelli e delle sorelle; ma è lui che guida e decide.

La nostra inadeguatezza è tanta. Sia come lui vuole. Davvero. Amen.

Solo ora mi chiedo: perché quella sua testardaggine nel cercare i luoghi del cristianesimo sopravvissuti ai massacri? perché andare là a pregare, a meditare? Perché in quei luoghi, attraverso quei muri umidi traspirava la vitalità del cristianesimo, dei suoi martiri, dei suoi anacoreti.

Perché percorrere quelle viuzze con i suoi bordelli, perché varcare il confine e andare in Georgia, a contattare le autorità? Perché coglieva nel volto di quelle donne il volto del Cristo sfigurato nel Getsemani.

E quel fermarsi sulla montagna per parlare con la gente del posto e farsi riconoscere come sacerdote cattolico; non sapeva che tutto questo faceva aumentare sospetti e trame di ostilità verso di lui?

Un giorno arrivò alla chiesa un uomo, un papà di famiglia per dire: “Mio nonno parlava di Cristo; vorrei conoscere il Vangelo”. Quest’uomo percorreva più di 30 km per incontrare don Andrea.

Lui diceva che la grazia di Dio si muove in assoluta libertà e imprevedibilità e che a noi non è dato di suggerirle nulla, solo riconoscerla, gioirne, accoglierla e assecondarla: «Quando il Signore bussa bisogna aprire e farlo entrare e poi sedersi a mensa con lui che viene per sedersi a mensa con noi. Vi assicuro che il Signore bussa davvero, lancia i suoi richiami, si accende come una scintilla improvvisa».

 

DICEVA

“DIO PROVVEDERà

 

Nelle locande dove andava a volte per mangiare gli capitavano curiose conversazioni con il padrone o l’inserviente sul celibato, le tentazioni, la debolezza umana, il perdono di Dio: «Come si fa a restare senza una donna?»; e ancora «se si ha una donna, come si fa a non andare con un’altra?».

«Ci vuole la grazia di Dio. La buona volontà non basta. Se c’è la grazia di Dio e se è lui a chiamare, allora si può consegnare a lui il proprio cuore e fare a meno di una donna. Dio è abbastanza grande da riempire anche il nostro cuore», rispondeva.

Quale chiesa oggi in Turchia? Con quale libertà e fedeltà evangelica?

Don Andrea scriveva: «Non so perché Dio distribuisca luce e tenebre. So solo che lui sa. Questo mi basta. Ma a volte non mi toglie un velo d tristezza e un sentimento di stizza. Mi convinco alla fine che non ci sono due vie : c’è solo quella di Gesù che porta alla luce passando per il buio, che porta alla vita facendo assaporare l’amaro della morte.

Si diventa capaci di salvezza solo offrendo la propria carne; il male del mondo va portato e il dolore altrui va condiviso. Gesù si è calato nel dolore di tutti.

Il dolore e il peccato sono un abisso visitato dal suo amore e riscattato dalla sua presenza. Nessuno è solo nel suo peccato e nella sua sofferenza.

Guardiamo a questa presenza di Cristo accanto a noi e raccogliamo il suo invito a scendere con lui accanto agli altri, anche quando ci sentiamo feriti e sporcati» (aprile 2005).

A questa testimonianza si può aggiungere quanto ha dichiarato mons. Padovese di passaggio in Italia. Intervistato dal quotidiano Avvenire (22 febbraio) ha detto: «Inutile nasconderlo: la situazione per i cristiani in Turchia si fa sempre più difficile e la paura cresce. Stamattina, per esempio, sono arrivate nuove minacce telefoniche a Pierre Brunissen, il parroco della chiesa di Samsun dove nei giorni scorsi un gruppo di giovani era entrato urlando slogan minacciosi e strappando alcuni cartelli. Dopo l’omicidio di don Santoro chiese, sacerdoti e religiosi vengono tenuti sotto stretta sorveglianza dalla polizia… Ogni settimana c’è qualche giornale che presenta qualcosa di negativo sui cristiani. È stata orchestrata una vera e propria campagna diffamatoria in cui veniamo accusati di fare opera di proselitismo e di attentare all’identità di una terra che deve restare “turca e musulmana”. È un’accusa che si salda con gli attacchi di circoli nazionalisti e di gruppi islamici radicali, ma è totalmente infondata. Semmai si può dire che la presenza cristiana si sta riducendo. I cattolici sono circa 30 mila su 70 milioni di abitanti».

Ma, è stato chiesto a mons. Padovese, al di là degli schieramenti organizzati, che aria si respira nella società turca? «Non si può generalizzare», ha risposto. «Nelle grandi città (Smirne, Istanbul, Mersin) operano minoranze che cercano di avvelenare il clima. Buona parte della popolazione non condivide questi atteggiamenti, ma neppure si muove per arginarli. I militanti scaldano le piazze, i benpensanti stanno a guardare. Poi ci sono centri al nord, come Samsun e Trebisonda dove il fondamentalismo ha più seguito tra la gente e condiziona i giornali, e la presenza cristiana è ridotta al lumicino. Al sud, dove vivo io, i cattolici hanno mantenuto una certa consistenza e non ci sono grandi problemi, almeno rispetto a quello che accade altrove: qualche vetro in frantumi, campanelli rotti…». Per quanto riguarda il governo, ha aggiunto mons. Padovese, il primo ministro Erdogan sta cercando di rispettare gli impegni per arrivare all’ingresso nella Ue. Non solo quelli di tipo economico, ma anche quelli legati alla democrazia e alla libertà religiosa. Ma in Turchia è come se ci fossero due stati: uno ufficiale e uno parallelo, costituito da un incrocio tra apparati burocratici, nazionalismo e radicalismo religioso che, se il paese diventasse membro dell’Unione Europea perderebbero il potere reale che hanno ora. Quello che è certo è che non si può vivere insieme se non si rispettano i principi fondamentali della democrazia e del pluralismo. E noi cristiani vogliamo vivere insieme ai musulmani».

 

Sr. Raffaella Martelozzo

Iskenderun, febbraio 2006