RAPPORTO 2005 SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA

CHIESA CHE SOFFRE

 

I primi anni del terzo millennio hanno continuato a essere per la Chiesa tempo di sofferenza. Mentre s’allunga la lista dei martiri, in tante parti del mondo manca la libertà religiosa e a soffrire di questa situazione è soprattutto la Chiesa.

La conferma ci viene anche dal “Rapporto 2005”, appena reso pubblico.

 

Durante il giubileo del 2000, Giovanni Paolo II, il 7 maggio, in un clima di preghiera e di grande raccoglimento, al culmine di una cerimonia ecumenica che aveva avuto luogo al Colosseo, aveva voluto fare memoria della schiera immensa di cristiani che nel corso del secolo XX avevano testimoniato la loro fede in Cristo mediante il martirio. Fin dal 1995 una commissione, presieduta da mons. Michael Hrynchyshyn, con a fianco il segretario don Marco Gnavi, e denominata “Nuovi Martiri”, si era messa all’opera per cercare di dare un nome a questi martiri, attingendo soprattutto alle testimonianze delle varie conferenze episcopali. In cinque anni di ricerca era stato possibile raccogliere 12.692 nomi.

Ma la commissione assicurava che quanto era riuscita a reperire era molto poco, solo la punta di un iceberg che lasciava appena intravedere un fenomeno di proporzioni quasi incalcolabili. Il segretario, don Marco Gnavi, in un intervista all’agenzia Fides, ebbe a dichiarare: «Se pensiamo solo all’Unione Sovietica, si calcola che i cristiani abbiano avuto più di un milione di morti, e di molti non sappiamo neanche i nomi. C’è una disomogeneità nei dati pervenuti che è un invito a continuare a studiare il fenomeno. Questa prima ricognizione è un inizio e non può considerarsi esaustiva, tanto più che i cristiani continuano a morire».

I risultati di quella ricerca si poterono poi consultare nel volume Il secolo dei martiri. I cristiani del ’900 del prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità S. Egidio, docente di storia contemporanea alla terza Università di Roma. Ma in contemporanea erano usciti anche altri studi. Uno di questi, che può essere considerato parallelo a quello di Riccardi, era il libro di Didier Rance, diacono ortodosso, direttore in Francia dell’organismo «Chiesa che soffre», dal titolo Un siècle de témoins. Les martyrs du XX siècle, edito da Le Sarment. Rance, nel quale si leggeva, che dal punto di vista statistico, i martiri dei nostri tempi sarebbero più del doppio di quanti ne sono stati contati nel corso degli altri diciannove secoli che ci separano dall’epoca di Cristo, ossia 26.685.000.

 

SOFFERENZA

CHE CONTINUA

 

Terminato il XX secolo, con tutti i suoi spaventosi orrori e una volta crollati gli iniqui regimi che li avevano provocati, si sperava che anche per la Chiesa iniziasse un’epoca di serenità, pur non ignorando che, come ha più volte avvertito Gesù nel Vangelo, la persecuzione l’accompagnerà sempre fino alla fine dei tempi. Purtroppo già in questi primi anni del terzo millennio, la lista dei martiri ha continuato ad allungarsi e la Chiesa continua a soffrire in tante parti del mondo. A confermarlo ancora una volta è il Rapporto 2005 sulla libertà religiosa nel mondo, presentato a Parigi il 22 febbraio scorso, da cui emerge un quadro inquietante. A cominciare propria dalla nostra Europa, dove – scrive il Rapporto – non si è esaurita, nemmeno a 15 anni dal crollo dell’impero social-comunista sovietico, la spinta propulsiva dell’ateismo. Tra i casi emblematici, la Bielorussia dove lo stretto controllo statale su ogni espressione di culto tende a soffocare il sentimento religioso della popolazione. A volte, si tratta di una persecuzione di tipo amministrativo; in altri casi l’intolleranza assume toni nazionalistici, come in Russia, dove prevalgono gli ostacoli burocratici, pur in una situazione che vede il miglioramento delle relazioni ecumeniche tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica. Con l’avvicendarsi di nuove classi dirigenti che sostituiscono le vecchie nomenklature filosovietiche, sembrano aprirsi maggiori spazi anche alla libertà religiosa, come sta accadendo sia pur timidamente in Georgia, mentre in Bosnia Erzegovina, in Serbia Montenegro e in Kosovo non si sono ancora spenti gli echi della guerra che dilaniò la Jugoslavia alla metà degli anni ’90 e che provoca tuttora tensioni tra cristiani e musulmani.

Una nuova ondata laicista si è scatenata in Francia, con l’approvazione e l’attuazione di una legge che impedisce di indossare simboli religiosi nelle scuole, mentre in Germania, con varie disposizioni locali, si persegue lo stesso fine. Concepiti per contrastare l’emergere del fondamentalismo islamico, tali provvedimenti non sembrano dimostrarsi in realtà efficaci, come non lo sono nemmeno altri modelli di convivenza fondati sul multiculturalismo, in Olanda e nel Regno Unito, dove periodiche esplosioni di violenza che coinvolgono le comunità di musulmani, portano il problema all’attenzione dell’opinione pubblica.

 

IN ASIA, AFRICA

E AMERICA

 

Preoccupante è anche la situazione in Asia dove, nota sempre il Rapporto, sono in grande fermento i paesi del Caucaso, i cui governi spesso affrontano la minaccia posta dal terrorismo di matrice islamica più con metodi repressivi che attraverso strategie in grado di isolare l’ultrafondamentalismo. Sembra ottenere risultati migliori la politica del dialogo attuata dalla Santa Sede che ha avviato relazioni diplomatiche con il Qatar. In altri stati, però, la persecuzione degli “infedeli” raggiunge punte di vera e propria emergenza come in Iran, in Pakistan e in Arabia Saudita che non risparmiano il carcere e le torture nei confronti di chi contravviene alle norme della legge coranica. Non va dimenticato però che, proprio in questi ultimi tre paesi, sono all’ordine del giorno gli scontri, anche violenti, tra musulmani di diverso orientamento religioso e politico. Anche in quest’ottica, preoccupa la situazione in Iraq, sconvolto dagli attentati di terroristi sunniti nei confronti degli sciiti e dalle minacce, spesso portate alle loro estreme conseguenze, contro le comunità cristiane. Le minoranze cristiane, peraltro, sono nel mirino degli estremisti buddisti in Sri Lanka e degli induisti in India, che utilizzano leggi anti-conversione per impedire ogni attività missionaria e ricorrono frequentemente alla violenza. Ultimo residuo dell’universo concentrazionario social-comunista, la Corea del Nord ha visto scomparire nel nulla, nel corso degli ultimi cinquant’anni, circa 300mila cristiani. Analoga la pratica repressiva seguita dal regime di Pechino nei confronti di cristiani, buddisti e membri del Falun Gong, internati e torturati in campi di detenzione, senza accuse e spesso liberati soltanto alla loro morte.

Anche in Africa cresce la preoccupazione per il protrarsi degli scontri a sfondo religioso in Nigeria, dove, nel solo 2004, si sono registrati oltre 12mila morti che vanno ad aggiungersi alle decine di migliaia di vittime degli anni scorsi, di parte cristiana e musulmana, in conseguenza della proclamazione della legge islamica, la shari’a, in 12 stati del nord. Il fenomeno della guerra civile, come insegna tuttora il caso del Ruanda, non esaurisce purtroppo i suoi effetti al cessare delle ostilità e porta con sé strascichi giudiziari e civili che continuano a dividere le nazioni, le etnie e i gruppi religiosi. Perciò, anche se sembra raggiunto un fragile accordo di pace anche in Sudan, è ancora lungo il percorso che dovrà portare a ricostruire il tessuto sociale lacerato da decenni di massacri. È tuttora allarmante la situazione in Uganda, avvolta nella spirale della violenza nonostante i tentativi di dialogo tra i ribelli e le truppe governative. Proprio in quelle aree dove l’azione pacificatrice della Chiesa e delle altre comunità religiose sarebbe più preziosa, si assiste invece a una discriminazione che non accenna a diminuire, soprattutto nei paesi a maggioranza islamica, con il divieto di costruire luoghi di culto e di prestare assistenza alle popolazioni in difficoltà. In alcuni stati, come l’Egitto e il Marocco, la persecuzione colpisce anche i cittadini che abbandonano l’islam per il cristianesimo. Ma l’offensiva del fondamentalismo islamico non risparmia il Kenya, il Malawi, il Sudafrica e l’arcipelago di Zanzibar, in Tanzania.

Per questa riguarda l’America, leggiamo sempre nel Rapporto, sia pure con alcune dolorose eccezioni in tema di violazioni dei fondamentali diritti umani, tra le quali vanno citate Cuba e il Venezuela, la missione della Chiesa cattolica e degli altri gruppi religiosi non conosce ostacoli legislativi nell’America del Sud. Un forte senso di insicurezza, dovuto alla violenza e alla criminalità, si registra però in paesi quali il Guatemala, Haiti e il Paraguay, dove il clima sociale non favorisce l’opera di evangelizzazione. Nonostante gli sforzi del governo e della Chiesa cattolica per riportare la pace, non accenna invece a trovare soluzione la guerra che insanguina la Colombia e che ha visto, ancora nel 2004, un altissimo tributo di sangue pagato da civili e religiosi.

Oltre a questa panoramica d’insieme, il Rapporto mette sotto la lente d’ingrandimento le situazioni paese per paese, ed è leggendo queste descrizioni che si ha un’idea più precisa di quanto la Chiesa soffra per mancanza di libertà e spesso a causa di vessazioni e di ogni genere di discriminazioni e in vari paesi sia oggetto di continui attacchi da parte dei vari fondamentalismi.

Recentemente, per esempio ha suscitato una grande impressione, in Turchia, l’assassinio di don Andrea Santoro. In questo paese, nonostante la buona volontà del governo, che mira a entrare nell’Unione Europea, il clima di discriminazione verso le minoranze religiose rimane ancora pesante. I cristiani sono in tutto meno di 400.000 e i cattolici circa 33.000. Ad essi è di fatto impedito l’accesso ai ruoli istituzionali civili e militari. La possibilità di costruire chiese è praticamente nulla. Le comunità, non avendo riconoscimento civile, non possono possedere nulla. Convertirsi dall’islam al cristianesimo rimane rischioso. Due sono le richieste che i vescovi hanno rivolto al governo: il riconoscimento giuridico della Chiesa e l’istituzione di una commissione mista che prepari e metta in esecuzione il futuro statuto giuridico. Un ulteriore punto interrogativo è il risveglio e l’espandersi del fondamentalismo, una minaccia non solo per le minoranze religiose ma anche per lo stesso governo.

 

DOVE ESSERE CRISTIANI

È UN RISCHIO CONTINUO

 

Un altro paese, dove essere cristiani è un rischio continuo, è l’Arabia Saudita. Qui è assolutamente proibito non solo professare liberamente la propria fede, ma anche semplicemente possedere una semplice Bibbia o un Cd o Dvd a carattere biblico; predicare il cristianesimo, è considerato un reato per il quale è prevista la pena capitale. Violenze e torture e vessazioni di ogni genere sono all’ordine del giorno. Tra queste vessazioni, per esempio, figura anche l’imposizione ai non musulmani di adeguarsi alle leggi musulmani durante il mese di Ramadan, anche per quanto riguarda la proibizione di mangiare, bere e fumare nei negozi, per le strade e negli uffici. Ai datori di lavoro è fatto obbligo di informare gli “infedeli” ossia i non musulmani, che non saranno tollerate violazioni. Chi infrange la legge perderà il posto di lavoro e sarà espulso dal paese.

A difficoltà di ogni genere vanno incontro anche i cristiani nel Bangladesh, paese a stragrande maggioranza musulmana: ad essi viene spesso impedito l’acceso ai pozzi d’acqua; comuni sono anche le violenze fisiche e le distruzioni delle proprietà. Anche qui, per un musulmano convertirsi al cristianesimo vuol dire andare incontro a rischi gravissimi, compreso quello della stessa vita.

Difficile, per non dire drammatica è anche la condizione dei cristiani in Iran, paese che sta attualmente conoscendo una vera propria esplosione di fondamentalismo. Per i cristiani la vita è resa quasi impossibile: costretti a vivere nei ghetti in estrema povertà, molti preferiscono espatriare. Le strutture religiose della Chiesa latina sono ormai state del tutto eliminate.

Non certamente migliore è la sorte dei cristiani in Pakistan, dove continua a essere in vigore la cosiddetta legge della blasfemia che prevede l’ergastolo per chi offende il Corano e la pena di morte in caso di offesa a Maometto. Si tratta di una legge che permette una quantità di sopraffazioni e che continua a essere uno strumento in mano ai fondamentalisti per regolare conti personali e perpetrare ogni genere di soprusi verso le minoranze. Questa legge, osserva il Rapporto, nonostante sia stata leggermente emendata, continuerà a essere abusata per uccidere, ferire, imprigionare ingiustamente i cristiani e requisire le loro proprietà…

Sempre stando in Asia, se passiamo dall’area musulmana a quella induista e buddista, la situazione per i cristiani non è molto migliore. In India, per esempio, c’è un crescendo di violenze da parte dei fondamentalisti di religione indù contro il personale e le strutture della Chiesa. Diverse e variegate sono le aggressioni, scrive il Rapporto: si va dalla violenza squadrista contro religiosi e edifici sacri alla sottile persecuzione psicologica, fino alle manifestazioni di piazza a sostegno di false accuse giudiziarie contro preti e religiosi. Sarebbe lungo anche solo fare l’elenco di queste forme di violenza che non hanno risparmiato nemmeno le suore di Madre Teresa di Calcutta. Il 25 settembre scorso la furia fondamentalista si è scatenata contro di loro in un villaggio del Kerala dove stavano portando aiuti e medicinali in un villaggio di tribali.

Anche nel vicino Sri Lan-ka, durante il 2004, si è assistito a un crescendo di violenze di buddisti estremisti contro la minoranza cristiana, in particolare evangelica, accusata dai monaci buddisti di rovinare con il proselitismo la “millenaria armonia del paese”. Solo nei primi 6 mesi dell’anno sono state colpite più di 60 chiese, nel quadro di una campagna anti-cristiana che da tre anni tenta di introdurre misure che impediscano la conversioni dal buddismo. Le zone dove più acuto e violento è il sentimento anticristiano sono soprattutto i villaggi rurali.

In Africa due punti caldi in questo momento sono il Sudan e la Nigeria. In Sudan, leggiamo sempre nel Rapporto, nonostante la costituzione garantisca la libertà di religione, nel corso del 2004 il governo ha continuato a limitare gravemente questo diritto, considerando di fatto l’islam come religione di stato e ispirandosi ad esso a livello legislativo, istituzionale e delle politiche in generale. I non musulmani, i musulmani non arabi o di tribù e sette non affiliate al partito di governo continuano a essere discriminati. L’apostasia è considerata un’offesa criminale punibile con la morte. Le associazioni religiose e le chiese cristiane devono sottostare a varie limitazioni, le stesse a cui sono sottoposti i seguaci delle religioni tradizionali africane e le associazioni non religiose. Tutte devono essere registrate e riconosciute legalmente. Un procedimento non facile, spesso ostacolato da molti impedimenti e regolato dall’arbitrio con cui il governo tratta i differenti gruppi religiosi, con particolari restrizioni per le chiese evangeliche. Coloro che sono registrati possono usufruire di esenzioni dalle tasse, ma per tutti gli altri è praticamente impossibile acquistare terreni e costruire luoghi di culto, nonché riunirsi liberamente senza interferenze, intimidazioni o minacce. Per chi non è musulmano, vivere in questo paese, è difficilissimo; vuol dire essere esposti a ogni genere di discriminazioni e di sevizie.

In Nigeria la situazione per i cristiani è difficile soprattutto negli stati del nord dove i musulmani sono la maggioranza. I problemi qui non sono tanto legati al fattore specificamente religioso, ma a un intreccio di altri interessi. La diversità di religione tuttavia fa da combustibile a una situazione già per se stessa pericolosamente infiammabile. In 12 di questi stati, a partire dal 1999, è stata gradualmente introdotta la shari’a, legge musulmana che praticamente emargina la minoranza cristiana privandola di quasi tutti i diritti civili. Gli scontri qui sono all’ordine del giorno e i morti si contano a migliaia: scontri che continuano tuttora. È delle settimane scorse la notizia di almeno una dozzina di chiese cristiane sono state distrutte dai musulmani; inoltre più di duecento esercizi commerciali, una cinquantina di case private e centinaia di autoveicoli. Durante i disordini è stato ucciso anche un sacerdote, p. Michael Galere.

Le situazioni che qui abbiamo sommariamente descritto, sono state citate quasi a titolo esemplificativo. Bisognerebbe scorrere le quasi 400 pagine del Rapporto per avere un’idea più precisa della realtà. Ma anche questo non basterebbe. I compilatori del Rapporto infatti affermano che quanto hanno descritto è solo la punta di un iceberg. Ciò significa che la Chiesa vive in una condizione di sofferenza in maniera assai più vasta di quanto essi siano riusciti a informarci.

 

A. Dall’Osto