RELIGIOSITÀ GIOVANILE IN ITALIA
CRESCE L’INTERESSE MANCANO LE RISPOSTE
Una recente
ricerca sulla religiosità giovanile ne conferma la dimensione sempre più
frammentata e soggettiva. Esiste una tensione verso la spiritualità e la fede,
che non riesce a trovare una risposta soddisfacente attraverso le forme
tradizionali di partecipazione religiosa.
Il quadro della religiosità giovanile degli italiani è
rimasto stabile in questi 20 anni, anche se è diminuita la frequenza alle
pratiche religiose. Oggi i giovani sono tornati a porsi domande religiose.
Mentre essi danno peso sempre maggiore alle relazioni interpersonali, in
particolare a quelle amicali-affettive e familiari,
riscoprono anche valori ideali nell’ambito però di una socialità ristretta. I
giovani tendono infatti a costruirsi una sorta di “comunità-gruccia”,
caratterizzata da assenza di responsabilità etiche e di impegni a lungo
termine, con presenza di legami senza conseguenze La comunità ecclesiale che si
cerca rischia dunque di essere solo quella funzionale ai propri obiettivi.
Occorre dunque sbilanciarsi verso le giovani generazioni e formulare, con la
loro creatività e corresponsabilità, comunità solidali fatte di sogni e
progetti di vita.
Se per passaggio all’età adulta si intende l’acquisizione di
elementi-chiave (fine del percorso formativo, acquisizione di un lavoro,
indipendenza economica dai genitori, creazione di una propria famiglia,
esperienza di paternità o maternità), nel mondo giovanile di oggi tale
acquisizione diventa più lenta. Non c’è uno slittamento di tutte le menzionate
tappe, ma una vera dilazione anche tra l’una e l’altra. Il sentimento
prevalente di molti giovani è poi di sentirsi inadeguati ad affrontare la vita
e di leggere nell’adulto un giudizio impietoso. Aumenta una sensazione di
solitudine con punto critico sui 25 anni: dopo l’adolescenza è l’altro periodo
della vita che manifesta una ulteriore presa di coscienza della propria
responsabilità, che fa emergere la necessità di prendere in mano la vita, quasi
ultima spiaggia per una visione progettuale di sè.
Spesso per i giovani coincide con il ritorno all’esperienza di fede o
ecclesiale, sia per la fine degli studi universitari, sia per una eventuale
decisione affettiva. In una società dell’incertezza (società liquida), insicura
è l’identità.
NUOVE FORME
DI RELIGIOSITÀ
Una conferma di questo scenario sembra venire dall’indagine
“La religiosità giovanile in Italia. Come i giovani italiani vivono il rapporto
con la religione, come la religione influisce sulle scelte e sui comportamenti
quotidiani”, realizzata dall’istituto di ricerca Iard
Franco Brambilla su commissione del Cop (Centro orientamento pastorale).
Secondo questa ricerca, quasi il 70% dei giovani italiani
(dieci milioni di individui) dichiara di aderire alla religione cristiana
cattolica; dato che si riduce passando dai piccoli centri alle grandi città e
varia in relazione al genere, alla classe di età e alla zona di residenza degli
intervistati. Si dice cattolico il 73% delle ragazze contro il 66% dei maschi.
La percentuale più alta si registra nelle regioni del sud (80%); la più bassa
in quelle del centro (59,%). Il 20,2% di giovani dichiara di pregare tutti i
giorni. Dalla rilevazione, condotta nel 2004 su un campione di 3.000 giovani
tra i 15 e i 34 anni su tutto il territorio nazionale, emerge inoltre che il
75% degli adolescenti tra i 15 e i 17 anni si definisce credente; dato che si
abbassa al 62% tra i 18 e i 20 anni, per poi risalire al 72% tra i giovani
adulti (30-34 anni). «Un rapporto dinamico che cambia nel tempo – commenta lo Iard – passando dal rifiuto di una religiosità imposta a
una riscoperta individuale della religione come strumento di senso della
propria vita».
Si tratta però di una religiosità a dimensione sempre più
soggettiva e che raramente incide su scelte e comportamenti quotidiani. Da qui
le undici tipologie elaborate. Gli agnostici (6,3%) ritengono di non poter
esprimere un giudizio sul fatto religioso; non sembrano sempre aver fatto una
scelta convinta e motivata, spesso sono il risultato di un contesto familiare
non in grado di supportare un percorso di riflessione e di ricerca. I non
credenti (11,4%) sono il frutto di una riflessione compiuta che ha allontanato
la religiosità dal proprio orizzonte di vita, con rifiuto delle pratiche
religiose e scetticismo nei confronti della Chiesa. I credenti in un dio
generico (6%) tendono alla costruzione di una religione personale, lontana
dalle forme tradizionali e istituzionalizzate; hanno un capitale
socio-culturale elevato e sono molto attenti a difendere la propria libertà.
Nelle minoranze religiose rientrano tutti coloro che aderiscono a religioni
diverse da quella cristiana cattolica (2%). I cristiani generici (4,8%) dicono
di credere in Gesù Cristo, ma non nella Chiesa; in allontanamento da forme di
partecipazione tradizionale, nutrono ancora una tensione religiosa dentro
percorsi fortemente soggettivi.
I cattolici lontani (4,7%) hanno abbandonato qualsiasi forma
di pratica religiosa, sia istituzionalizzata che individuale, pur non
percependo in declino la loro fede personale. I cattolici occasionali (18%, i
più numerosi) sono soddisfatti del proprio rapporto con il sovrannaturale,
senza particolari stimoli per mettere in atto un percorso di approfondimento. I
cattolici ritualisti (16,7%) mettono la dimensione religiosa sullo sfondo, come
risposta a un precetto e nella logica di una consuetudine che non si vuole
spezzare: una fede che non scalda il cuore. I cattolici intimisti (9,9%) vivono
una fede forte, ma isolata dalla comunità ecclesiale, privilegiando
l’introspezione rispetto alla socialità. I cattolici moderati (13,6%) faticano
a realizzare appieno i precetti della loro fede, alternando periodi di grande
tensione con momenti di rilassatezza: hanno una religiosità più strutturata,
supportata in famiglia. I cattolici ferventi (6,7%) sono i più convinti della
propria appartenenza religiosa, che incide su scelte e comportamenti
quotidiani, con forte coinvolgimento nelle iniziative della comunità locale.
Come si vede, le forme della religiosità giovanile appaiono,
oltre che frammentate, tese verso la costruzione di una religione bricolage,
mentre un numero consistente di giovani che si definiscono cristiani ha preso
della religione solo un’etichetta. La loro appartenenza si inserisce in una
pluralità di forme diverse, con le quali è chiamata continuamente a
confrontarsi. Essi infatti frequentano una scuola più laica di un tempo,
associazioni e gruppi sportivi o culturali con valori e principi educativi
differenti, organizzazioni di volontariato con motivi ispiratori a volte
contrapposti. Anche chi non vive particolari realtà associative è soggetto ogni
giorno a un bombardamento culturale che propone messaggi e stili di vita
differenziati, con la dimensione del sacro sostanzialmente assente. Comunque
«nell’epoca della massima secolarizzazione che stiamo vivendo – commenta
Riccardo Grassi dello Iard – si assiste a una
crescita di interesse e tensione verso il religioso da parte del mondo
giovanile». Anche se va precisato che la ricerca non mette in luce il livello
di fede dei giovani, ma il loro rapporto con la religiosità in genere.
NUOVI CANALI
DI COMUNICAZIONE
La preminenza dell’importanza del contesto relazionale su
quello istituzionale conferma ulteriormente come le forme tradizionali di
partecipazione siano in crisi e necessitino di una profonda riflessione sugli
obiettivi che si volevano perseguire attraverso di esse.
Alla Chiesa i giovani chiedono soprattutto un cambiamento
nelle modalità di comunicare la fede e il Vangelo: relazioni più dense di
significato e di autenticità. «Il dato su cui la comunità cristiana deve
riflettere e operare conversioni esplicite – ha osservato mons. Domenico Sigalini (vescovo di Palestrina e
presidente del Cop) nella presentazione della ricerca
– è che esiste una tensione verso la spiritualità e la fede, ma questa tensione
non riesce a trovare una risposta soddisfacente attraverso le forme
tradizionali di partecipazione religiosa, nonostante persista un margine di
fiducia verso la Chiesa cattolica che non è sfruttato o per niente o con
nessuna creatività». Se la Chiesa non riesce a parlare, a dialogare, a fare
proposte ai giovani, rischia di diventare «un probabile istituto culturale con
la tendenza a diventare storico e quindi a trasformarsi in museo».
La richiesta è quella di una Chiesa familiare, in grado di
essere contemporaneamente padre (che dà regole certe, indica la strada da
seguire e si pone come esempio di coerenza), madre (sempre pronta ad accogliere
nonostante gli errori) e sorella/fratello per camminare insieme nelle
situazioni quotidiane. La conferma, indiretta, viene dalla risposta alla
domanda: “Chi ha avuto il ruolo più importante nella formazione del suo modo di
intendere la religione?”: il 34,9% ha risposto mia madre; il 6,3% mio padre e
un altro 6% un nonno o una nonna. Un dato che conferma il ruolo cruciale delle
figure familiari nell’educazione alla fede (con il problema, oggi sempre più
avvertito, della qualità di testimonianza cristiana entro le mura di casa).
Tenendo conto che il 21,5% non indica nessuno e un altro 7,1% risponde con un
“non so”, colpisce l’esiguità di altri dati: il sacerdote raccoglie solo il
6,1% delle risposte, il catechista/animatore il 4,7%, la testimonianza di un
amico l’1,5%.
Alla luce di tutto ciò, si conferma l’urgenza di passare da
una domanda religiosa di Dio a una domanda del Dio di Gesù Cristo. Che cosa
offre di grande la parola di Dio al giovane e che cosa offre di bello la vita
del giovane alla Parola? «La magia, il satanismo e l’insignificanza, ha
sottolineato mons. Sigalini, rischiano di divenire
quegli spazi di non senso dove i giovani ricercano ciò che altrove non
trovano». Perciò non bisogna cedere alla tentazione di una “pastorale bonsai”,
che finisce nella ricerca di mezzucci per attirare i giovani, per blandirli e
far ingoiare loro contenuti che non vengono assimilati. Poiché i giovani non
religiosi «sono quelli più attivi nei diversi momenti del tempo libero, che non
è solo sballo, ma anche attitudine alle attività culturali e alla lettura di
libri e quotidiani», proprio i luoghi del tempo libero diventano veri luoghi di
missione. Da qui l’invito ai giovani credenti perché «non si chiudano nelle
proprie strutture o auto-esaltazioni e che i loro ambienti di tempo libero
(oratori) e le loro capacità artistiche (musica, recital, sacre rappresentazioni…)
siano offerti a tutti in modelli comunicativi ed espressivi e con livelli di
professionalità che possano reggere il confronto e offrire contenuti ed
esperienze significative oltre le proprie comode appartenenze e sicurezze». Il
vescovo ha concluso invitando a chiedersi “se il calo evidente di questi anni
di partecipazione associativa sia solo segno di disimpegno o non anche
incapacità di offrire associazioni rinnovate e aperte, qualificate e in certo
senso aggressive, coraggiose, non al traino o entro schemi strumentali”.
La casa del senso per i giovani, come per gli adulti, è la
vita di ogni giorno con il suo insieme di relazioni, esperienze affettive,
attività del tempo libero. Come dice lo psichiatra Andreoli,
i giovani sono in crisi di astinenza da fede e occorre “spacciare” la fede
stessa, cioè fargliela incontrare nei meandri della vita quotidiana.
Mario Chiaro