IL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA E I RELIGIOSI

TESTIMONI DI DIO E DELL’UOMO

 

Tra i più qualificati “testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”, per vocazione, ci dovrebbero essere proprio i consacrati. Basta rileggere in proposito i documenti post-conciliari sulla vita consacrata. Testimonianza profetica, silenziosa, eloquente, personale e comunitaria del primato di Dio e della carità verso il prossimo.

 

«Contemplando il volto crocifisso e glorioso di Cristo e testimoniando il suo amore nel mondo, le persone consacrate accolgono con gioia, all’inizio del terzo millennio, il pressante invito del santo padre Giovanni Paolo II a prendere il largo: Duc in altum! Queste parole, risuonate in tutta la Chiesa, hanno suscitato una nuova grande speranza, hanno ravvivato il desiderio di una più intensa vita evangelica, hanno spalancato gli orizzonti del dialogo e della missione» (Ripartire da Cristo 1).

Non c’è forse una sintesi migliore di questa per quanti fossero alla ricerca della più adeguata collocazione dei religiosi e delle religiose in vista del prossimo convegno ecclesiale che si svolgerà a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006. Il compito della testimonianza dei credenti, l’evento centrale della risurrezione di Cristo, la dimensione della speranza cristiana sono i tre temi fondamentali su cui è articolata la traccia di riflessione preparatoria del convegno, Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo. Il fatto che in questo documento ci sia un solo esplicito riferimento alla vita consacrata (n. 10), non dovrebbe assolutamente legittimare il disinteresse di tutti i consacrati in ordine a questo evento. Quell’unico accenno lo si trova, comunque, nel contesto delle esperienze da porre “sul candelabro” e che sono profezia di futuro, quali la vocazione missionaria, quella ad gentes in modo particolare, il servizio ai più poveri e alla cura del disagio, l’accompagnamento educativo nei confronti dei ragazzi e degli adolescenti, la formazione al senso civile e la partecipazione sociale, l’attenzione al mondo del lavoro, la presenza nei luoghi della sofferenza e della malattia. Sono queste, infatti, le grandi aree dell’esperienza personale e sociale, ricordate nella parte conclusiva della traccia, e nelle quali i religiosi e le religiose hanno scritto le pagine più significative della loro storia.

Per convincersene basta semplicemente rileggere, nella prospettiva dei temi del convegno ecclesiale, i documenti post-conciliari sulla vita consacrata, dal decreto Perfectae caritatis (1965) alle esortazioni apostoliche Evangelica testificatio di Paolo VI (1971) e Vita consecrata di Giovanni Paolo II (1996), alle istruzioni della congregazione per gli istituti di vita consacrata La vita fraterna in comunità (1994) e Ripartire da Cristo (2002).

Se a questi documenti ufficiali si volessero aggiungere poi tutti i testi post-capitolari e le lettere programmatiche dei superiori maggiori di tutti gli istituti di vita consacrata di questi ultimi decenni, sarebbe quanto mai facile convincersi che i primi “testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo” sono stati e dovrebbero continuare ad esserlo proprio i religiosi e le religiose. Non certo per spirito di emulazione e di rivendicazione. Ma unicamente in un atteggiamento di collaborazione, di partecipazione, di “cittadinanza attiva” che anche e soprattutto i consacrati sentono di poter e dover esprimere nei confronti della realtà ecclesiale e sociale italiana attuale.

 

TESTIMONI

DEL VANGELO

 

A una prima e più immediata rilettura dei vari documenti post-conciliari, l’aspetto di gran lunga più ricorrente è quello della testimonianza. Molto meno presente, almeno in maniera esplicita, è il tema della speranza.

Il riferimento ai consacrati come “testimoni”, è solo accennato in Perfectae caritatis. Dopo un invito a saper dare «una testimonianza in qualche modo collettiva della povertà (13), nel paragrafo conclusivo del decreto conciliare viene ripetuto l’invito ad una “testimonianza palese a tutti” attraverso una fede integra, la carità verso Dio e il prossimo, l’amore alla croce e la speranza nella gloria futura.

Paolo VI, invece, fin dal titolo della sua esortazione, richiama e ricorda esplicitamente ai religiosi il compito fondamentale di una testimonianza evangelica, attraverso la quale poter manifestare chiaramente nel mondo d’oggi il primato dell’amore di Dio. Si tratta di una testimonianza necessaria non solo a livello spirituale ma anche in quello della vita concreta. Paolo VI nelle brevi pagine della sua esortazione ci ha lasciato delle profonde e suggestive immagini dei religiosi chiamati a essere “testimoni privilegiati di una ricerca costante di Dio”, “testimoni eccezionali della trascendenza dell’amore di Cristo” (3), “testimoni dell’uomo” (34), “testimoni dello spirito delle beatitudini” (50), “testimoni viventi dell’amore del Signore e dell’amore materno” (53). E proprio da questo rapporto privilegiato con Dio scaturisce il valore della testimonianza della povertà, nell’uso dei beni, una testimonianza che il popolo di Dio si “attende” proprio dai religiosi (31).

Ma è soprattutto rileggendo le pagine di Vita consecrata e di Ripartire da Cristo che ci si imbatte continuamente nel tema della “testimonianza” come compito specifico dei consacrati.

Il carattere evangelico della testimonianza dei religiosi, come leggiamo nel primo dei due documenti, mostra con tutta evidenza che la vita consacrata «non è una realtà isolata e marginale, ma tocca tutta la Chiesa» (3). È una testimonianza “splendida e varia”. È lo specchio della molteplicità dei doni elargiti da Dio a fondatori e fondatrici (9). Compito primario della vita consacrata è infatti quello di rendere visibili le meraviglie operate da Dio nella fragile umanità dei consacrati. «Più che con le parole, esse testimoniano tali meraviglie con il linguaggio eloquente di un’esistenza trasfigurata, capace di sorprendere il mondo» (20). Sono proprio questi testimoni di Cristo nel mondo a ricordare alla Chiesa intera «che al primo posto sta il servizio gratuito di Dio, reso possibile dalla grazia di Cristo, comunicata al credente mediante il dono dello Spirito» (25).

I consacrati sono chiamati a testimoniare il vangelo delle beatitudini. È loro compito peculiare quello «di tener viva nei battezzati la consapevolezza dei valori fondamentali del vangelo, testimoniando in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini» (33). La chiamata universale alla santità «non può che stimolare maggiormente coloro che, per la loro stessa scelta di vita, hanno la missione di ricordarlo agli altri (39).

La stessa missione apostolica dei religiosi «prima che nell’azione, consiste nella testimonianza della propria dedizione piena alla volontà salvifica del Signore, una dedizione che si alimenta alle fonti dell’orazione e della penitenza» (44). A loro è richiesto di essere testimoni e artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio (46).

Un aspetto qualificante di questa comunione ecclesiale è l’adesione di mente e di cuore al magistero dei vescovi, una adesione «che va vissuta con lealtà e testimoniata con chiarezza davanti al popolo di Dio da parte di tutte le persone consacrate, particolarmente da quelle impegnate nella ricerca teologica e nell’insegnamento, nelle pubblicazioni, nella catechesi, nell’uso dei mezzi di comunicazione sociale» (46). Soprattutto gli istituti internazionali, in un’epoca come quella attuale, caratterizzata dalla mondializzazione dei problemi e insieme dal ritorno degli idoli del nazionalismo, hanno il compito «di tener vivo e di testimoniare il senso della comunione tra i popoli, le razze, le culture». Quando si è animati da uno spirito di autentica fraternità sarà facile convincersi che l’apertura alla dimensione mondiale dei problemi «non soffocherà le ricchezze particolari».

La missione dei religiosi e delle religiose, prima ancora di caratterizzarsi per le opere esteriori, «si esplica nel rendere presente al mondo Cristo stesso mediante la testimonianza personale». In un certo senso si potrebbe dire che la persona consacrata è «in missione» in virtù della sua stessa consacrazione, testimoniata secondo il progetto del proprio istituto (72).

Gli ambiti apostolici della testimonianza dei consacrati sono immensi: dalla missione ad gentes all’evangelizzazione degli ambienti, delle strutture e delle stesse leggi che regolano la convivenza, alla testimonianza dei valori evangelici «a fianco di persone che non hanno ancora conoscenza di Gesù» (78), all’accoglienza reciproca nella diversità, all’esercizio dell’autorità, alla condivisione dei beni sia materiali che spirituali, all’internazionalità, alla collaborazione inter-congregazionale (80). Forti di questa testimonianza vissuta, sempre rimanendo liberi nei confronti delle ideologie politiche, non dovrebbero rinunciare anche a «denunciare le ingiustizie che vengono compiute verso tanti figli e figlie di Dio, impegnandosi per la promozione della giustizia nell’ambiente sociale in cui operano» (82).

 

TESTIMONI

DELLA SPERANZA

 

Ma la testimonianza profetica per eccellenza dei consacrati non può non essere se non quella del primato di Dio e dei valori evangelici. Questa dimensione profetica della testimonianza richiede, infatti, «la costante e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e imprescindibile comunione ecclesiale, l’esercizio del discernimento spirituale, l’amore per la verità (84).

In un mondo in cui spesso sembrano smarrite le tracce di Dio appare quanto mai urgente questa forte testimonianza profetica dei consacrati (85). A loro è chiesto «di offrire la loro testimonianza con la franchezza del profeta, che non teme di rischiare anche la vita» (85). È sempre più necessario fare memoria di tanti testimoni della fede che «ci illuminano con il loro esempio, intercedono per la nostra fedeltà, ci attendono nella gloria». È giusto che la memoria di tanti testimoni della fede «rimanga nella coscienza della Chiesa come incitamento alla celebrazione e all’imitazione» (86)

Anche in Ripartire da Cristo il tema della testimonianza dei consacrati è declinato nelle più diversificate accezioni. Non sono solo i testimoni «della vivificante presenza della carità di Cristo in mezzo agli uomini» (1), ma anche «dell’amore che si esprime in una nuova fantasia della carità verso chi soffre, verso il mondo ferito e schiavo dell’odio, nel dialogo ecumenico e interreligioso» (4). È sempre la loro testimonianza dei valori evangelici che consente all’annuncio di Cristo di «raggiungere le persone, plasmare le comunità, incidere profondamente» nella società e nella cultura (7). È una testimonianza che poggia «sull’affermazione del primato di Dio e dei beni futuri, quale traspare dalla sequela e dall’imitazione di Cristo casto, povero e obbediente, totalmente votato alla gloria del Padre e all’amore dei fratelli e delle sorelle» (8).

La diminuzione, però, dei membri in molti istituti e il loro invecchiamento, evidente soprattutto in alcune parti del mondo, fanno sorgere la legittima domanda se la vita consacrata sia ancora una «testimonianza visibile, capace di attrarre i giovani» (12). Infatti, di fronte all’insidia della mediocrità nella vita spirituale, dell’imborghesimento progressivo e del dover convivere con una società dove spesso regna una cultura di morte «può diventare una sfida a essere con più forza testimoni, portatori e servi della vita» (13). Proprio perché è grande la pasta da lievitare «tanto più ricco di qualità deve essere il fermento evangelico e tanto più squisita la testimonianza di vita e il servizio carismatico delle persone consacrate» (13). Sull’esempio dei propri fondatori che hanno saputo rispondere con una genuina creatività carismatica alle sfide e alle difficoltà del proprio tempo, oggi più che mai si rende necessari la testimonianza vissuta dei consacrati (13).

Sarà possibile avere nuove vocazioni solo se si saprà «sviluppare nuove e più profonde capacità di incontro e offrire con la testimonianza della vita caratteristici itinerari di sequela di Cristo e di santità» (17). Ai consacrati è richiesto di essere «testimoni e artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell’uomo secondo Dio» (28). La spiritualità di comunione, all’inizio di questo terzo millennio non è solo un «compito attivo ed esemplare della vita consacrata a tutti i livelli», ma anche «la strada maestra di un futuro di vita e di testimonianza. Soprattutto le comunità multiculturali e internazionali sono chiamate a «testimoniare il senso della comunione tra i popoli, le razze, le culture». Tramite la mutua conoscenza, il rispetto, la stima e il reciproco arricchimento queste comunità potranno diventare «luoghi di addestramento all’integrazione e all’inculturazione, e insieme una testimonianza dell’universalità del messaggio cristiano» (29).

In una prospettiva di comunione, i movimenti ecclesiali come le nuove forme di vita evangelica «possono imparare molto dalla testimonianza gioiosa, fedele e carismatica della vita consacrata». Non si può ignorare, infatti, il suo ricchissimo patrimonio spirituale, i suoi molteplici tesori di sapienza e di esperienza e la sua grande varietà di forme di apostolato e di impegno missionario (30). Soltanto in una ecclesiologia integrale, in cui le diverse vocazioni, sia quelle più antiche che quelle più recenti, sono colte all’interno dell’unico popolo di convocati, «la vocazione alla vita consacrata può ritrovare la sua specifica identità di segno e di testimonianza» (31). Solo un’esistenza trasfigurata dai consigli evangelici può diventare «testimonianza profetica e silenziosa, ma insieme eloquente protesta contro un mondo disumano (33).

È sempre più urgente che le persone consacrate aprano spazi maggiori «all’orazione ecumenica e alla testimonianza». In questo modo lo Spirito Santo potrà abbattere i muri delle divisioni e dei pregiudizi. Nessuno istituto religioso dovrebbe sentirsi dispensato dal lavorare per questa causa (41)

Infatti, l’amicizia, la carità e la collaborazione in iniziative comuni “di servizio e di testimonianza” aiutano a comprendere quanto sia bello il fatto che i fratelli vivano insieme (41). Tra i requisiti fondamentali per il dialogo interreligioso dei consacrati, insieme alla libertà di spirito c’è anche la testimonianza evangelica (42). Solo attraverso un ascolto autentico dell’altro, mentre si offre l’occasione propizia per proporre la propria esperienza spirituale e i contenuti evangelici che alimentano la vita consacrata, nello stesso tempo «si testimonia così la speranza che è in noi» (44).

 

A. A.