IL CONVEGNO ECCLESIALE DI VERONA E I RELIGIOSI
TESTIMONI DI DIO E DELL’UOMO
Tra i più
qualificati “testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”, per vocazione, ci
dovrebbero essere proprio i consacrati. Basta rileggere in proposito i
documenti post-conciliari sulla vita consacrata.
«Contemplando il volto crocifisso e glorioso di Cristo e
testimoniando il suo amore nel mondo, le persone consacrate accolgono con
gioia, all’inizio del terzo millennio, il pressante invito del santo padre
Giovanni Paolo II a prendere il largo: Duc in altum! Queste parole, risuonate
in tutta la Chiesa, hanno suscitato una nuova grande speranza, hanno ravvivato
il desiderio di una più intensa vita evangelica, hanno spalancato gli orizzonti
del dialogo e della missione» (Ripartire da Cristo 1).
Non c’è forse una sintesi migliore di questa per quanti
fossero alla ricerca della più adeguata collocazione dei religiosi e delle
religiose in vista del prossimo convegno ecclesiale che si svolgerà a Verona
dal 16 al 20 ottobre 2006. Il compito della testimonianza dei credenti,
l’evento centrale della risurrezione di Cristo, la dimensione della speranza
cristiana sono i tre temi fondamentali su cui è articolata la traccia di
riflessione preparatoria del convegno,
Per convincersene basta semplicemente rileggere, nella
prospettiva dei temi del convegno ecclesiale, i documenti post-conciliari sulla
vita consacrata, dal decreto Perfectae caritatis (1965) alle esortazioni
apostoliche Evangelica testificatio di Paolo VI (1971) e Vita consecrata di
Giovanni Paolo II (1996), alle istruzioni della congregazione per gli istituti
di vita consacrata La vita fraterna in comunità (1994) e Ripartire da Cristo
(2002).
Se a questi documenti ufficiali si volessero aggiungere poi
tutti i testi post-capitolari e le lettere programmatiche dei superiori
maggiori di tutti gli istituti di vita consacrata di questi ultimi decenni,
sarebbe quanto mai facile convincersi che i primi “testimoni di Gesù risorto,
speranza del mondo” sono stati e dovrebbero continuare ad esserlo proprio i
religiosi e le religiose. Non certo per spirito di emulazione e di
rivendicazione. Ma unicamente in un atteggiamento di collaborazione, di
partecipazione, di “cittadinanza attiva” che anche e soprattutto i consacrati
sentono di poter e dover esprimere nei confronti della realtà ecclesiale e
sociale italiana attuale.
TESTIMONI
DEL VANGELO
A una prima e più immediata rilettura dei vari documenti
post-conciliari, l’aspetto di gran lunga più ricorrente è quello della
testimonianza. Molto meno presente, almeno in maniera esplicita, è il tema
della speranza.
Il riferimento ai consacrati come “testimoni”, è solo
accennato in Perfectae caritatis. Dopo un invito a saper dare «una
testimonianza in qualche modo collettiva della povertà (13), nel paragrafo
conclusivo del decreto conciliare viene ripetuto l’invito ad una “testimonianza
palese a tutti” attraverso una fede integra, la carità verso Dio e il prossimo,
l’amore alla croce e la speranza nella gloria futura.
Paolo VI, invece, fin dal titolo della sua esortazione,
richiama e ricorda esplicitamente ai religiosi il compito fondamentale di una
testimonianza evangelica, attraverso la quale poter manifestare chiaramente nel
mondo d’oggi il primato dell’amore di Dio. Si tratta di una testimonianza
necessaria non solo a livello spirituale ma anche in quello della vita
concreta. Paolo VI nelle brevi pagine della sua esortazione ci ha lasciato
delle profonde e suggestive immagini dei religiosi chiamati a essere “testimoni
privilegiati di una ricerca costante di Dio”, “testimoni eccezionali della
trascendenza dell’amore di Cristo” (3), “testimoni dell’uomo” (34), “testimoni
dello spirito delle beatitudini” (50), “testimoni viventi dell’amore del
Signore e dell’amore materno” (53). E proprio da questo rapporto privilegiato
con Dio scaturisce il valore della testimonianza della povertà, nell’uso dei
beni, una testimonianza che il popolo di Dio si “attende” proprio dai religiosi
(31).
Ma è soprattutto rileggendo le pagine di Vita consecrata e
di Ripartire da Cristo che ci si imbatte continuamente nel tema della
“testimonianza” come compito specifico dei consacrati.
Il carattere evangelico della testimonianza dei religiosi,
come leggiamo nel primo dei due documenti, mostra con tutta evidenza che la
vita consacrata «non è una realtà isolata e marginale, ma tocca tutta la
Chiesa» (3). È una testimonianza “splendida e varia”. È lo specchio della
molteplicità dei doni elargiti da Dio a fondatori e fondatrici (9). Compito
primario della vita consacrata è infatti quello di rendere visibili le
meraviglie operate da Dio nella fragile umanità dei consacrati. «Più che con le
parole, esse testimoniano tali meraviglie con il linguaggio eloquente di
un’esistenza trasfigurata, capace di sorprendere il mondo» (20). Sono proprio
questi testimoni di Cristo nel mondo a ricordare alla Chiesa intera «che al
primo posto sta il servizio gratuito di Dio, reso possibile dalla grazia di
Cristo, comunicata al credente mediante il dono dello Spirito» (25).
I consacrati sono chiamati a testimoniare il vangelo delle
beatitudini. È loro compito peculiare quello «di tener viva nei battezzati la
consapevolezza dei valori fondamentali del vangelo, testimoniando in modo
splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio
senza lo spirito delle beatitudini» (33). La chiamata universale alla santità
«non può che stimolare maggiormente coloro che, per la loro stessa scelta di
vita, hanno la missione di ricordarlo agli altri (39).
La stessa missione apostolica dei religiosi «prima che
nell’azione, consiste nella testimonianza della propria dedizione piena alla
volontà salvifica del Signore, una dedizione che si alimenta alle fonti
dell’orazione e della penitenza» (44). A loro è richiesto di essere testimoni e
artefici di quel “progetto di comunione” che sta al vertice della storia
dell’uomo secondo Dio (46).
Un aspetto qualificante di questa comunione ecclesiale è
l’adesione di mente e di cuore al magistero dei vescovi, una adesione «che va
vissuta con lealtà e testimoniata con chiarezza davanti al popolo di Dio da
parte di tutte le persone consacrate, particolarmente da quelle impegnate nella
ricerca teologica e nell’insegnamento, nelle pubblicazioni, nella catechesi,
nell’uso dei mezzi di comunicazione sociale» (46). Soprattutto gli istituti
internazionali, in un’epoca come quella attuale, caratterizzata dalla
mondializzazione dei problemi e insieme dal ritorno degli idoli del
nazionalismo, hanno il compito «di tener vivo e di testimoniare il senso della
comunione tra i popoli, le razze, le culture». Quando si è animati da uno
spirito di autentica fraternità sarà facile convincersi che l’apertura alla
dimensione mondiale dei problemi «non soffocherà le ricchezze particolari».
La missione dei religiosi e delle religiose, prima ancora di
caratterizzarsi per le opere esteriori, «si esplica nel rendere presente al
mondo Cristo stesso mediante la testimonianza personale». In un certo senso si
potrebbe dire che la persona consacrata è «in missione» in virtù della sua
stessa consacrazione, testimoniata secondo il progetto del proprio istituto
(72).
Gli ambiti apostolici della testimonianza dei consacrati
sono immensi: dalla missione ad gentes all’evangelizzazione degli ambienti,
delle strutture e delle stesse leggi che regolano la convivenza, alla
testimonianza dei valori evangelici «a fianco di persone che non hanno ancora
conoscenza di Gesù» (78), all’accoglienza reciproca nella diversità,
all’esercizio dell’autorità, alla condivisione dei beni sia materiali che
spirituali, all’internazionalità, alla collaborazione inter-congregazionale
(80). Forti di questa testimonianza vissuta, sempre rimanendo liberi nei
confronti delle ideologie politiche, non dovrebbero rinunciare anche a
«denunciare le ingiustizie che vengono compiute verso tanti figli e figlie di
Dio, impegnandosi per la promozione della giustizia nell’ambiente sociale in
cui operano» (82).
TESTIMONI
DELLA SPERANZA
Ma la testimonianza profetica per eccellenza dei consacrati
non può non essere se non quella del primato di Dio e dei valori evangelici.
Questa dimensione profetica della testimonianza richiede, infatti, «la costante
e appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e imprescindibile
comunione ecclesiale, l’esercizio del discernimento spirituale, l’amore per la
verità (84).
In un mondo in cui spesso sembrano smarrite le tracce di Dio
appare quanto mai urgente questa forte testimonianza profetica dei consacrati
(85). A loro è chiesto «di offrire la loro testimonianza con la franchezza del
profeta, che non teme di rischiare anche la vita» (85). È sempre più necessario
fare memoria di tanti testimoni della fede che «ci illuminano con il loro
esempio, intercedono per la nostra fedeltà, ci attendono nella gloria». È
giusto che la memoria di tanti testimoni della fede «rimanga nella coscienza
della Chiesa come incitamento alla celebrazione e all’imitazione» (86)
Anche in Ripartire da Cristo il tema della testimonianza dei
consacrati è declinato nelle più diversificate accezioni. Non sono solo i
testimoni «della vivificante presenza della carità di Cristo in mezzo agli
uomini» (1), ma anche «dell’amore che si esprime in una nuova fantasia della
carità verso chi soffre, verso il mondo ferito e schiavo dell’odio, nel dialogo
ecumenico e interreligioso» (4). È sempre la loro testimonianza dei valori
evangelici che consente all’annuncio di Cristo di «raggiungere le persone,
plasmare le comunità, incidere profondamente» nella società e nella cultura
(7). È una testimonianza che poggia «sull’affermazione del primato di Dio e dei
beni futuri, quale traspare dalla sequela e dall’imitazione di Cristo casto,
povero e obbediente, totalmente votato alla gloria del Padre e all’amore dei
fratelli e delle sorelle» (8).
La diminuzione, però, dei membri in molti istituti e il loro
invecchiamento, evidente soprattutto in alcune parti del mondo, fanno sorgere
la legittima domanda se la vita consacrata sia ancora una «testimonianza
visibile, capace di attrarre i giovani» (12). Infatti, di fronte all’insidia
della mediocrità nella vita spirituale, dell’imborghesimento progressivo e del
dover convivere con una società dove spesso regna una cultura di morte «può
diventare una sfida a essere con più forza testimoni, portatori e servi della
vita» (13). Proprio perché è grande la pasta da lievitare «tanto più ricco di
qualità deve essere il fermento evangelico e tanto più squisita la
testimonianza di vita e il servizio carismatico delle persone consacrate» (13).
Sull’esempio dei propri fondatori che hanno saputo rispondere con una genuina
creatività carismatica alle sfide e alle difficoltà del proprio tempo, oggi più
che mai si rende necessari la testimonianza vissuta dei consacrati (13).
Sarà possibile avere nuove vocazioni solo se si saprà
«sviluppare nuove e più profonde capacità di incontro e offrire con la
testimonianza della vita caratteristici itinerari di sequela di Cristo e di
santità» (17). Ai consacrati è richiesto di essere «testimoni e artefici di
quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell’uomo secondo
Dio» (28). La spiritualità di comunione, all’inizio di questo terzo millennio
non è solo un «compito attivo ed esemplare della vita consacrata a tutti i
livelli», ma anche «la strada maestra di un futuro di vita e di testimonianza.
Soprattutto le comunità multiculturali e internazionali sono chiamate a
«testimoniare il senso della comunione tra i popoli, le razze, le culture». Tramite
la mutua conoscenza, il rispetto, la stima e il reciproco arricchimento queste
comunità potranno diventare «luoghi di addestramento all’integrazione e
all’inculturazione, e insieme una testimonianza dell’universalità del messaggio
cristiano» (29).
In una prospettiva di comunione, i movimenti ecclesiali come
le nuove forme di vita evangelica «possono imparare molto dalla testimonianza
gioiosa, fedele e carismatica della vita consacrata». Non si può ignorare,
infatti, il suo ricchissimo patrimonio spirituale, i suoi molteplici tesori di
sapienza e di esperienza e la sua grande varietà di forme di apostolato e di
impegno missionario (30). Soltanto in una ecclesiologia integrale, in cui le
diverse vocazioni, sia quelle più antiche che quelle più recenti, sono colte
all’interno dell’unico popolo di convocati, «la vocazione alla vita consacrata
può ritrovare la sua specifica identità di segno e di testimonianza» (31). Solo
un’esistenza trasfigurata dai consigli evangelici può diventare «testimonianza
profetica e silenziosa, ma insieme eloquente protesta contro un mondo disumano
(33).
È sempre più urgente che le persone consacrate aprano spazi
maggiori «all’orazione ecumenica e alla testimonianza». In questo modo lo
Spirito Santo potrà abbattere i muri delle divisioni e dei pregiudizi. Nessuno
istituto religioso dovrebbe sentirsi dispensato dal lavorare per questa causa
(41)
Infatti, l’amicizia, la carità e la collaborazione in
iniziative comuni “di servizio e di testimonianza” aiutano a comprendere quanto
sia bello il fatto che i fratelli vivano insieme (41). Tra i requisiti
fondamentali per il dialogo interreligioso dei consacrati, insieme alla libertà
di spirito c’è anche la testimonianza evangelica (42). Solo attraverso un
ascolto autentico dell’altro, mentre si offre l’occasione propizia per proporre
la propria esperienza spirituale e i contenuti evangelici che alimentano la
vita consacrata, nello stesso tempo «si testimonia così la speranza che è in
noi» (44).
A. A.