FEDELT� E
ABBANDONI
Ho letto con
molto interesse l�articolo Fedelt� e abbandoni nel numero 21/2005 di Testimoni.
Il campionario globalizzato a cui fa riferimento il P. Lu�s Oviedo �
sufficientemente ampio per comprendere e riassumere le motivazioni del venir
meno a una professione religiosa fatta in un contesto particolarmente
suggestivo, quale il noviziato. Trovo particolarmente simpatica, oltre che
obiettiva, la distinzione fra �chi lascia e non dovrebbe lasciare e chi non
lascia mentre dovrebbe lasciare�. La seconda parte illumina la prima,
aggregando le tre fondamentali cause che sono state esaminate nell� Assemblea
dei superiori generali: affettivit�, obbedienza, fede.
I tre motivi
addotti per� non sono, in se stessi, ostacoli insormontabili. Secondo il mio
discutibilissimo parere, la ragione primaria sta pi� a monte. � il contesto
religioso, nel quale l�ex-novizio � chiamato a vivere, che non risponde pi�
alla propria �opzione fondamentale�, cos� come era stato recepito negli anni
del fervore. La situazione � analoga a quella di un qualsiasi matrimonio che si
trova in crisi di identit�; con l�aggravante che il religioso/a non ha mai
fatto una scelta � affettiva � di-tipo sponsale, precedentemente collaudata,
dal momento che i suoi incontri sono stati casuali; e, occorre dirlo, non
sempre ideali. Ci vuole molta fede, in certi casi, per identificarli come
provvidenziali. Questa ovvia constatazione non bisogna prenderla per� come la
classica scappatoia di chi addossa sistematicamente la colpa agli altri,
ritenendosi immune da colpe. Chiunque pu� essere una delusione per chi gli �
stato posto accanto dalla Provvidenza. Nessuno, se � minimamente intelligente
per capire, e onesto per ammettere, pu� ritenersi immune dalla possibilit� di
essere lui stesso �pietra d�inciampo� per il proprio fratello. E questo pu�
avvenire senza colpa positiva di nessuno; si tratta di crescita differente
dovuta al temperamento, ai carismi, all�et�, alle circostanze.
La regola e
tutto quanto � stato suggerito al noviziato, ma anche lo stesso Vangelo, viene
�metabolizzato� in maniera differente da ognuno di noi.�Quidquid accipitur, ad
modum recipientis accipitur�. La personalit� del singolo � un filtro che pu�
creare conflitto con chiunque non sappia dare spazio alle interpretazioni
altrui. Al contrario, ogni idea � tanto pi� valida quanto pi� riesce a far
posto alle idee altrui; e le divergenze sono superabili in proporzione diretta
alla motivazione della scelta religiosa fatta dai singoli. In altre parole, l�
dove si tratta di vera vocazione, ogni apporto personale, che sia in sintonia
con il carisma della propria regola, col Vangelo e con la Chiesa, non pu�
essere che un arricchimento per tutti, accettato da tutti con gioiosa
partecipazione.
Il guaio nasce
quando la soggettivit� travalica il bonum commune, e diventa imposizione
capricciosa, in una visione puramente personale, incapace di far posto alle idee
degli altri per una proposta di collaborazione. � in questo senso che l�acuta
osservazione sulla categoria di coloro che dovrebbero lasciare e non lasciano,
diventa illuminante. Non � raro infatti incontrare, anche nella vita religiosa,
persone-ambiziose; carrieriste, arroganti, che nulla hanno a che vedere con il
termine religioso, che pure hanno sempre nella bocca. �Voi mi onorate con le
labbra, ma il vostro cuore � lontano da me: farisei che non entrano nel regno
dei cieli e non lasciano entrare gli altri�, direbbe Ges�.
La vita
religiosa, allora, non � pi� l�incarnazione gioiosa di verit� liberamente
accettate per vivere in sintonia, meglio, in simbiosi con altri, in una
prospettiva di aiuto reciproco, un ideale che intendeva essere la piena, totale
e radicale risposta alla chiamata divina che uno sentiva in s�; ma una
burocratica imposizione limitativa della realt� religiosa.
Questa, secondo
me, � la causa prima che squilibra molti religiosi nelle loro convinzioni
primarie. Le motivazioni di carattere affettivo, i conflitti con i superiori,
la crisi di fede, sono conseguenze di un disagio pregresso, piuttosto che cause
del medesimo. Il miraggio �affettivo� pu� solo contribuire a deformare
ulteriormente una realt� divenuta triste e invivibile, e pu� avere la forza di
prospettare orizzonti pi� aperti, nei quali realizzare meglio i propri ideali
religiosi.
Nessuna
meraviglia allora che �la qualit� della vita dell�ex-religioso, per quanto
riguarda la preghiera e l�impegno apostolico, non sia affatto peggiore di
quella di quanti rimangono. Il che sta a dimostrare che la vocazione di chi ha
lasciato era autentica. Ma se questa � la situazione, trovo illogica la
conclusione: �Di fronte agli abbandoni, pare che ci sia poco da fare se non
accettare un processo di inevitabile selezione naturale�. Paradossalmente, i
�buoni�, cio� quelli che restano, sarebbero proprio quelli che invece
�dovrebbero lasciare�, se quelli che hanno lasciato �non sono peggiori di
quelli che rimangono!�. Addirittura mi sembra un pochino presuntuosa la ragione
che fa Lu�s Oviedo adduce dicendo che �non si dovrebbe dimenticare che la vita
consacrata � un fatto di �lite, per cui un certo atteggiamento �settario�, �
pressoch� inevitabile�.
Secondo me, il
problema della perseveranza andrebbe posto in maniera diversa. Dando per
scontato che la vocazione dipende esclusivamente da Colui che chiama; la
perseveranza sta tutta nella forza delle convinzioni di colui che risponde. E
solo una profonda analisi iniziale pu� aiutare a discernere se si tratta di
vera vocazione. Le crisi ci sono in tutti i campi, in tutti gli ambienti, in
tutti i matrimoni, in tutte le vocazioni religiose; ma se le convinzioni di
partenza sono profonde, se la opzione fondamentale � lucida, gli abbandoni sono
rari.
La controprova �
data dalla �anagrafe, che dimostra inequivocabilmente che se ne vanno i pi�
giovani�. Perch�? Negli ultimi decenni, quando le vocazioni pullulavano, la
selezione veniva fatta spesso per i motivi pi� insignificanti, come la scarsa
capacit� di apprendere il greco o il latino o la filosofia. E non si badava
troppo per il sottile se dentro c�era stoffa autentica da confezionare. Quanti
�che dovevano rimanere� sono stati costretti a lasciare! E forse qualcuno �che
doveva andare� � rimasto! Ma, nell�insieme, la scelta si � sempre dimostrata
valida ed efficace.
Attualmente, per
riempire le file, che si stanno paurosamente svuotando, cosa si fa?
Purtroppo le
chiamate ora sono poche, per i motivi che tutti conoscono; e il numero si
riduce ancora di pi�, se non si intende accettare oves et boves. Tuttavia, la
realt� sta a dimostrare che il buon Dio chiama anche ai giorni nostri, dove,
come e quando vuole; e quello � l�aspetto divino della vocazione. L�aspetto
umano invece � quello della perseveranza, strettamente dipendente dall�ambiente
in cui il vocato viene a trovarsi, dopo il fervore del noviziato o del
seminario.
Sono le persone
quelle che creano il clima favorevole o sfavorevole, per la crescita o la
perdita di una vocazione. � il Vangelo vissuto, incarnato, l�esperienza vitale
con il Cristo; la teologia passata dalla mente al cuore; le regole umanizzate,
come sostegno, guida, che aiutano a dare senso a tutta una esistenza gi�
orientata verso Dio. Se il clima � impregnato di fede solida e non bigotta; se
il rapporto umano � fraterno, comprensivo, accogliente, come scrivono molto
bene tutti i fondatori e predicano altrettanto bene tutti i superiori, le
sbandate, qualora ci siano, rientrano, e, spesso, in modo pi� proficuo di certi
tram-tram trascinati da coloro che sarebbero dovuti andarsene e sono rimasti�
A.Cimadom
Di analisi sulle
cause degli abbandoni � come del resto anche della scarsit� delle nuove
vocazioni � ne sono state fatte talmente tante e mi pare che non resti pi�
nulla da aggiungere, se non prenderne atto. A mio parere il problema di fondo
rimane per� sempre lo stesso e riguarda l�autenticit� o meno di una vocazione.
Oggi forse, rispetto al passato, siamo pi� attrezzati per giungere a
riconoscere i tratti caratteristici di una vocazione vera, con l�aiuto anche
delle scienze umane che un tempo erano quasi del tutto ignorate.
�
sull�autenticit� che si costruisce poi anche la risposta di fedelt�: una
risposta da non dare mai per scontata, soprattutto in un�epoca come la nostra
in cui gli impegni definitivi fanno tanta paura. Forse non � superfluo
richiamare l�ammonimento di Paolo al suo amato discepolo Timoteo: �Ti ricordo
di ravvivare il dono di Dio che � in te per l�imposizione delle mie mani� (2Tim
1,6).
Per �ravvivare�
questo dono, ritengo essenziale un serio cammino di formazione permanente che
aiuti la persona, nelle varie fasi della sua vita, a crescere sotto tutti gli
aspetti. La vita infatti � un cammino, una crescita continua: non ci si pu�
fermare ai �bei tempi� del noviziato e pensare che la situazione (ideale?!) di
allora abbia a perpetuarsi. Cambiamo noi e attorno a noi cambiano le persone �
superiori, confratelli � mutano le comunit� e l�ambiente nel quale l�obbedienza
invia, per cui sono richieste sempre nuove risposte� Ci� che non cambia n� deve
cambiare invece � l�opzione fondamentale, ossia quella donazione di s� a Cristo
che � stata all�origine dalla vocazione, indipendentemente dalle circostanze in
cui uno si trovi poi a vivere. Il �s� iniziale detto a Dio deve trovare una
sua conferma sempre pi� matura e consapevole, che, in alcuni casi, pu� giungere
anche al martirio, come spesso � avvenuto e continuamente avviene. Ges�,
conoscendo le tentazioni a cui i suoi discepoli sarebbero stati esposti, li
elogia dicendo loro: �Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie
prove� (Lc 22,28).
Certamente la
formazione del passato � che pure ha dato alla Chiesa tanti santi � (e non � il
caso di tornare a ripetere cose gi� dette infinite volte) � � stata molto
lacunosa sotto vari aspetti. Ma in questi ultimi decenni tantissime cose sono
cambiate; al religioso sono state offerte straordinarie opportunit� di crescita
e di maturazione, a tutti i livelli; non gli sono mancate le possibilit� di
rafforzare le motivazioni che fin dall�inizio erano (o avrebbero dovuto essere)
alla base della sua chiamata: la passione per Cristo e il suo Regno e il
desiderio di donargli l�intera esistenza.
Quanto poi al
problema se sia migliore chi rimane o chi esce, credo non tocchi a noi
giudicarlo. L�importante � che ciascuno si esamini sinceramente e sia fedele al
disegno di Dio su di lui, dentro o fuori non importa. In fondo, come ha scritto
il concilio, tutti sono chiamati alla santit�. Importante � arrivarci sulla via
che ha tracciato per ognuno di noi il Signore. Al di fuori di quella, il
rischio di fallire � grande.
(A.D.)