P. FIORENTINI AI
MISSIONARI DELLA CONSOLATA
LA MISSIONE È
AMORE IN AZIONE
Un anno sotto la protezione della beata
madre Teresa di Calcutta: è l’impegno assunto dai missionari della Consolata
per il 2006. Nel suo esempio e nei suoi insegnamenti essi intendono trovare
ispirazione per la loro missione nella Chiesa e nel mondo. Le ragioni di questa
scelta in una lettera del superiore generale A. Fiorentini.
L’istituto
Missioni della Consolata ha scelto come protettrice per l’anno 2006 la beata
madre Teresa di Calcutta. Padre Aquiléo Fiorentini, superiore generale, è
sicuro che sarà una scelta gradita, non solo perché si tratta di una figura
molto conosciuta e che molti hanno avuto la fortuna di incontrare
personalmente, ma perché, scrive in una lettera all’istituto per la giornata
missionaria mondiale 2005, «il suo spirito ci pare in sintonia con quello della
nostra famiglia religiosa per molti aspetti». Egli si propone di indicarne
alcuni, soprattutto in relazione con la spiritualità e l’attività missionaria dell’istituto,
mettendo in parallelo l’insegnamento di madre Teresa con quello del fondatore,
Giuseppe Allamano. Si può dire che c’è come un filo ideale che lega insieme
queste considerazioni con quelle dell’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas
est, Dio è amore. In definitiva, tutto si spiega con l’amore e riporta
all’amore. In effetti, osserva p. Fiorentini, la missione non è altro che
“amore in azione”.
La vita del
missionario si spiega a partire dalla sua coscienza di essere chiamato da
Cristo. È come un accordo personale con lui. Ecco la ricchezza del pensiero di
madre Teresa al riguardo: «Per me la vocazione consiste nell’appartenere a
Gesù. Nella convinzione ferma che nulla mi separerà dall’amore di Cristo.
Non fui io a
dover scoprire Gesù. Fu Gesù che mi incontrò e mi scelse. In questo consiste
una vocazione forte: nell’appartenere a lui, nell’essere suoi per amarlo con
amore e castità indivisi, nella libertà che dona la povertà, e in una donazione
totale nell’ obbedienza.
Lui è la vita
che io voglio vivere. Lui è la Luce che voglio rispecchiare. Lui è il cammino
verso il Padre. Lui è l’Amore che voglio amare. Lui è la gioia che voglio
condividere. Lui è la pace che voglio far crescere intorno a me. Gesù è tutto
per me. Senza di lui, non posso far nulla. Soltanto per lui, in lui e con lui
posso vivere».
Come si vede,
secondo madre Teresa, la vocazione si comprende e si realizza solo alla luce
di una comunione di intenso amore con la persona di Gesù, che perdura tutta la
vita. Non c’è dubbio che anche il nostro spirito è sintonizzato su questa
stessa lunghezza d’onda. Mi viene spontaneo il riferimento alla spiegazione che
dava il fondatore per rassicurare i ragazzi: «Per quanto riguarda la vocazione
missionaria, la cosa è più semplice (...). Questa vocazione è di quanti amano
molto il Signore e bramano di farlo conoscere, disposti a qualsiasi
sacrificio». Anche per l’ Allamano la vocazione consiste nel rapporto di amore
totale con la persona di Gesù.
Interrogata sul
fatto che vi sono così poche vocazioni nel mondo, madre Teresa, in più di una
occasione, espresse il suo pensiero sui giovani di oggi, indicando come lei li
sognava e desiderava che realmente fossero: «C’è troppa ricchezza, troppa
comodità, un livello di vita molto alto, non soltanto nelle famiglie, ma anche
nella vita religiosa (...). Io penso che abbiamo perso la semplicità del
Vangelo. I giovani oggi non vogliono più ascoltare, ma vedere. Quando una
ragazza viene a dirmi che vuol farsi suora con noi, io le dico: vieni e vedi come
viviamo (...). I giovani vogliono vedere una proposta concreta di vita, non
solo ascoltare bei discorsi. Vogliono una cosa: tutto o niente. (...).
Soprattutto i giovani hanno fame e sete d’infinito. Molto spesso non riescono a
vedere Dio in noi. E questo è ciò che i giovani non riescono ad accettare. Noi
diciamo una cosa e siamo qualcosa d’altro. Se noi non abbiamo Gesù non possiamo
darlo agli altri, se non viviamo unicamente di Gesù, non possiamo farlo vivere
agli altri».
Parlando ai
giovani, madre Teresa li sfidava proprio sul piano della vocazione e diceva
senza mezzi termini: «La vocazione è appartenere a Gesù così profondamente, che
nulla ci separi dal suo amore. Voi e io non dobbiamo fare altro che dare vita
al nostro amore per Cristo. L’amore prende tutto e dà tutto, come Dio si è dato
totalmente a noi. Dio non chiederà quanti libri ha letto, quanti miracoli ha
fatto una Missionaria della Carità, le chiederà invece se ha fatto del suo
meglio per amore di lui».
Lo stesso sogno
di madre Teresa noi lo troviamo nel nostro fondatore. Anche lui immaginava i
suoi giovani tutti “di prima qualità” o, come diceva spesso, della “terza
classe”. Essendo un uomo di esperienza e molto concreto, non si illudeva
riguardo la qualità dei suoi giovani, ma non cessava di proporre il massimo,
spiegando: «La terza classe è dei generosi, di quelli che non rifiutano
niente. Così dobbiamo essere noi, dobbiamo dire al Signore: io non voglio fare
nessuna detrazione, sono un olocausto». Il fondatore, che non aveva bisogno di
trattare la scarsezza di vocazioni, allora numerose, voleva che ai giovani si
presentasse realisticamente la vita missionaria, con le sue esigenze. Al p.
Lorenzo Sales, mentre era nel seminario di Bologna per un incontro di promozione
vocazionale, scriveva: «Sta attento a non entusiasmarli poeticamente. Dì loro
la vera natura dell’istituto, la disciplina e lo spirito che lo regge».
UNA PROPOSTA
FORTE
UN CAMMINO DI
SANTITÀ
Non c’è dubbio
che madre Teresa abbia creato attorno a sé un clima che puntava dritto alla
santità della vita. E ciò senza affettazione, ma con semplicità e decisione.
Per lei il primo passo verso la santità doveva essere molto realistico, cioè
avere la volontà di diventarlo: «Con una volontà integra, amiamo Dio, scegliamo
Dio, corriamo verso Dio, lo raggiungiamo, lo possediamo. Spesso, sotto il
pretesto dell’umiltà, della fiducia, dell’abbandono, abbiamo potuto dimenticare
di utilizzare la forza della nostra volontà. Tutto dipende da queste parole:
“voglio” o “non voglio”. E nella parola “voglio”, devo mettere tutta la mia
energia. Che cos’è un santo, se non un’anima risoluta, un’anima che agisce con
forza? Non era questo che intendeva san Paolo quando disse: “Posso tutto in
Colui che mi dà la forza”? “Voglio essere santa”, significa: voglio spogliare
me stessa di tutto ciò che non è Dio, voglio spremere il mio cuore e svuotarlo
di ogni cosa creata, voglio vivere in povertà e distacco. Voglio rinunciare
alla mia volontà, alle mie inclinazioni, ai miei capricci e alle mie fantasie
e fare di me stessa una fedele schiava della volontà di Dio».
Alle religiose
di altre congregazioni che desideravano entrare fra le Missionarie della
Carità, madre Teresa diceva: «Vivete veramente secondo la vostra regola. Non
dovete cambiare. Infatti, le costituzioni approvate dalla Chiesa contengono la
parola scritta di Dio. Per questo, quindi, invochiamo la grazia di mantenerci
fedeli alle nostre costituzioni e di appartenere solo a Gesù per mezzo di
Maria. Non esiste mezzo più sicuro per una grande santità». E alle sue
missionarie spiegava: «Noi tutte vogliamo fare qualcosa di bello per Dio...
Cerchiamo di immaginare ogni sorta di sacrifici e mortificazioni. Basta che vi
limitiate a tener presenti le vostre regole e a viverle con il più grande
amore, per Gesù e con Gesù».
L’intelligenza
dei santi è di non sentirsi speciali o straordinari. «La santità non è un lusso
di pochi - diceva madre Teresa –. È semplicemente un dovere vostro e mio. La
santità è accettare ciò che Gesù ci dà, e dare ciò che Gesù ci chiede, con un
sorriso. In questo consiste il fare la volontà di Dio. Per divenire santi, si
deve soffrire molto. La sofferenza genera l’amore... Genera la vita nelle
anime». Quando le domandarono se non le dava fastidio l’essere considerata
santa, già da viva, rispose con semplicità, ripetendo la sua convinzione:
«Ognuno di noi è quello che è agli occhi di Dio. Tutti siamo chiamati a essere
santi. La santità non è un lusso riservato a pochi, ma un semplice dovere per
tutti. Non c’è nulla di straordinario in questo. Siamo stati creati a immagine
di Dio, per amare ed essere amati».
Questo cammino
di santità per madre Teresa non aveva limiti. Doveva arrivare fino al massimo
dell’amore, che è il martirio. Di fronte l’eventualità di lavorare in un paese
che l’avesse obbligata ad abbandonare la sua fede, rispondeva: «Nessuno può
togliermi la fede. Se, per fare irradiare l’amore del Cristo su degli infelici,
non c’è altra alternativa che restare in quel paese, resterò, ma non rinuncerò.
Sarò pronta a sacrificare la mia vita, ma non la mia fede». Per lei «il vero
missionario è legato alla croce, dove Cristo ha mostrato il suo amore».
A questo punto
ho l’impressione di sottoporvi concetti che tutti abbiamo già sentito molte
volte. Non li ritroviamo, infatti, anche nella nostra spiritualità? Il nostro
fondatore, con parole identiche o simili, non faceva le stesse affermazioni?
Anche lui, parlando della perfezione, sintetizzava così il suo pensiero: «È
questione di volontà ferma e decisa». Anche lui raccomandava di non cercare
altrove i mezzi per la santità, ma di farci «santi come missionari della
Consolata, secondo le regole e lo spirito dell’istituto». Spiegava, inoltre,
che la santità, non è l’ideale riservato ad alcuni, perché il fine
dell’istituto è «la santificazione dei suoi membri, non di qualcuno, ma di
tutti (...). Tutti sono membri e devono farsi santi, devono aiutarsi». Sappiamo
infine che il fondatore non si limitava alle mezze misure, ma indicava il
massimo degli ideali, «fino al martirio», espressione di fede incrollabile e di
amore totale.
Madre Teresa e
l’Allamano, poi, coincidono esattamente su di un aspetto, che mi piace
sottolineare: tendere alla santità non significa fare cose straordinarie, ma
fare bene, con grande amore, le cose piccole e ordinarie della vita. Ascoltiamoli
entrambi, senza commenti. Madre Teresa: «Fare cose ordinarie con straordinario
amore: piccole cose, come assistere i malati e i senzatetto, chi è solo o non è
stato desiderato, lavare e pulire per loro (...). Amiamo... non nelle grandi,
ma nelle piccole cose fatte con grande amore». Giuseppe Allamano: «Noi dobbiamo
fare tutto bene, le cose sia ordinarie che straordinarie. La nostra santità
consiste nel fare le cose bene dal mattino alla sera. Il Cafasso diceva che il
bene bisogna farlo bene. Così dovete fare voi: fare le cose solo per amor di
Dio, interamente, in tutte le circostanze».
GESÙ NEI POVERI
MISSIONE D’AMORE
Qui, forse, ci
accostiamo all’identità più profonda di madre Teresa, la quale riuscì ad
affascinare i cuori di milioni di persone nel mondo proprio con la forza del
suo amore per Cristo e della sua missione d’amore per i più poveri dei poveri.
Chi erano effettivamente, per lei, questi poveri? L’elenco è molto lungo e, se
noi lo volessimo compilare, correremmo il rischio di mutilarlo. Tuttavia
possiamo dire che i poveri di Madre Teresa erano certamente i bambini abbandonati
e handicappati, privi di cibo e soprattutto di amore; i ragazzi e le ragazze
che girovagavano per le stazioni dei treni e bus; le giovani madri che
rischiavano di morire di stenti con i loro bambini; le giovani donne rapite e
violentate, che avevano bisogno di aiuto per evitare l’aborto; i lebbrosi, che
la gente rifuggiva; gli anziani soli, senza risorse, senza amore; i rifugiati;
quelli che vivevano nei tuguri delle città e dei borghi tra immondizia,
malattie e miseria. Ancora, tra i più poveri spiccavano le persone “ferite”
nella loro dignità, perché non desiderate, non amate, abbandonate, rifiutate o
ignorate dalla società.
Madre Teresa era
convinta che i poveri non hanno bisogno solo del denaro, ma soprattutto del
nostro rispetto, delle nostre mani che li servono, dei nostri cuori che li
amano. Era più che convinta che «i poveri non sono affamati soltanto di cibo,
hanno anche il desiderio di venire considerati esseri umani. Hanno fame di
dignità e desiderano essere trattati come siamo trattati noi. Sono affamati del
nostro amore». Per lei, quello che i poveri ci danno è più di quello che noi
diamo loro, perché essi ci danno il loro amore ricolmo di gratitudine. Di più:
per servire i poveri, bisogna essere come loro poveri. Domandava con semplicità
disarmante: «Come puoi davvero conoscere i poveri se non vivi come loro?».
C’è un aspetto
fondamentale e decisivo che spiega alle radici la personalità e il messaggio di
madre Teresa. È la sua fede e il suo amore per Gesù Cristo. Assicurava che non
avrebbe toccato un lebbroso per mille sterline, ma che lo avrebbe curato
volentieri solo per amore di Gesù. Madre Teresa è stata colpita in modo
speciale da due passi del Vangelo. Il primo è il grido di Gesù sulla croce
riportato da Giovanni: «Ho sete» (Gv 19,28). Queste parole sono scritte sopra
il crocifisso in tutte le cappelle delle Missionarie della Carità. E nelle
loro costituzioni, madre Teresa ha fatto scrivere: «Il nostro scopo è saziare
l’infinita sete d’amore delle anime di Gesù Cristo sulla croce. Serviamo Gesù
nei poveri». Il seconda passo evangelico che ha inciso in modo decisivo in
madre Teresa è la risposta di Gesù ai beati durante il giudizio finale: «Ogni
volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Partendo da
queste convinzioni, che erano tutta la sua vita, ecco il programma che madre
Teresa proponeva alle Missionarie della Carità, come pure a tutti i suoi
collaboratori: «Non siamo qui per il lavoro, siamo qui per Gesù. Tutto ciò che
facciamo è per lui. Siamo prima di tutto religiose, non siamo assistenti
sociali, né insegnanti, né infermiere, né medici: siamo sorelle religiose. Noi
serviamo Gesù nei poveri. Lo andiamo a trovare, lo confortiamo nei poveri,
negli abbandonati, nei malati, negli orfani, nei moribondi. Ma tutto ciò che
facciamo è per Gesù. La nostra vita non ha altre ragioni né motivazioni».
Madre Teresa ha
parlato a tutti e si è fatta capire da tutti con il linguaggio più semplice:
quello della carità. In un incontro, le hanno fatto notare che certa gente le
rimproverava il fatto che mettesse troppo l’accento sulla carità, e non sulla
giustizia. Al che rispose: «L’ho già detto: noi ci occupiamo di una persona e
poi, se possiamo, di un’altra. Non curiamo mai le moltitudini. La nostra particolare
vocazione è amare ogni persona, oggi. Resta ad altri la vocazione di lavorare
a più lunga scadenza. L’amore, la tenerezza, la misericordia sono la vera
giustizia. La giustizia senza l’amore non è giustizia. L’amore, senza la
giustizia, non è amore. Spesso, ci sentiamo dire che viziamo troppo i poveri.
Nessuno li ha viziati più di Dio stesso. Ed è bello che ci sia almeno una
congregazione religiosa che vizi i poveri. Ce ne sono già abbastanza che
viziano i ricchi».
Riguardo
all’impegno della missione nella carità, noi missionari della Consolata ci
sentiamo a nostro pieno agio. Il fondatore ha indicato questo stesso cammino ai
suoi figli, anche se con espressioni diverse. Sia sufficiente ricordare le
parole che l’indimenticabile sommo pontefice Giovanni Paolo II ci ha inviato
nel messaggio per il centenario dell’istituto: «Fin dagli inizi, i vostri missionari
hanno unito all’evangelizzazione uno sforzo concreto di promozione umana,
privilegiando la cura per i più poveri e gli emarginati. È uno stile apostolico
che potremmo chiamare “integrale”, perché in esso sono tenute presenti tutte le
esigenze dell’essere umano. Il vostro fondatore, confortato dalla fede e
animato da sano realismo, non dubitava che gli uomini avrebbero amato “una
religione che, oltre le promesse dell’altra vita, li rende più felici su questa
terra”.
All’annuncio
esplicito del Vangelo, va congiunto pertanto lo sforzo di liberazione e di
promozione umana».
LA PREGHIERA
SOSTEGNO DELLA
MISSIONE
Ora, questa
missione d’amore così elevata non si sostiene da sola, ma trae forza e vigore
da una vita di preghiera. Si comprende perché madre Teresa abbia insistito
tanto sulla necessità di pregare. Basandosi sulla propria esperienza, insegnava
che l’inizio della preghiera è il silenzio in cui Dio ci parla e noi ascoltiamo;
noi parliamo a Dio ed egli ci ascolta. Non si può essere impegnati a dare amore
agli altri senza preghiera.
Madre Teresa è
modello e maestra di preghiera. La sua era la preghiera di un’anima mistica e,
nello stesso tempo, di un apostolo impegnato tutto il giorno al servizio dei
poveri. Iniziava la sua giornata vedendo Cristo nel pane consacrato, e per
tutto il giorno continuava a vederlo nei corpi straziati dei poveri. Pregava
per mezzo del suo lavoro compiendolo «con Gesù, per Gesù, in Gesù». Nella sua
vita c’era unità ed equilibrio tra cielo e terra. Non trovava opposizione tra
preghiera e lavoro. Diceva: «Il lavoro non deve necessariamente fermare la
preghiera, né la preghiera deve fermare il lavoro. Ricordo sempre alle sorelle
e ai fratelli che la nostra giornata è fatta di ventiquattro ore con Gesù. Se
facciamo il lavoro con Gesù, per Gesù e in Gesù, il lavoro diventa preghiera,
perché per 24 ore allora lo tocchiamo, lo amiamo e siamo in sua presenza. Ed è
questo che ci rende contemplativi in mezzo al mondo; perché così siamo in sua
presenza per 24 ore: nell’affamato, nel nudo, nel senzatetto,
nell’indesiderato, nel non amato e nel negletto». La preghiera era davvero il
suo cibo e sostegno, perché, come diceva: «Senza preghiera non riuscirei a
lavorare nemmeno per mezz’ora».
Commentando il
quarto voto della Missionarie della Carità, che definiva “voto d’amore”, quello
cioè di “offrire, di tutto cuore, un servizio gratuito ai più poveri dei
poveri”, diceva: «Per poter vivere una vita così, la Missionaria della Carità
deve avere una vita impregnata di Eucaristia. Nell’Eucaristia vediamo Cristo
sotto l’apparenza del pane, mentre nei poveri lo vediamo sotto l’aspetto
sofferente della povertà. L’Eucaristia e il povero sono il medesimo amore».
Quando pensiamo
a ciò che può significare vivere l’esperienza di Cristo nel mondo così complesso
e contraddittorio di oggi, credo che subito appaia ai nostri occhi l’immagine
di madre Teresa con la sua partecipazione a tutti i bisogni e dolori dell’uomo.
Nel suo operare non esisteva nessuna differenza tra fede e intelligenza, fede e
azione. In lei il credere si è formulato e giustificato all’interno della vita
quotidiana. Si può dire che madre Teresa ha tradotto per la Chiesa del nostro
tempo e reso visibile al mondo intero l’inno cristologico di Paolo ai
Filippesi: il Figlio di Dio che non ritiene per sé gelosamente la natura
divina, si spoglia fino a incarnarsi e a morire in croce.
Notiamo ancora
la sua libertà interiore proprio riguardo alla preghiera, al punto da saperle
dare un’impronta ecumenica impareggiabile. Lei, innamorata così profondamente
di Cristo, unico Salvatore, ha avuto il coraggio di dire: «Di qualsiasi
religione siamo, dobbiamo pregare insieme». E ha persino suggerito il contenuto
di questa preghiera: «Puoi dire: mio Signore ti amo. Mio Signore, ho fede in
te. Aiutaci ad amarci l’un l’altro come tu ci ami».
Per quanto
riguardo la preghiera, come irrinunciabile sostegno del missionario, nel
nostro istituto c’è una sovrabbondante ricchezza di insegnamento e proposta,
che proviene direttamente dal fondatore. Lui, uomo di Dio, modello e maestro di
preghiera, non ammetteva neppure l’ipotesi che i suoi missionari lavorassero
tutto il giorno sacrificando la preghiera. Diceva con chiarezza: «Un sacerdote
se non fa molta orazione, non è vero sacerdote. E un missionario? Che volete
che possa fare uno che non conosca nemmeno il mezzo che l’aiuti a tenersi
unito a Dio?». Il primo ricordo che lasciava ai partenti era proprio questo:
«Siate uomini di orazione (...). Altrimenti, se non sarete uomini di orazione,
sarete strumenti inetti della grazia di Dio... In tanto faremo del bene in
quanto saremo uniti con Nostro Signore». Ed ecco la conclusione: «Abbiamo
bisogno di pregare molto, anche e appunto perché siamo missionari».
LASCIA CHE GESÙ
TI USI SENZA
COLSULTARTI
È bene
approfondire meglio lo spirito propriamente missionario di madre Teresa. Cerco
di seguire il suo pensiero, partendo da un principio base, che spiega la sua
persona e tutta l’opera da lei compiuta, e cioè che il suo amore per Gesù è
diventato necessariamente missione.
Anzitutto notiamo
la creatività apostolica di madre Teresa, frutto non solo di intelligente
attenzione alla realtà, ma soprattutto del suo zelo ardente. L’acuta
percezione delle sofferenze del mondo, fino quasi all’ossessione, suscitava in
lei un’attività non solo intensa, ma anche creativa.
Era di una
creatività stupefacente nel ricercare soluzioni nuove e diverse delle quali
non tutti, almeno all’inizio, riuscivano a comprendere il significato
apostolico. Come è stato detto, sembrava un bulldozer di Cristo.
Intravediamo la
ragione di questa creatività di madre Teresa nelle sue parole: «Lo zelo per le
anime è l’effetto e la prova del vero amore di Dio: non possiamo che consumarci
nel desiderio di salvare le anime. Lo zelo è il test dell’amore e il test
dello zelo è la devozione alla sua causa, la vita e le energie spese nel lavoro
delle anime...». «Io penso che Dio ci chiede di darci senza riserva. Non vedo
la differenza tra noi che lavoriamo nelle baracche e quelle suore che lavorano
con i ricchi. Noi dobbiamo dare Cristo alla gente, alle anime, non alla loro
proprietà o alla loro povertà. Gesù vuole essere dato agli studenti universitari
e alla gente ricca, come ai moribondi, ai lebbrosi e alla gente più povera. I
missionari in quanto tali non sono prima di tutto interessati a scegliere il
posto di lavoro, ma sono interessati alle anime, a portare le anime a Dio e Dio
alle anime: questo è il vero missionario, come Cristo è stato mandato al mondo
per predicare la sua parola per camminare facendo del bene, senza specificare
se per i ricchi o per i poveri. Quindi l’essere missionari non sta in quello
che si fa o in quanto si fa, ma piuttosto in quanto amore, in quanta
condivisione con Cristo e in quanto spazio diamo a Cristo di dare se stesso
alla gente. Questo importa a lui». Non per nulla madre Teresa dava alle sue
missionarie questo consiglio: «Lascia che Gesù ti usi senza consultarti».
Proprio perché è
vissuta radicata così fortemente in Cristo madre Teresa si è sentita libera di
percorrere tutte le strade della carità, attenta alla voce interiore dello
Spirito. Ha così potuto permettere al suo cuore di inventare e realizzare
espressioni caritative di ogni genere. Solo così si spiega il suo “genio”
apostolico.
La missione di
madre Teresa era sicuramente sostenuta da una spiritualità forte e illuminata.
Il suo cammino spirituale dimostra quanto sia importante equilibrare la vita
contemplativa, di preghiera, con quella pratica, di azione amorevole. Appare
certamente come una spiritualità semplice, ma dietro alla semplicità di madre
Teresa ci sono anni di esperienza, che hanno maturato in lei una fede, una
forza di volontà, una capacità di sacrificio, una visione della realtà,
un’accettazione delle persone e una saggezza che ci sembrano davvero insuperabili.
Come sappiamo,
lei era solita ricorrere alle parole di Gesù: «Ero affamato, ero nudo, malato,
senza casa e tu hai fatto questo per me». Sulla accettazione incondizionata di
queste parole è fondata tutta la sua spiritualità, come pure la sua opera.
Madre Teresa esprimeva la propria spiritualità con una logica che incanta
ancora oggi. Per lei fede e amore vanno insieme e si completano a vicenda.
Cristo trasmette la sua luce e la sua vita a noi e, per mezzo nostro, al mondo
intero.
I sofferenti,
vedendoci, vengono attratti verso Cristo. Noi vediamo Cristo nei poveri e i
poveri vedono Cristo nelle nostre opere di carità. Il servizio reso agli uomini
è servizio reso a Dio.
Citando madre
Teresa, Giovanni Paolo Il, in un discorso pronunciato a Calcutta, affermava che
«questo tipo di servizio evangelico ai più poveri realizza in modo concreto il
programma messianico di Gesù di annunciare ai poveri un lieto messaggio».
LA SUA MISSIONE
“PORTARE DIO AI
POVERI”
Indubbiamente
madre Teresa ha avuto una sua particolare e specifica missione nel mondo
attuale. Credo che chi l’ha potuta incontrare o ascoltarne i discorsi, non ha
riportato di lei altro ricordo che quello del suo personale intensissimo
rapporto di amore con il Signore Gesù. Sembrava che non sapesse parlare d’altro
che dell’amore di Cristo per tutti e, in particolare per i più poveri.
La sua personale
missione, dunque, era di portare, attraverso l’amore di Gesù, Dio ai poveri
ovunque si trovassero. Bassifondi, strade, canali, cespugli, bidoni della
spazzatura, stazioni ferroviarie, fermate di autobus, luoghi pubblici erano i
posti privilegiati in cui madre Teresa trovava i suoi poveri e l’apice della
miseria umana. Era convinta che una grande miseria si unisce a una grande
sofferenza. Sapeva per esperienza che c’è molta sofferenza ovunque, ma c’è
anche una gran fame di Dio e di amore dell’uno per l’altro. Non c’è solo fame
di pane, ma c’è anche fame di amore, di bontà, di premure; e questa è la grande
miseria che porta tanta sofferenza alla gente.
Madre Teresa
sapeva interpretare dal suo punto di osservazione, cioè con la fede, questa
situazione e perciò affermava che, quando la sofferenza diventa partecipazione
alla passione e morte di Cristo, allora è un dono meraviglioso e un segno di
amore. In Cristo è dimostrato che l’amore è il regalo più grande, perché lui
stesso ha pagato il debito della nostra colpa con la sofferenza accettata per
amore. In Cristo vediamo che la sofferenza può diventare un mezzo per un più
grande amore e una più grande generosità. È in questo contesto che vediamo la
differenza tra un’opera puramente sociale e l’opera compiuta da madre Teresa:
«Senza sofferenza e partecipazione alla passione di Cristo - affermava - la
nostra opera sarebbe solo un’opera sociale molto buona e utile in se stessa; ma
non sarebbe l’opera redentrice di Gesù Cristo. Gesù Cristo ci redime partecipando
alla nostra vita, alla nostra sofferenza e agonia, alla nostra morte».
La visione
soprannaturale della realtà, propria di madre Teresa, l’ha portata a
evidenziare un aspetto, non sempre facile da comprendere e da accettare, ma
molto importante per lei, cioè: la sofferenza nei suoi diversi aspetti di dolore,
umiliazione, infermità e fallimento è addirittura un “bacio” di Gesù.
Considerava la gente più povera come una grande benedizione, poiché la loro
stessa vita è una preghiera e, senza saperlo, essi intercedono continuamente
per noi. In questa gente Cristo vive veramente la sua passione.
C’è ancora un
aspetto nella missione personale di madre Teresa ed è il “modo gioioso” di dare
se stessa. Lei ha cercato di trasmettere questo spirito di gioia alle sue
missionarie: «Il nostro spirito è la resa totale a Dio, la fiducia amorevole
negli altri e l’allegria con chiunque. Dobbiamo accettare la sofferenza con
gioia, dobbiamo vivere una vita di povertà con allegra fiducia e sempre con
gioia assistere Gesù nei più poveri tra i poveri. Dio ama chi dona con gioia.
Chi dona con un sorriso dona nel modo migliore».
La missione
personale di madre Teresa trova una brillante sintesi in quei suoi famosi
“biglietti da visita”, come lei li chiamava, sui quali era scritto il processo
ascendente di tutta la sua passione interiore: «Il frutto del silenzio è la preghiera
- Il frutto della preghiera è la fede - Il frutto della fede è l’amore - Il
frutto dell’amore è il servizio - Il frutto del servizio è la pace».
Per concludere
queste riflessioni sulla missione personale di madre Teresa, ascoltiamo il
racconto che lei stessa ha fatto durante il primo ritiro mondiale dei
sacerdoti:
«Un giorno ci
portarono un uomo con metà del corpo divorato dai vermi. Io andai a pulirlo;
mentre svolgevo questa mansione, l’uomo mi guardò e mi chiese: “Perché ti
disturbi a farmi una cosa simile? Tutti gli altri non fanno altro che gettarmi
in disparte”. “Ti amo”, risposi: “Ti amo perché Gesù condivide con te la
passione. Tu per me sei Gesù che viene sotto le sue spoglie più dolorose”.
Egli domandò: “Anche tu sei partecipe della sua passione?”. “No”, risposi,
“partecipo solo alla gioia di amare te e Gesù in te”. Questo gentiluomo indù mi
disse: “Sia gloria a Gesù Cristo”. Si era reso conto di essere amato».
Madre Teresa,
come grande missionaria, ci fa ritornare spontaneamente all’ispirazione
originale che ha avuto il nostro fondatore e al nucleo centrale del nostro
carisma missionario. L’Allamano ha avuto una profonda spiritualità
cristocentrica e ha saputo cogliere, come dato eminente in Gesù, il suo “essere
mandato dal Padre”. Per lui la vocazione missionaria è la più elevata proprio
perché imita da vicino l’identità di Gesù: «lo stato che è più imitazione di
Nostro Signore, che si avvicina di più a Lui, è il più perfetto». E in forza
di questa convinzione indicava a noi questa prospettiva: «Così pure voi, non
solo dovete avere lo spirito di Nostro Signore; ma dovete avere i pensieri, le
parole, le azione di N. Signore. Voi dovete essere missionari nella testa,
nella bocca e nel cuore. Pensateci».
Per il
fondatore, l’essere missionari significa essere dei “collaboratori” della
Redenzione che Gesù continua a operare. Notiamo: “collaboratori”, non operatori
in prima persona, e “collaboratori di Gesù”, coinvolti in un’opera che si
svolge attualmente. Il fondatore, parlando della “vocazione apostolica” del
missionario, si esprimeva così: «Il missionario è chiamato a cooperare con Dio
alla salvezza di quelle anime, che ancora non lo conoscono: a prendere parte
attiva a consacrare la sua persona alla grande opera della conversione del
mondo. È questa quindi un’opera essenzialmente divina» (cf. IMC, I, 650). E
concludeva con S. Paolo: «Siamo collaboratori di Dio» (1Cor 3,9).
Ci sarebbero
ancora tante riflessioni da fare. Non dubito che, durante l’anno 2006, sia in
comunità che personalmente, avremo modo di accostarci al pensiero di madre
Teresa. Confido che quanto vi ho proposto con semplicità diventi un
incoraggiamento e un aiuto per tutti.
Mi piace
concludere con un riferimento esplicito alla Madonna. Madre Teresa amava
teneramente Maria e si è sentita coinvolta nella sua missione di Madre del
Redentore. Ecco il suo pensiero: «Il momento in cui Cristo entrò nella sua vita
fu la sua prima comunione. Immediatamente lei corse a offrire Gesù agli altri.
Maria fu, in un certo senso, la prima Missionaria della Carità, la prima
messaggera dell’amore di Dio. Da allora, fino ad oggi, voi e io riceviamo
ancora lo stesso Gesù. Anche noi abbiamo, come Maria, il privilegio di portarlo
ad altri».
Così madre
Teresa pregava la Madonna: «Maria, madre di Gesù, dammi il tuo cuore, tanto
bello, tanto puro, tanto immacolato, tanto pieno d’amore e d’umiltà, cosicché
io possa ricevere Gesù nel Pane di Vita, amarlo come tu L’hai amato e servirlo
sotto le spoglie del più povero dei poveri».
E come non
terminare queste pagine senza attingere un’ultima parola dal cuore del nostro Padre?
Lui, che ha maturato la fondazione del nostro istituto ai piedi della
Consolata, tanto da considerarla la “vera fondatrice”, oggi ancora ci assicura
che siamo “figli prediletti” della Consolata e che il nome che ci gloriamo di
portare deve spingerci a divenire ciò che dobbiamo essere. Per il nostro
fondatore non ci sono alternative: «Nessuno si fa santo se non è devoto della
Madonna (...). Questo è il carattere distintivo di tutti i santi».
P. Aquiléo Fiorentini, imc
Padre Generale