GLI SCOLOPI E LA
RISTRUTTURAZIONE DELL’ISTITUTO
NON ESISTE ALTRA ALTERNATIVA
Tra i punti più urgenti e complessi
rilanciati dall’ultimo capitolo generale degli Scolopi, c’è anche quello della
ristrutturazione. Il direttivo generale sollecita una coraggiosa risposta a
questo problema da parte di tutto l’istituto. Senza la decisa volontà di tutti
di cambiare, anche la ristrutturazione servirebbe a poco o a nulla.
Tra i tanti
istituti religiosi alle prese con la ristrutturazione delle proprie unità, in
questo periodo, c’è anche quello degli Scolopi, fondati nel 1617 da san
Giuseppe Calasanzio che già una ventina d’anni prima, come ricorda il Pastor,
aveva aperto «la prima scuola pubblica popolare gratuita d’Europa». Come è noto
l’insegnamento, oggetto di uno specifico quarto voto, e soprattutto
l’educazione dei bambini poveri è un tratto fondamentale
Ma per poter
garantire oggi una maggior efficacia nel campo educativo si impone urgentemente
un delicato processo di ristrutturazione dell’istituto. Da tempo, per la
mancanza di risorse, soprattutto di quelle umane, si legge nel documento post
capitolare, è cessato uno sviluppo in linea verticale, dalla provincia madre
alla vice-provincia e così via. Oggi si impone inevitabilmente il passaggio a
«uno schema orizzontale di scambio e di condivisione di persone e di beni». Non
è possibile garantire la crescita della qualità carismatica e nello stesso tempo
tutta la flessibilità necessaria nel momento di prendere le dovute decisioni
senza una reale ristrutturazione delle varie unità dell’istituto.
L’obiettivo di
fondo è quello di ristrutturare per rivitalizzare. In una lettera
Anche tra gli
scolopi, come nella gran parte degli istituti di vita consacrata, «le vocazioni
scarseggiano, la media d’età dei religiosi è sempre più alta e gli anziani
rappresentano un’alta percentuale in tutto l’insieme». Sono queste le ragioni
di fondo per cui non è più possibile oggi eludere certe sfide.
È difficile
valutare l’incidenza profonda dei cambiamenti in corso. È certo incoraggiante
il fatto che, nonostante tutte queste difficoltà, in alcune parti dell’istituto
il carisma educativo di fondazione trovi modo di rinascere a beneficio di tanta
gioventù. Sono tutte esperienze da ammirare per la disponibilità e la dedizione
che le hanno fatte nascere.
LE SFIDE
DEL FUTURO
Però non si può
non sottovalutare anche il fenomeno opposto. «In alcune parti non riusciamo a
crescere, o per lo meno a frenare la diminuzione». Succede sempre più spesso
che pur essendo presenti in un luogo da tanto tempo, la presenza degli scolopi
sia di fatto, però, è sempre più debole. Spesso, per la verità, e soprattutto
in determinati posti, le vocazioni non mancano, ma, purtroppo, «non gettano
radici tra di noi. Forse non abbiamo saputo generare l’allegria e il coraggio,
come hanno fatto altri istituti religiosi».
Non mancano,
inoltre, nazioni in cui gli scolopi tentano di porre le proprie radici per la
prima volta. Nella maggioranza dei casi, però, bisogna mettere in conto una
nascita lenta e difficile. «La scarsità di persone ci limita enormemente».
Anche se il carisma del Calasanzio viene immediatamente percepito per la sua
concreta attualità, molte volte «ci sentiamo impotenti e non riusciamo a creare
strutture per il futuro». Pur cercando di coinvolgere tutto l’istituto in
ordine alla nascita di nuove fondazioni, per favorirne il consolidamento e lo sviluppo,
la risposta è molto diversificata. Si finisce in preda a tanti timori. Si
rimane bloccati su degli orizzonti molto limitati, quando addirittura non si
inventano altre “urgenze” pur di non impegnarsi nel nuovo che sta nascendo.
Sono proprio
queste le ragioni per cui il capitolo generale ha sollecitato il compito di
lanciare un piano di ristrutturazione dell’ordine che possa favorire processi
di unificazione, di consolidamento e di espansione, partendo dalla situazione
reale in cui si trovano le diverse unità. Ma non basta la buona volontà del
direttivo generale. Ci vuole la corresponsabilità di tutti. Senza chiedere
miracoli a nessuno, dovrebbe essere, però, possibile semplificare le strutture,
ridurle, razionalizzarle. Tutto questo però se non sarà preceduto e
accompagnato dalla volontà di cambiare e dalla disponibilità a rivitalizzarsi
personalmente e comunitariamente, «servirà a poco o a nulla».
Il capitolo
generale si è decisamente incamminato in questa direzione, sorretto da un’idea
centrale: mettersi tutti più decisamente al servizio della missione. E questo
sarà possibile solo se non ci si lascerà condizionare dal diffuso clima
culturale del mondo d’oggi, contrassegnato spesso dall’autocompiacimento, da
una indecisione paralizzante, da un pauroso ripiego su sé stessi nonché da un
diffuso conformismo fatalista. Ora, nonostante tutto, «sono questi i momenti
per continuare a collaborare nella costruzione del Regno. Forse noi religiosi
riflettiamo troppo su noi stessi, invece di riflettere e agire a servizio della
costruzione del Regno».
Anche se il
processo di ristrutturazione potrà durare degli anni, questo non deve incidere
negativamente sia sulla volontà di fare che sul ritmo della sua realizzazione.
Anche se il processo è complesso, anche se i percorsi da seguire non sono
ancora visibili in tutta la loro chiarezza, «ciò non ci esime dalla necessità
di essere lucidi, previdenti, audaci e fiduciosi nella divina provvidenza».
TUTTI COINVOLTI
NESSUNO ESCLUSO
C’è, anzitutto,
un cammino di riorganizzazione di tutte le strutture dell’istituto: province,
consigli, segretariati, comunità, opere ecc. Si tratta di raccordarle con il
progetto comune di vita e di missione, così com’è espresso nelle costituzioni e
nelle regole. Prima di essere un fatto normativo, quasi imposto dall’esterno,
va invece percepito come un progetto di vita proprio degli scolopi. Potrebbe
essere questo il momento di interrogarsi seriamente «sulla capacità di
costruire il Regno che hanno le attuali strutture e i modi in cui sono organizzate
e di studiare la presenza del vangelo che trasmettono». È un percorso che
devono intraprendere con convinzione tutte le unità dell’istituto, anche le più
fiorenti. Se vale per tutti l’assioma Ecclesia semper reformanda, vale a
maggior ragione anche per gli scolopi l’impegno di una continua conversione al
vangelo.
Si impone, poi,
un cammino di integrazione, o, meglio ancora, di collaborazione. Se certi
obiettivi previsti dal progetto apostolico dell’istituto non vengono
perseguiti, questo potrebbe anche dipendere da una sempre più diffusa debolezza
sia da parte delle persone che delle strutture e delle opere. «È giunto il
momento di guardare i fratelli e di proporre loro di lavorare insieme». Solo se
si è convinti della complementarietà di tutte le forze esistenti, è anche
possibile collaborare, studiare insieme i problemi partendo da progetti comuni.
Ci dev’essere,
inoltre, anche la disponibilità a un cammino di fusione, fino alla nascita, se
sarà necessario, di una nuova realtà organizzativa dell’istituto. Soprattutto
quelle unità territoriali e comunitarie che sono abituate da tempo a
collaborare e a unire i propri sforzi, ora dovranno con più convinzione ancora
tentare di dar vita ad un progetto comune. In altri casi sarà il calo numerico
di persone o l’indebolimento delle strutture a imporre questo coordinamento
delle forze. Proprio quando e dove il futuro si presenta più difficile, è tanto
più urgente «fare questo passo il più rapidamente possibile, quando ancora ci
sono risorse e forza per farlo».
Proprio per la
fragilità di tante realtà e di tante situazioni, non è più possibile, oggi,
camminare da soli, neanche quando ci si viene a trovare in situazioni
favorevoli al proprio sviluppo o alla propria crescita numerica. In questi casi
la collaborazione non potrà che favorire il processo di consolidamento, a
beneficio di tutte le realtà dell’istituto, fino al punto da restituire ad
altri, in caso di necessità, gli aiuti ricevuti in passato.
«La vita, scrive
p. Lecea, ci pone di fronte a nuove sfide, ci chiede di crescere, di
espanderci. Anche il nostro ordine ce lo chiede». Ma prima di accettare queste
nuove sfide è saggio misurare bene le proprie forze. Se non si è sicuri di
quanto si intende programmare si rischia di compromettere il senso della propria
missione nella Chiesa. Quando i primi scolopi si imbarcavano in nuove
fondazioni, lo facevano prestando la massima attenzione alle sagge parole del
fondatore: «Non basta guardare solo il bene che si può fare. Bisogna saperlo
fare come si deve».
Oggi non si può,
certo, sottovalutare il fatto che il processo della ristrutturazione delle
unità di un istituto religioso esige inevitabilmente delle rinunce. I
cambiamenti sono sempre difficili e non raramente comportano tagli dolorosi.
Quando, ad esempio, viene chiesto di abbandonare qualche opera molto amata, in
cui si è lavorato intensamente, possono facilmente sopravvenire sentimenti di
scoraggiamento e di smarrimento. Ma guai se prendessero il sopravvento gli
scettici e quanti non hanno assolutamente nessuna speranza di riuscita
dell’impresa. Solo se il processo di ristrutturazione «entrerà in pieno nel
cuore di tutti gli scolopi, allora tra alcuni anni potremo avere un ordine con
più vitalità». Non c’è altra strada percorribile se si vuole garantire nuove presenze
in paesi finora mai raggiunti dalla tradizione scolopica da una parte ed
assicurare una presenza nuova e diversa nei luoghi storici dell’ordine
dall’altra. Il guanto di sfida «è lanciato a tutti».
Si tratta, in
ultima istanza, di affrontare il futuro anche con un certo ottimismo. Sarebbe
segno di ben poca speranza sbattere in prima pagina solo gli aspetti difficili
e problematici di un processo come quella della ristrutturazione. Dio non ha
mai “minacciato” nessuno. Più semplicemente chiede a tutti di affrontare
serenamente anche le situazioni più problematiche
Sull’esempio di
altri istituti, anche gli scolopi potranno raccogliere i frutti positivi
prefissati solo se sapranno affrontare gli inevitabili rischi con apertura e
fiducia, riponendo in Dio tutta la fiducia necessaria. «Mettiamoci all’opera,
conclude p. Lecea, ma siamo anche perseveranti nella preghiera, perseveranti
fino alla fine». Non c’è alternativa più efficace se si vuole che «la
ristrutturazione intrapresa rivitalizzi le persone, le comunità e le opere
dell’ordine».
A. A.