GLI SCOLOPI E LA RISTRUTTURAZIONE DELL’ISTITUTO

NON ESISTE  ALTRA ALTERNATIVA

 

Tra i punti più urgenti e complessi rilanciati dall’ultimo capitolo generale degli Scolopi, c’è anche quello della ristrutturazione. Il direttivo generale sollecita una coraggiosa risposta a questo problema da parte di tutto l’istituto. Senza la decisa volontà di tutti di cambiare, anche la ristrutturazione servirebbe a poco o a nulla.

 

Tra i tanti istituti religiosi alle prese con la ristrutturazione delle proprie unità, in questo periodo, c’è anche quello degli Scolopi, fondati nel 1617 da san Giuseppe Calasanzio che già una ventina d’anni prima, come ricorda il Pastor, aveva aperto «la prima scuola pubblica popolare gratuita d’Europa». Come è noto l’insegnamento, oggetto di uno specifico quarto voto, e soprattutto l’educazione dei bambini poveri è un tratto fondamentale del carisma richiamato con insistenza anche nel documento finale del 45° capitolo generale dei 1421 scolopi attualmente presenti in quattro continenti e in 32 nazioni.

Ma per poter garantire oggi una maggior efficacia nel campo educativo si impone urgentemente un delicato processo di ristrutturazione dell’istituto. Da tempo, per la mancanza di risorse, soprattutto di quelle umane, si legge nel documento post capitolare, è cessato uno sviluppo in linea verticale, dalla provincia madre alla vice-provincia e così via. Oggi si impone inevitabilmente il passaggio a «uno schema orizzontale di scambio e di condivisione di persone e di beni». Non è possibile garantire la crescita della qualità carismatica e nello stesso tempo tutta la flessibilità necessaria nel momento di prendere le dovute decisioni senza una reale ristrutturazione delle varie unità dell’istituto.

L’obiettivo di fondo è quello di ristrutturare per rivitalizzare. In una lettera del giugno scorso, il superiore generale, p. Jesús Maria Lecea, insieme al suo consiglio, in vista di un incontro di tutti i superiori maggiori dell’istituto, ha incominciato a delineare un piano concreto di ristrutturazione. La decisione capitolare già entrata nelle prime fasi della sua attuazione, una decisione molto più innovativa, scrive p. Lecea, di quanto non sembri, «non è priva di rischi». Anche la sua applicazione «è piena di difficoltà e di incognite. Sappiamo bene dove siamo e verso dove andare, ma il cammino ci è, in certo modo, sconosciuto».

Anche tra gli scolopi, come nella gran parte degli istituti di vita consacrata, «le vocazioni scarseggiano, la media d’età dei religiosi è sempre più alta e gli anziani rappresentano un’alta percentuale in tutto l’insieme». Sono queste le ragioni di fondo per cui non è più possibile oggi eludere certe sfide.

È difficile valutare l’incidenza profonda dei cambiamenti in corso. È certo incoraggiante il fatto che, nonostante tutte queste difficoltà, in alcune parti dell’istituto il carisma educativo di fondazione trovi modo di rinascere a beneficio di tanta gioventù. Sono tutte esperienze da ammirare per la disponibilità e la dedizione che le hanno fatte nascere.

 

LE SFIDE

DEL FUTURO

 

Però non si può non sottovalutare anche il fenomeno opposto. «In alcune parti non riusciamo a crescere, o per lo meno a frenare la diminuzione». Succede sempre più spesso che pur essendo presenti in un luogo da tanto tempo, la presenza degli scolopi sia di fatto, però, è sempre più debole. Spesso, per la verità, e soprattutto in determinati posti, le vocazioni non mancano, ma, purtroppo, «non gettano radici tra di noi. Forse non abbiamo saputo generare l’allegria e il coraggio, come hanno fatto altri istituti religiosi».

Non mancano, inoltre, nazioni in cui gli scolopi tentano di porre le proprie radici per la prima volta. Nella maggioranza dei casi, però, bisogna mettere in conto una nascita lenta e difficile. «La scarsità di persone ci limita enormemente». Anche se il carisma del Calasanzio viene immediatamente percepito per la sua concreta attualità, molte volte «ci sentiamo impotenti e non riusciamo a creare strutture per il futuro». Pur cercando di coinvolgere tutto l’istituto in ordine alla nascita di nuove fondazioni, per favorirne il consolidamento e lo sviluppo, la risposta è molto diversificata. Si finisce in preda a tanti timori. Si rimane bloccati su degli orizzonti molto limitati, quando addirittura non si inventano altre “urgenze” pur di non impegnarsi nel nuovo che sta nascendo.

Sono proprio queste le ragioni per cui il capitolo generale ha sollecitato il compito di lanciare un piano di ristrutturazione dell’ordine che possa favorire processi di unificazione, di consolidamento e di espansione, partendo dalla situazione reale in cui si trovano le diverse unità. Ma non basta la buona volontà del direttivo generale. Ci vuole la corresponsabilità di tutti. Senza chiedere miracoli a nessuno, dovrebbe essere, però, possibile semplificare le strutture, ridurle, razionalizzarle. Tutto questo però se non sarà preceduto e accompagnato dalla volontà di cambiare e dalla disponibilità a rivitalizzarsi personalmente e comunitariamente, «servirà a poco o a nulla».

Il capitolo generale si è decisamente incamminato in questa direzione, sorretto da un’idea centrale: mettersi tutti più decisamente al servizio della missione. E questo sarà possibile solo se non ci si lascerà condizionare dal diffuso clima culturale del mondo d’oggi, contrassegnato spesso dall’autocompiacimento, da una indecisione paralizzante, da un pauroso ripiego su sé stessi nonché da un diffuso conformismo fatalista. Ora, nonostante tutto, «sono questi i momenti per continuare a collaborare nella costruzione del Regno. Forse noi religiosi riflettiamo troppo su noi stessi, invece di riflettere e agire a servizio della costruzione del Regno».

Anche se il processo di ristrutturazione potrà durare degli anni, questo non deve incidere negativamente sia sulla volontà di fare che sul ritmo della sua realizzazione. Anche se il processo è complesso, anche se i percorsi da seguire non sono ancora visibili in tutta la loro chiarezza, «ciò non ci esime dalla necessità di essere lucidi, previdenti, audaci e fiduciosi nella divina provvidenza».

 

TUTTI COINVOLTI

NESSUNO ESCLUSO

 

C’è, anzitutto, un cammino di riorganizzazione di tutte le strutture dell’istituto: province, consigli, segretariati, comunità, opere ecc. Si tratta di raccordarle con il progetto comune di vita e di missione, così com’è espresso nelle costituzioni e nelle regole. Prima di essere un fatto normativo, quasi imposto dall’esterno, va invece percepito come un progetto di vita proprio degli scolopi. Potrebbe essere questo il momento di interrogarsi seriamente «sulla capacità di costruire il Regno che hanno le attuali strutture e i modi in cui sono organizzate e di studiare la presenza del vangelo che trasmettono». È un percorso che devono intraprendere con convinzione tutte le unità dell’istituto, anche le più fiorenti. Se vale per tutti l’assioma Ecclesia semper reformanda, vale a maggior ragione anche per gli scolopi l’impegno di una continua conversione al vangelo.

Si impone, poi, un cammino di integrazione, o, meglio ancora, di collaborazione. Se certi obiettivi previsti dal progetto apostolico dell’istituto non vengono perseguiti, questo potrebbe anche dipendere da una sempre più diffusa debolezza sia da parte delle persone che delle strutture e delle opere. «È giunto il momento di guardare i fratelli e di proporre loro di lavorare insieme». Solo se si è convinti della complementarietà di tutte le forze esistenti, è anche possibile collaborare, studiare insieme i problemi partendo da progetti comuni.

Ci dev’essere, inoltre, anche la disponibilità a un cammino di fusione, fino alla nascita, se sarà necessario, di una nuova realtà organizzativa dell’istituto. Soprattutto quelle unità territoriali e comunitarie che sono abituate da tempo a collaborare e a unire i propri sforzi, ora dovranno con più convinzione ancora tentare di dar vita ad un progetto comune. In altri casi sarà il calo numerico di persone o l’indebolimento delle strutture a imporre questo coordinamento delle forze. Proprio quando e dove il futuro si presenta più difficile, è tanto più urgente «fare questo passo il più rapidamente possibile, quando ancora ci sono risorse e forza per farlo».

Proprio per la fragilità di tante realtà e di tante situazioni, non è più possibile, oggi, camminare da soli, neanche quando ci si viene a trovare in situazioni favorevoli al proprio sviluppo o alla propria crescita numerica. In questi casi la collaborazione non potrà che favorire il processo di consolidamento, a beneficio di tutte le realtà dell’istituto, fino al punto da restituire ad altri, in caso di necessità, gli aiuti ricevuti in passato.

«La vita, scrive p. Lecea, ci pone di fronte a nuove sfide, ci chiede di crescere, di espanderci. Anche il nostro ordine ce lo chiede». Ma prima di accettare queste nuove sfide è saggio misurare bene le proprie forze. Se non si è sicuri di quanto si intende programmare si rischia di compromettere il senso della propria missione nella Chiesa. Quando i primi scolopi si imbarcavano in nuove fondazioni, lo facevano prestando la massima attenzione alle sagge parole del fondatore: «Non basta guardare solo il bene che si può fare. Bisogna saperlo fare come si deve».

Oggi non si può, certo, sottovalutare il fatto che il processo della ristrutturazione delle unità di un istituto religioso esige inevitabilmente delle rinunce. I cambiamenti sono sempre difficili e non raramente comportano tagli dolorosi. Quando, ad esempio, viene chiesto di abbandonare qualche opera molto amata, in cui si è lavorato intensamente, possono facilmente sopravvenire sentimenti di scoraggiamento e di smarrimento. Ma guai se prendessero il sopravvento gli scettici e quanti non hanno assolutamente nessuna speranza di riuscita dell’impresa. Solo se il processo di ristrutturazione «entrerà in pieno nel cuore di tutti gli scolopi, allora tra alcuni anni potremo avere un ordine con più vitalità». Non c’è altra strada percorribile se si vuole garantire nuove presenze in paesi finora mai raggiunti dalla tradizione scolopica da una parte ed assicurare una presenza nuova e diversa nei luoghi storici dell’ordine dall’altra. Il guanto di sfida «è lanciato a tutti».

Si tratta, in ultima istanza, di affrontare il futuro anche con un certo ottimismo. Sarebbe segno di ben poca speranza sbattere in prima pagina solo gli aspetti difficili e problematici di un processo come quella della ristrutturazione. Dio non ha mai “minacciato” nessuno. Più semplicemente chiede a tutti di affrontare serenamente anche le situazioni più problematiche del proprio tempo, compresa, appunto, quella della ristrutturazione o, come dir si voglia, della riorganizzazione, della razionalizzazione delle risorse ecc.

 

Sull’esempio di altri istituti, anche gli scolopi potranno raccogliere i frutti positivi prefissati solo se sapranno affrontare gli inevitabili rischi con apertura e fiducia, riponendo in Dio tutta la fiducia necessaria. «Mettiamoci all’opera, conclude p. Lecea, ma siamo anche perseveranti nella preghiera, perseveranti fino alla fine». Non c’è alternativa più efficace se si vuole che «la ristrutturazione intrapresa rivitalizzi le persone, le comunità e le opere dell’ordine».

 

A. A.