DOPO LA VITTORIA DI HAMAS IN TERRA SANTA

ORA BISOGNA COSTRUIRE PONTI

 

Schiacciati tra il fanatismo islamico e le scelte del governo israeliano, i cristiani nei luoghi di Gesù sono sempre di meno. Ma continuano a credere nel dialogo con tutti. Lo conferma il Custode di Terra Santa in occasione del rilancio di una rivista che vuol essere finestra sulla terra delle molte fedi.

 

«Israele non ci vuole. Gli Stati Uniti non ci vogliono. Tu chi vuoi?»: è lo slogan di uno striscione del partito Hamas1 proprio all’entrata di Ramallah. I palestinesi hanno scelto al di là di ogni previsione e analisi; pochi immaginavano che avrebbero sconfitto Al-Fatah: 76 seggi su 132. Non sarà un governo facile, non solo per le minacce di Stati Uniti e Europa a non trattare con Hamas, ma anche per gli stretti legami con i Fratelli musulmani egiziani, con la Siria (dove si trova Meshall, il numero uno del gruppo) e di conseguenza con l’Iran. Per i nuovi eletti ci saranno anche problemi pratici: buona parte di loro sono in carcere, per altri sarà impossibile passare i posti di blocco per raggiungere il parlamento, visto che i membri di Hamas figurano sulle liste dei ricercati di Israele.

I cristiani palestinesi sono preoccupati di fronte a questo evidente voto di protesta, ma non si sentono in immediato pericolo, anche se l’idea di uno stato islamico non fa certo piacere a nessuno. Ce lo conferma il Custode dei Luoghi santi, il quarantenne francescano bergamasco p. Pierbattista Pizzaballa, che abbiamo incontrato a Roma, alla presentazione della nuova veste da magazine internazionale della rivista Terrasanta fondata nel 1921, strumento voluto (insieme a un portale internet) per informare e costruire ponti di pace. Una finestra per comunicare con più correttezza la bellezza di questa terra. «La Terra Santa, afferma il padre, non è soltanto conflitto israelo-palestinese, è anche storia di tradizioni, dove le fedi si incontrano con un loro patrimonio meraviglioso, dove tanta gente lavora per la pace. Noi vogliamo far conoscere un volto più positivo di Terra Santa, senza nascondere gli aspetti problematici. Per usare una espressione del cardinal Martini vogliamo intercedere, nel senso di “camminare in mezzo” facendosi contaminare dalle realtà».

 

IL RISCHIO

DI ISLAMIZZAZIONE

 

Poco prima delle elezioni aveva dichiarato a Vita, in merito a una possibile vittoria del partito fondamentalista: «Hamas riscuote sicuramente consensi, la domanda è quanti... Le opinioni al riguardo sono diverse: c’è chi sostiene che non si può discutere con chi ha un braccio armato e chi, invece, crede sia meglio portarli dentro l’agone politico in modo che vengano in qualche modo “riciclati”. Nel tempo, se da ambo le parti prevarrà la saggezza, “riciclare” questo movimento politico è la cosa più saggia». E ancora, su un possibile rischio di islamizzazione della società: «Hamas è un movimento di matrice islamica: è movimento politico, è presente sul territorio con una rete di scuole e dispensari, ma ha anche un braccio armato. I musulmani hanno diritto di vivere da musulmani, è chiaro, ma se penso a coloro che sono di fede cristiana e la cui vita può diventare difficile in un contesto in cui la società è pesantemente caratterizzata da aspetti islamici, mi preoccupo. Penso soprattutto a città di chiara matrice cristiana, come Betlemme» (in questa città i cristiani sono ormai meno del 12%).

Certo, dalla firma del trattato di Oslo2 a oggi la situazione non ha fatto che peggiorare. L’occupazione israeliana si è fatta sempre più opprimente: le colonie sono notevolmente aumentate e con esse la confisca illegale dei terreni palestinesi. Le restrizioni di movimento hanno diviso intere famiglie e il muro di separazione sta causando una crisi economica senza precedenti. Oggi il mercato non esiste più e la disoccupazione ha superato il 60%. Fatah è attraversata da una crisi generazionale ed è corrosa dalla corruzione; è lontana dai bisogni della gente, a cui puntualmente risponde invece Hamas, con demagogia ma anche con concreti aiuti economici. E non dimentichiamo che il 28 marzo si voterà in Israele.

A più riprese p. Pizzaballa si mostra fiducioso che Hamas comunque dovrà venire a una negoziazione con Israele (per esempio, acqua, luce e corrente dipendono da Israele). Senza dimenticare che, in questo nuovo scenario, ogni attentato ora non è solo atto terroristico di un singolo, ma atto di guerra di uno stato. La reazione sbagliata della comunità internazionale sarebbe quella di chiudere le relazioni, di interrompere i contatti. Invece bisogna attendere che emergano le diverse anime del partito al governo. Su questa linea vanno le dichiarazioni all’agenzia Sir di p. Pierre Grech, segretario della Conferenza dei vescovi latini nelle regioni arabe (Celra): «Da un punto di vista politico non nutriamo particolari preoccupazioni. Riteniamo anzi che possa essere una chance, un’opportunità. Solo un governo forte, infatti, eletto democraticamente può fare passi sicuri verso la pace. In Israele quello che ha fatto Sharon un altro non lo avrebbe potuto fare. E come è accaduto per Fatah, anche Hamas potrebbe ora iniziare un processo di politicizzazione al suo interno, con la rinuncia alla lotta armata e il riconoscimento di Israele».

 

Padre Pizzaballa, come cattolici di Terrasanta cosa pensate di poter fare?

 

«In Terra Santa non si può stare a guardare. La Chiesa farà la sua parte per costruire ponti e non per erigere barriere. Come istituzione abbiamo l’obbligo di rapportarci con altre istituzioni, e l’interlocutore non lo scegliamo noi. La prima cosa da fare è attendere il programma dei nuovi esponenti politici».3

 

Quali preoccupazione, come pastore, per le comunità cristiane?

 

«Abbiamo parlato con tutti i parroci e le nostre realtà: Hamas suscita molte domande a un cristiano. Che ne sarà di noi? Cosa farà? Sicuramente è possibile che la situazione dei cristiani diventi più difficile. Non per le grandi istituzioni, forse per le relazioni alla base. Ma è ancora presto per trarre conclusioni». La presenza dei cristiani, in questi decenni è stabile, intorno al 2% della popolazione (60% dei quali in Israele e 40% in Cisgiordania e Gerusalemme). «Crescono le famiglie musulmane ed ebraiche, mentre i cristiani fanno pochi figli…. La situazione è molto più difficile in Cisgiordania e a Gerusalemme: qui siamo in calo costante, sia per la situazione economica (le istituzioni non danno i paracadute sociali) che politico-amministrativa. Da qui nasce il famoso esodo dei cristiani. In questi ultimi cinque anni abbiamo perduto tra i 2.500-3.000 individui su 80mila circa».

 

Oggi, in tutta la Terra Santa, ricorda il Custode, le comunità locali contano complessivamente 175mila fedeli circa, dei quali 80mila cattolici (29 parrocchie e 300 sacerdoti), a fronte di 6 milioni di ebrei e di 3mln di musulmani. Il laicato inizia a crescere, anche se è fermo alla sola pratica sacramentale; molto debole l’impegno nella lettura popolare della Scrittura. Pochi gli ebrei convertiti al cristianesimo; alto invece il numero delle persone secolarizzate arrivate dall’ex Unione Sovietica aperte all’annuncio del Vangelo. Circa 400 gli istituti religiosi.

 

Quale rete culturale e teologica siete riusciti a stendere nel dialogo con le altre religioni?

 

«Dialogo teologico con l’ebraismo o l’islam non se ne fa molto. In Terra Santa, come in altri luoghi, il dialogo non si fa sui principi. Deve esserci un dialogo sulla realtà concreta. Noi viviamo sotto lo stesso tetto dell’islam. Il dialogo è dunque direttamente sulla realtà sociale: droga, disoccupazione ecc. Si tratta di un dialogo curato dalla base. Un altro aspetto è quello culturale: qui si potrebbe fare molto, anche se tutto è ancora limitato. Oggi stiamo ripensando tutto ciò che stiamo facendo. Un aspetto del dialogo riguarda la scuola: nelle 13 scuole cristiane, dove ci sono tredicimila studenti, con cristiani e musulmani che studiano insieme. Stiamo rivedendo i programmi, perché si arrivi a uno studio “insieme” e non l’uno “accanto” all’altro.

I ragazzi sono stati educati a rispettarsi, ma non a conoscersi! Se vogliamo abbattere le barriere, dobbiamo facilitare la conoscenza reciproca. Abbiamo, inoltre, lo Studio biblico francescano, che è da anni impegnato nel dialogo culturale col mondo ebraico. Nel futuro desideriamo poi comunicare sempre meglio con la nostra gente. Un segnale molto positivo e interessante è arrivato, col nuovo patriarca Teofilos, dalla chiesa ortodossa, la quale per la prima volta ha partecipato alla Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani».

 

Quali indicazioni può dare per i cristiani europei?

 

«I pellegrinaggi devono continuare. Dal 2005 sono arrivati 100mila pellegrini. C’è bisogno di aumentare iniziative per sostenere il commercio nei luoghi più significativi. L’unico punto difficile per i pellegrinaggi riguarda l’accesso a Betlemme, ma devo dire che oggi i pellegrini almeno non sono più costretti a scendere dagli autobus». Gli fa eco mons. P. Fleetwood, membro del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), che di recente ha partecipato al viaggio delle conferenze episcopali europee e americane per il sostegno della Chiesa in quei luoghi: «Tornando ognuno nel suo paese dobbiamo incoraggiare i nostri fratelli e sorelle a informarsi, a sapere di più su come vivono i cristiani di lì.

Dobbiamo incoraggiare le persone a recarsi in pellegrinaggio nei luoghi dove ha vissuto Cristo: nessun pellegrino è mai stato toccato dagli scontri».

 

A cura di Mario Chiaro

 

1 Hamas (zelo), acronimo di Harakat al Muqawamah al Islamiyyah (Movimento di resistenza islamico), è organizzazione islamica palestinese di carattere paramilitare e politico.

2 Il trattato di Oslo costituisce la base sulla quale si fondano gli attuali accordi di pace fra Israele e la Palestina. Ufficialmente denominato “Dichiarazione dei Principi”, il documento che riassume gli accordi venne negoziato segretamente fra la delegazione israeliana e quella palestinese nel 1993 a Oslo, in Norvegia, sotto l’egida del primo ministro norvegese Johan Jorgen Holst.

La firma a questo trattato venne apposta a Washington, nel corso di una cerimonia svoltasi alla presenza del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton, il 13 settembre 1993.

3 Anche la Chiesa vive importanti novità: il nuovo nunzio apostolico in Israele e Cipro e delegato apostolico in Gerusalemme e Palestina è il sessantottenne mons. Antonio Franco, finora nunzio nelle Filippine. Sostituisce nell’incarico mons. Pietro Sambi, nominato nunzio negli Stati Uniti.