MA ABBIAMO DAVVERO SETE?

 

Cara redazione di Testimoni,    

prima di parlare di vino nuovo e di otri nuovi, la domanda che mi sorge nel cuore è un’altra: abbiamo sete o no?… Incredibile pensare che Gesù due volte ha chiesto da bere… alla samaritana “Dammi da bere” (Gv 4,7) e sulla croce “Ho sete” (Gv 19,28)… Lui ha avuto sete e ha avuto il coraggio, lui “Acqua viva”, di chiedere da bere…e noi?

L’acqua viva, dove c’è, sgorga sia dal cammino simile a quello della samaritana: desiderio d’acqua, sguardo sincero sulla propria storia – i 5 mariti e l’attuale amante – slancio missionario che dimentica la brocca… sia dalla croce: l’acqua come qualcosa di necessario, un corpo straziato, un corpo morente, un corpo sofferente che sa di esserlo… e chiede… e urla al Padre.

Non so se siamo coscienti, se siamo sicuri di vivere oggi questa esperienza di sete; vederla, dircela non è negare né le grandi cose del passato, né i germogli di oggi… è accettare di avere sete e di dover essere dissetati da Dio stesso e da chi ha la possibilità di darci oggi acqua, e di condividere con altri la nostra sete…

Le nostre comunità sono assetate di umanità fresca, di condivisione della Parola, di missionarietà esigente: necessitano relazioni basate sul “mi stai a cuore” e non sul “dobbiamo stare insieme”; il nostro ministero non può radicarsi nella routine professionalizzata e asettica, ma in progetti che lascino spazio alla fragilità e alla Provvidenza, che chiedano molto e che scaturiscano da ascolto contemplativo delle grida di oggi e che la visione chiara, che hanno avuto fondatori e fondatrici, non sia assuefatta dalle consuetudini, ma rimodellata nell’oggi; necessitiamo non di recitare i salmi, ma di contemplare insieme e condividere le “misericordie del Signore” nelle nostre vite, abbiamo bisogno di eucaristie apparecchiate per saziare la fame interiore comune e per ringraziare il Dio della storia e non per il precetto canonico; abbiamo bisogno che la parola “poveri” non ci spaventi e non ci faccia arrampicare sui vetri di elucubrati soliloqui giustificativi, ma ci faccia venire in mente e nel cuore volti, occhi, mani conosciuti, che hanno trovato spazio in noi, non solo come singoli, ma come comunità e che nelle nostre – a tutt’oggi ben difese – case, queste persone non siano ospiti, ma compagni e compagne, creatori e generatori di futuro. Abbiamo bisogno di non difenderci più dietro i nostri reverendi titoli, ma di rimetterci come mendicanti in fila, sapendo che tutto abbiamo ricevuto gratuitamente e tutto dobbiamo dare allo stesso modo, abbandonare l’Egitto da gestori per il deserto del popolo di Dio in cammino, tutti aiutandosi a vicenda.

Mi sembra che le nostre comunità siano più agenti di desertificazione che germogliatici di oasi; molti dei nostri collaboratori laici hanno più voglia di noi di vivere la missione, di cercare nuove soluzioni, di rischiare, quasi più di noi, per le nostre opere se queste profumano di carisma, di comunione, di profezia e non solo di efficienza e certificazione; vedo che molto spesso la nostra disillusione, come vento secco e arido, sembra abbattersi sui germogli che lo Spirito suscita in loro ed è un portento a disseccare tutto.

“Il desiderio è una bocca dalla sete infinita che ci costituisce come esseri umani; questa sete ci fa tendere e cercare la pienezza e la gioia nella comunione” (Dom B. Olivera ocso).

Noi desideriamo? Mancando di desiderio non siamo più né uomini, né donne, ma “manichini”, mezzi uomini o mezze donne… Cosa realmente desideriamo? Desideriamo qualcosa insieme o da soli? Trovo molti pochi confratelli con cui posso condividere i miei desideri e altrettanto pochi che condividono i propri… non c’è più desiderio o si ha troppo timore di raccontarsi e sognare?…

Scorre in noi il sangue della Passione? “Passione per Cristo, passione per l’umanità”, ma a volte mi chiedo dove sia questa passione… riusciamo ad appassionarci per qualcuno, per qualcosa, per Dio? Con chi e dove condividere questa passione che serpeggia a volte solitaria nelle nostre case?

Perché “Testimoni” non si inventa uno spazio (“gli spazi devono significare qualche cosa perché al loro interno si svolge un’opera di trasformazione”) per narrarci vicendevolmente, in modo collaborativo, la passione e il desiderio? Grazie.

fratel Enrico

frenico@yahoo.it

Si sente spesso ripetere che quando si parla troppo di una cosa è perché essa manca. Al congresso internazionale per la vita consacrata di Roma, del novembre 2004, si è parlato molto di pozzi da scavare, di acqua viva di cui dissetarci, ma forse prima bisognava porsi l’interrogativo che lei qui solleva, da non darsi per scontato: ma abbiamo davvero sete, sete di Dio, sete di spiritualità, sete di comunione, di fraternità…? Abbiamo davvero la passione per Cristo e per il suo Regno?

Una verifica, per saperlo, potrebbe essere questa: se una persona venisse a vivere  nelle nostre comunità per un certo periodo di tempo col desiderio di fare un’esperienza spirituale troverebbe veramente delle persone innamorate e assetate di Dio, appassionate per il suo Regno, o non forse religiosi stanchi e demotivati, ripiegati nell’individualismo e chiusi in una vita piccolo-borghese che spegne ogni entusiasmo e soffoca ogni slancio?

Certamente non è facile oggi tenere viva questa sete poiché anche noi, volere o no, siamo insidiati dalle seduzioni della cosiddetta cultura post-moderna che propone stili di vita in radicale contrasto con il Vangelo. Il rischio di lasciarsene conquistare è tutt’altro che ipotetico. Non è forse vero che anche noi a volte, anziché andare a dissetarci alla sorgente di “acqua viva” (cf. Gv 4,10) andiamo ad attingere in “cisterne screpolate che non tengono l’acqua”? (Ger 2,13).

Molto opportunamente, Benedetto XVI, ricevendo in udienza i religiosi, le religiose e i membri degli istituti secolari di Roma ha detto loro: «Sin dalle origini la vita consacrata si è caratterizzata per la sua sete di Dio: quaerere Deum. Vostro primo e supremo anelito sia, pertanto, testimoniare che Dio va ascoltato e amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, prima di ogni altra persona e cosa. Non abbiate paura di presentarvi, anche visibilmente, come persone consacrate, e cercate in ogni modo di manifestare la vostra appartenenza a Cristo, il tesoro nascosto per il quale avete lasciato tutto. Fate vostro il ben noto motto programmatico di san Benedetto: “Niente sia anteposto all’amore di Cristo”.

Come hanno scritto anche i religiosi/e latino-americani in un documento in vista della V assemblea generale dei vescovi del continente che si terrà nel maggio del 2007, è necessario tornare all’essenziale, al “solo Dio basta”, a un recupero di fedeltà e di creatività, alle radici evangeliche e carismatiche della vita religiosa, a una vita religiosa “mistico-profetica”, animata dalla passione per Cristo e per il mondo.

Sta qui il “segreto” per rigenerare le energie e tornare ad avere quella sete capace di infondere nuovo slancio alla vita consacrata.