LETTERA
DI J. CORRIVEAU AI CAPPUCCINI
LA
SCELTA DELLE PERIFERIE
Partendo dal VII consiglio plenario
dell’ordine, fra J. Corriveau invita i cappuccini ad assestarsi sulle
“periferie” del mondo e della Chiesa. I presbiteri, o meglio i “frati del popolo”, dovranno
essere più a servizio della chiesa locale che uomini delle istituzioni, e ogni
fraternità dovrà essere “cellula di dialogo”.
La
“gente alla periferia”, tutta quella gente, cioè, che vive ai margini sia della
società che della Chiesa, è stata al centro dell’interesse dei cappuccini nel
loro settimo consiglio plenario, svoltosi ad Assisi ancora nel marzo del 2004.
Nella sua ultima lettera circolare, Seguire la sua stella, emanata il giorno
dopo l’Epifania di quest’anno, il ministro generale dell’ordine, John
Corriveau, ha ripreso alcuni temi di questo consiglio, invitando i suoi
religiosi a «realizzare progressivamente, a piccoli passi, uno spostamento
significativo verso la periferia… dove – scrive – desideriamo piantare le
nostre tende tra i minori di oggi come fecero al loro tempo Gesù, san Francesco
e i primi cappuccini», anche a costo di «una riduzione dei nostri impegni
istituzionali nella Chiesa».
Sono le
necessità stesse della Chiesa a imporre oggi ai cappuccini un riesame
coraggioso dei loro impegni istituzionali, compresi gli “incarichi
ecclesiastici elevati”, assunti, fin dal passato, sempre e solo in spirito di
obbedienza al papa. Attraverso la riduzione di tutti questi impegni si vorrebbe
poter esprimere più liberamente il proprio carisma per la Chiesa e nella Chiesa,
dal momento, osserva Corriveau, che «il nostro scopo è quello di edificare la
Chiesa, non di distruggerla!».
RE-INTERPRETARE
IL
CARISMA
Pur
rimanendo sinceramente disponibili al servizio della chiesa locale e
universale, in piena concordia con i propri pastori, i cappuccini puntano però
più decisamente su incarichi pastorali di frontiera, sui ministeri meno
ricercati nella Chiesa e nelle periferie, là dove meglio è possibile
manifestare la compassione e la prossimità, sia che si tratti di parrocchie di
periferia, di cappellanie in ospedali, di assistenza ai malati e sia al mondo delle emarginazioni tra le vecchie e
nuove povertà.
Nella
scelta di queste attività si dovranno includere anche tutti quei ministeri che
non richiedono l’ordinazione sacerdotale. Non basta neanche semplicemente dare
più spazio al carisma dei fratelli laici. Si cercherà, invece, «di dare una più
larga espressione ai ministeri non sacramentali dei nostri frati sacerdoti». In
ogni caso, dovrà essere sempre privilegiata l’indole fraterna del carisma
francescano. La fraternità, infatti, il “vangelo vivente” dei cappuccini, è la
dimensione essenziale del loro andare verso coloro che sono ai margini, alle
periferie, sia nella Chiesa che nella società.
Consapevoli
del fatto che questa “re-interpretazione” del proprio carisma originario li
porterà a un inevitabile ridimensionamento dei propri rapporti con la chiesa
locale, i cappuccini tengono a ribadire che il loro impegno ad andare verso la
periferia non è affatto in opposizione alla chiesa locale. Anzi, vuol essere
uno sforzo per servire la Chiesa «ancor più fedelmente». Certo, nel momento in
cui intendono “ri-costituire” il proprio ordine e “ri-evangelizzare” la chiesa
locale nelle periferie, si propongono di farlo con una sensibilità tutta
francescana.
L’ultimo
consiglio plenario, in proposito, si era premurato di individuare alcuni
suggerimenti operativi molto concreti, come: evitare ogni segno di potere e di
status sociale nel proprio modo di vivere, di evangelizzare e di aiutare, lavorare
preferibilmente con metodi e mezzi del luogo in cui ci si trova, promuovere i
vari progetti sempre a nome della comunità cappuccina e non a titolo puramente
personale, lasciarsi ispirare, anche in tutte le donazioni ricevute per le
missioni, dai criteri dell’economia fraterna elaborati già nel precedente
consiglio plenario, favorire quelle chiese locali che non si aspettano una
grande struttura pastorale o sociale, ma piuttosto la testimonianza
francescana.
La sfida
a cui i cappuccini intendono rispondere è quella di ricercare e accogliere nel
loro impegno pastorale proprio «coloro che la chiesa istituzionale non è più in
grado di raggiungere». Ma proprio nel momento in cui il consiglio plenario
intende coraggiosamente “ri-pensare” gli impegni dell’ordine nella Chiesa e
nella società, osserva il ministro generale, è poi di fatto «molto debole»
quando scende sul piano delle specificazioni operative. Per cui, il problema di
“come” raggiungere concretamente coloro che sono alla periferia del mondo, è ancora
in gran parte da chiarire.
L’
“INIZIATIVA
DAMIETTA”
Alcune
risposte, comunque, sono già in atto in alcune province dell’ordine. I
superiori maggiori dell’India, ad esempio, hanno elaborato una propria triplice
strategia pastorale.
Ogni
provincia si è impegnata a scegliere una regione del proprio continente dove
l’ordine non esiste ancora e dove la presenza della Chiesa è debole. Nello
stesso tempo amplierà i propri orizzonti missionari in Asia o in Africa.
Infine, aiuterà le antiche province dell’Europa e dell’America, sempre più in
difficoltà a causa dell’età e della diminuzione delle vocazioni. «Se queste
province, e in particolare i giovani frati di queste province, osserva il
ministro generale, assumeranno tali impegni con coraggio ed entusiasmo, ciò
rappresenterà un considerevole spostamento verso la periferia».
Ispirandosi
all’incontro di san Francesco con il sultano, i frati del Sudafrica, dal canto
loro, sostenuti da tutta la grande “famiglia francescana”, hanno elaborato un
proprio progetto pastorale, noto come la Iniziativa Damietta attraverso cui
costruire “cellule di dialogo” tra cristiani e musulmani. Più che un dialogo
teologico, preme loro un dialogo spirituale ed esistenziale, accontentandosi
anche solo di riuscire a stabilire relazioni di amicizia e di reciproca stima
tra cristiani e musulmani che vivono nella stessa zona.
La
prospettiva di questa iniziativa, comunque, è molto ambiziosa, dal momento che
si vorrebbe creare una cellula di dialogo fra cristiani e musulmani vicino ad
ogni fraternità francescana in Africa. Non solo, osserva padre Corriveau, ma
potrebbe estendersi anche al di fuori dell’Africa, non esclusa l’Europa e
l’America, dal momento che i cappuccini intendono «vivere tra i poveri senza
distinzione di religione, dialogare con le culture, religioni e confessioni,
inculturare il Vangelo».
Nel
prossimo mese di marzo la commissione Giustizia, pace ed ecologia dell’ordine
si riunirà a Porto Alegre, in Brasile, per consolidare un atteggiamento che ha
già ispirato generazioni intere di cappuccini, vale a dire l’identificazione
con i poveri. Non basta proclamare verbalmente la parola di Dio. È necessario
anche il coinvolgimento nella società per la sua trasformazione. Dal momento,
scrive Corriveau, che «la solidarietà che creiamo è più importante del denaro
che diamo!», i cappuccini intendono aprire ovunque prospettive di “economia
fraterna”.
Come
frati minori, essendo poveri e avendo scelto i poveri, si era detto nel
consiglio plenario, ci si dovrebbe coinvolgere più attivamente nello sviluppo
sociale e spirituale dei poveri e degli emarginati. L’ordine non ha le risorse
per eliminare la fame nel mondo o per assistere i milioni di persone affette
dal virus HIV/AIDS. Tuttavia, si chiede il ministro generale, proprio
sull’esempio della Iniziativa Damietta, non potrebbe ogni provincia «cercare di
avere almeno una fraternità, nella quale i frati servano, con le proprie mani,
coloro che hanno fame o coloro che soffrono di HIV/AIDS?». Sarebbe sicuramente
un modo efficace per solidarizzare concretamente con i “minori” della società
«la cui miseria degrada la loro umanità fino al punto da compromettere il senso
morale».
I
cappuccini sanno per esperienza che un singolo gesto non basta per «trasformare
evangelicamente le periferie della società». Perché, allora, non ipotizzare la
cosiddetta politica dei “piccoli passi”?
«Se più di 11.000 frati, presenti in 103 nazioni, cominciano, ognuno, a
riflettere e a progettare questi piccoli passi, tutti insieme possono operare
uno spostamento significativo verso la periferia». Il primo di questi passi,
ancora una volta, non può non essere la fraternità, la cui costruzione viene
identificata dall’ultimo consiglio plenario, con la costruzione stessa del
Regno.
«La
povertà, la minorità e l’itineranza… sono mezzi che tendono verso il nostro
fine, cioè la costruzione del regno di Dio, o, detto in un linguaggio
francescano, la costruzione di una fratellanza ovunque siamo, e sempre».
Soprattutto nella fraternità «la nostra identità e la nostra missione divengono
una cosa sola».
Questo
può spiegare anche la particolare concezione del sacerdozio nell’ordine, così
almeno come è stata espressa dal consiglio plenario. Con molta chiarezza è
detto, infatti, che «il francescano sacerdote vive il proprio ministero onorando
il primato di appartenenza alla fraternità». Il passo biblico di riferimento
non può che essere la Lettera agli Ebrei (5, 1), là dove non si parla
direttamente del sacerdozio ministeriale, ma piuttosto del sacerdozio di Gesù
Cristo e del sacerdozio della Chiesa. Ma la Chiesa universale «non esiste in
astratto». Conseguentemente «il sacerdozio viene ricevuto da noi attraverso la
chiesa locale», da cui assume anche le caratteristiche dell’esercizio del
proprio ministero. Del resto, in occasione della professione religiosa, i voti
vengono sempre accolti sia in nome della
Chiesa che della fraternità francescana. Tramite il riconoscimento della
professione nell’ordine cappuccino, «la Chiesa dà specificità al nostro vivere
il mistero della Chiesa», cioè «dà suggello a una espressione
francescano-cappuccina del sacerdozio di Gesù Cristo».
LA
POLITICA
DEI
“PICCOLI PASSI”
Il modo
specifico di incarnare la Chiesa per un cappuccino è, quindi, la “vita fraterna
evangelica”. I francescani, chiamati ad essere “frati del popolo”, creano
Chiesa introducendo le persone nell’esperienza della fraternità». Essere
fratello, allora, non può non essere «la caratteristica principale del
francescano e del sacerdote francescano».
Dovrebbe essere così chiarito il fatto che «il francescano sacerdote
vive il proprio ministero onorando il primato dell’appartenenza alla
fraternità».
Ma è
anche possibile andare oltre e affermare che la vita fraterna evangelica, per
un cappuccino, è la sua specifica espressione di essere Chiesa. Infatti, «se il
frate sacerdote non è inserito nella comunità ecclesiale che è la fraternità
locale, può essere un adeguato ministro del suo popolo?». Il passo degli Atti
degli apostoli (18, 16) dove un uomo di cultura e versato nella filosofia
greca, Apollo, viene poi di fatto istruito nella fede da due semplici
cristiani, Priscilla e Aquila, è quanto mai eloquente. Non basta essere molto
versati in teologia o in filosofia. Serve soprattutto un contatto vivo con la
Chiesa. «Non abbiamo anche noi degli “Apollo” fra di noi, frati molto versati
in teologia, filosofia, scienza, con una meravigliosa eloquenza? Ma possono
essi davvero comunicare la fede, se essi non sono in vitale contatto con la
viva esperienza della Chiesa nelle loro fraternità locali?».
La
“lavanda dei piedi” è sempre stata l’icona evangelica preferita da Francesco
per descrivere concretamente le modalità dei rapporti reciproci tra i suoi
frati. Come sappiamo, egli ha voluto sentire per l’ultima volta questo passo
quando giaceva nudo sulla “madre terra” e si stava preparando a incontrare
“sorella morte”. Ma per esprimere l’amore, il Vangelo di Giovanni, insieme alla
lavanda dei piedi pone anche la croce. Con la lavanda dei piedi, infatti,
Giovanni «indica alla Chiesa come offrire al mondo la forza salvatrice della
croce». Ora, «se la Chiesa non lava i piedi del mondo, il mondo non capirà mai
la croce di Gesù Cristo». La croce, infatti, si comprende attraverso il
servizio. Ma se questo è vero per la Chiesa in genere, quanto più lo deve
essere per l’ordine francescano. «Noi siamo chiamati a essere l’umile volto
della Chiesa; e i frati sacerdoti, in modo particolare, hanno un ruolo speciale
nel rivelare questo aspetto».
Un
esempio significativo di questo modo di intendere la vocazione cappuccina è
quanto molto significativamente ebbe a dichiarare l’arcivescovo di Boston, il
cappuccino Sean O’Malley, insediandosi nella sua diocesi, parlando dei
“sacerdoti-frati” e dei “sacerdoti-servitori” come delle due “dimensioni
essenziali” del ministero sacerdotale francescano. «Essere frate francescano,
ha detto, è ancora la grande gioia della mia vita… Come vostro arcivescovo,
sono vostro pastore, come frate, sono vostro fratello; e sono venuto per
servirvi, per lavare i vostri piedi come dice Gesù, e per ripetere il grande
comandamento: “Amatevi gli uni gli altri come Cristo vi ama”».
A. A.