FORMAZIONE DEI FORMATORI

IL LUOGO DRAMMATICO DELLA CRESCITA

 

Il cammino formativo deve passare per una fase drammatica nella quale il senso dell’esistere possa cambiare radicalmente. Al formatore coinvolto nell’esperienza del formando se ne rinnova ogni volta la grazia

per la propria crescita personale.

 

«Chi forma i formatori?» o «Come formare i formatori?» erano e sono tuttora, fra i tanti problemi sempre aperti nell’ambito della vita consacrata, domande ricorrenti. I formatori si formano formando, ha risposto con altre e migliori parole p. Amedeo Cencini: con una riflessione offerta all’ordine dei Frati Minori in un convegno internazionale di maestri di formazione svoltosi a La Verna nel novembre del 2005.

I formatori affinano la propria formazione assieme ai formandi – ha chiarito Cencini ispirandosi alla teologia di Hans Urs von Balthasar –  entrando con essi e con tutto il proprio essere nell’autentico dramma del mistero pasquale, vivendone e rivivendone ogni volta le profonde valenze salvifiche in ciascun atto, nel passaggio dal sofferto svelamento della verità di Dio e dell’uomo alla contemplazione e all’innamoramento definitivo della divina bellezza, passata per la croce e rifulgente nel Risorto. E nell’andare oltre, mediante un processo di appagante integrazione mai esaurita nel suo dinamismo.

 

PRIMO

LA DOCIBILITAS

 

Ma percorriamo con ordine il tracciato e la sostanza del cammino evocato da p. Cencini a partire da un principio formativo generale, fondato sulla capacità e volontà del formatore di non desistere dall’apprendere ad apprendere: è quella docibilitas, o facilità/libertà di imparare a imparare «da tutti e in ogni momento, dalla vita e per tutta la vita», che è contenuta nella stessa logica della formazione permanente; la quale si realizza «quando si compie attraverso il quotidiano impegno di vita, nella fatica di ogni giorno, a contatto con quelle persone che il singolo non ha scelto e dalle quali non è stato scelto», come accade in particolare nella vita religiosa.

Nessuno infatti può presumere di insegnare agli altri – commenta – se mentre insegna non ha imparato egli stesso ad apprendere. «Tanto più nel caso del formatore alla vita consacrata. La fase iniziale del cammino formativo forma esattamente a questa disponibilità intelligente e intraprendente, universale e permanente», ma a condizione «che il formatore sia lui per primo docibilis» ossia disposto abitualmente ad apprendere le lezioni della vita: «tanto da vivere il servizio della formazione come un privilegio per la sua personale formazione».

In concreto – aggiunge circa l’importanza di tale condizione – è data ai formatori come una grazia “in più”, quella di vivere il servizio loro affidato non solo con disponibilità e gratitudine ma pure con pieno coinvolgimento effettivo e affettivo, lontanissimi dal sentirsi condannati a fare le baby-sitter di persone non cresciute.

Sul modello dell’integrazione armonica come il più adatto alla formazione nel nostro tempo – prosegue Cencini sviluppando il suo pensiero – dovrà configurarsi anche il percorso formativo del formatore, poiché «sarebbe pericoloso, e del tutto frustrante e improduttivo, che il formatore presumesse non solo applicare un metodo formativo che prima non ha vissuto su se stesso, ma che nel momento stesso in cui lo propone al giovane non lo riviva in qualche modo, lasciandosi coinvolgere nell’operazione».

 

IL DRAMMA

NECESSARIO

 

Queste le componenti di tale operazione: una idea-madre o una icona che rappresenti quasi plasticamente la formazione indicandone il percorso e l’obiettivo; una strategia di fondo con pedagogie corrispondenti; una verifica precisa e costante.

L’icona di riferimento nel cammino formativo della vita religiosa è quella, potenziata, si può dire, dell’itinerario spirituale di tutti i battezzati in       Cristo: il triduo pasquale col suo percorso di passione, morte e risurrezione. «Perché la pasqua di Gesù è la rivelazione piena di Dio, come ha sottolineato Benedetto XVI ricordando l’amico Von Balthasar: “Nella morte e risurrezione di Gesù viene rivelato in pienezza il mistero dell’amore trinitario di Dio. La realtà della fede trova qui la sua bellezza insuperabile, nel dramma del mistero pasquale Dio vive pienamente il suo farsi uomo, ma nel contempo rende significativo l’agire dell’uomo”».

Ciò che si rende indispensabile, pertanto, è recuperare il senso drammatico della formazione, che se non è andato smarrito del tutto è stato senza dubbio indebolito e persino, per tanti motivi, edulcorato. Il cammino formativo, ribadisce p. Cencini, ha bisogno di «un progetto globale, sul piano spirituale e psicologico, che possa incidere sulla totalità della persona» e determinare in essa un cambiamento irreversibile.

Il problema di molta formazione oggi – osserva dando uno sguardo alla situazione generale – è la sua scarsa capacità di incidere sulla vita dei giovani formandi: «Il candidato entra, supera tutte le tappe, procede più o meno trionfalmente e arriva alla fine senza che ci sia stata alcuna modificazione profonda nella sua personalità, nessuna conversione, nessuna crisi salutare, nessun dramma, se dramma significa il trovarsi dinanzi a una decisione da prendere che cambia la vita, ma la cambia radicalmente, e non solo perché uno fa i voti o viene ordinato, ma perché si è scontrato con una realtà, con un evento, con una esperienza, con una persona, con un mistero... che l’ha costretto a riformulare il senso del suo esistere. Ebbene, di questo ha bisogno la formazione, di provocare il dramma di questo incontro-scontro che conduca al dramma della decisione radicale; dunque d’un evento esperienziale fonte di una nuova sapienza di vita, capace di innescare un progetto di trasformazione nella persona, attratta e affascinata dalla bellezza di una inedita possibilità di vita».

 

L’ITINERARIO

CORRISPONDENTE

 

Nello stesso tempo, sul versante del formatore sono necessari «formatori che conoscano questo aspetto drammatico e lo vivano abitualmente come percorso di crescita costante. Il formatore ha bisogno di ancorare il suo cammino e la sua fatica sul suolo solido della verità di fede perché gliene venga di conseguenza un progetto armonico di vita e di formazione, per sé e per gli altri, senza avvertire più alcuna frattura tra il cammino della sua personale crescita e quello che sollecita e accompagna nei suoi giovani». E nulla vi è di più armonico del disegno salvifico «che passa attraverso la croce, proprio perché salda insieme verità, bellezza e bontà (sul piano oggettivo), ovvero mente, cuore, volontà (sul piano soggettivo); anzi chiede un coinvolgimento al massimo grado delle risorse umane, portando rispettivamente alla contemplazione, all’innamoramento, al martirio».

E mentre sullo sfondo rimane la presenza del triduo pasquale, l’attenzione si sposta sui dinamismi pedagogici attraverso i quali il formatore guida il cammino del formando, sempre in linea col principio che non dev’esserci distonia tra metodo formativo proposto agli altri e cammino formativo personale.

L’itinerario viene indicato da p. Cencini secondo i termini educare, formare, trasformare e accompagnare, parole che suggeriscono intrecci di realtà e indicano operazioni interdipendenti.

E anche la riflessione su di esse porta a notare anzitutto che per sua natura il rapporto educativo espone la persona dell’educatore a una conoscenza nuova di sé, poiché nulla come il rapporto a livelli profondi con l’altro, come dev’essere sempre la relazione educativa, svela la nostra stessa interiorità; non solo, ma fa sì che colui che scruta venga a sua volta scrutato, facendo emergere situazioni le più varie, rivelanti di sé, talora, aspetti nuovi di cui l’educatore intelligente non può che tenere conto per migliorarsi sul piano dell’identificazione con Cristo. Così che anche l’azione formativa orientata a trasformare costituisce un percorso formativo per il formatore. «È impossibile indicare i sentimenti di Gesù come ideale di vita per il consacrato senza sentire una profonda risonanza dentro di sé sotto forma di desiderio, di attrazione, di rimprovero ed esame di coscienza... Ma è poi lo stesso principio pedagogico del formare che espone il formatore a una seria verifica o lo provoca in modo puntuale: è quel principio secondo il quale nessun formatore può chiedere al giovane una rinuncia se al tempo stesso non è in grado di lasciar intravedere lo spazio di libertà che quella rinuncia apre al giovane», libertà che è pure della propria continua esperienza.    

 

FORMAZIONE

CHE TRASFORMA

 

Nell’ottica in cui si muove il discorso di p. Cencini, la formazione – del formando e del formatore – non è tale, dunque, se non trasforma profondamente la persona, in una fase articolata nei due momenti dell’oggettivazione e della soggettivazione.

Nel primo momento il formatore, che è artista nello svolgere il proprio compito, aiuta il giovane a saper cogliere la bellezza-bontà di Cristo e dei suoi sentimenti come valore supremo di vita, sempre a condizione, tuttavia, che egli stesso sia innamorato di quella bellezza, che sia capace di condividere la felicità di appartenere a Dio e ne sappia irradiare la gioia. Il resto viene compiuto nel momento della soggettivazione, definito da Cencini «il contagio in azione»: il soggetto per l’azione mediatrice del formatore si lascia toccare dalla verità-bellezza-bontà del valore che progressivamente fa proprio, giungendo a riconoscere in Cristo la propria identità, plasmata com’è, nella sua totalità, sui sentimenti di lui.  

In tal modo la formazione si manifesta soprattutto «come libertà: libertà di lasciarsi attrarre dalla bellezza del Figlio e dei suoi sentimenti, una libertà dunque che sconfina nella mistica; libertà di lasciarsi plasmare dallo Spirito del Padre, e dunque libertà che diventa ascetica». E dove il ruolo del formatore, ancora una volta, è stato quello di facilitare l’incontro mediante la personale conoscenza vissuta di quella mistica e di quell’ascetica.

Tale ruolo sfocia nel compito di accompagnare una persona verso la libertà dello Spirito e anche in esso «c’è sempre una grande possibilità di fare un’esperienza originale e inedita di Dio. Se l’educatore-formatore-accompagnatore ha imparato davvero la compagnia dello Spirito e nello Spirito,  ovvero a condividere il pane del cammino, il pane della sua esperienza spirituale, senza assumere atteggiamenti impositivi, né invadere lo spazio del mistero dell’altro, allora è come se suscitasse nel giovane lo stesso atteggiamento» di condivisione dell’esperienza e di accoglienza del mistero. 

 

VERIFICARE

COME VIGILARE

 

Il risultato potrà essere visibile mediante una costante verifica del cammino percorso, nella libertà ma certamente molto seria poiché essa è illuminata dall’icona del triduo pasquale. Alla luce di questa infatti egli «mirerà a constatare quanto la pietra scartata dai costruttori sia divenuta testata d’angolo nell’edificio della sua vita e del suo servizio di formatore.E se stia di fatto realizzando anzitutto su se stesso quel modello dell’integrazione armonica attorno al mistero pasquale che sta cercando di proporre ai suoi giovani».

Non un qualunque “esame di coscienza” – precisa Cencini – ma «come un’attenzione vigilante e intelligente che in tempo reale consente ai formatori di rendersi conto di quel che sta succedendo nel suo cuore, del perché di quella reazione o sensazione, simpatia o antipatia, attrazione o repulsione. In un vero e proprio esercizio d’intelligenza dello spirito, che non è la stessa cosa del quoziente intellettuale ma è l’intuito di colui che ha imparato a lasciarsi costantemente giudicare, orientare, liberare dalla croce e ogni giorno, anzi ogni momento si confronta con i sentimenti del Crocifisso».

Facilmente, infatti, a questo punto si individua il luogo di riferimento appropriato della verifica, che è il cuore di Cristo in croce, il mistero della sua pasqua di morte e risurrezione, attorno al quale il formatore impara progressivamente a integrare tutte le sfumature della propria esperienza, appunto, di formatore «che ha in sé gli stessi sentimenti del Figlio». Non – conclude Cencini – un formatore atto a risolvere tutti i guai del giovane problematico, un formatore un po’ terapeuta e un po’ buon papà... ma un fratello maggiore, nella fede e nel discepolato, che ha imparato a vivere la propria debolezza ai piedi della croce, l’evento massimo della debolezza, e che ha scoperto, soprattutto, la debolezza misteriosamente trasfigurata dalla potenza della grazia.

 

Zelia Pani