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FEBBRAIO, GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
QUANDO
LA CROCE È INCISA NELLA MENTE
Il contributo della pastorale della
salute sta in quella forza profetica, che è capace di dare piena dignità a chi
soffre di disturbi psichici e nel favorire un vero processo di umanizzazione.
Nel messaggio del papa, un invito anche a diffondere una cultura
dell’accoglienza e della condivisione.
Adele
veniva a trovarmi spesso, col suo bisogno di cercare un senso a ciò che le
capitava. Mi chiedeva di aprire a caso la Bibbia e di leggerle un brano, poi si
divertiva a interpretare quel testo, applicandolo alla sua vita. Così, ad
esempio, ritrovava l’amore di suo padre che l’aveva coccolata da piccola. Un
giorno, eravamo in Quaresima, entrò nel mio ufficio con una intuizione. Non
voleva che leggessi la Bibbia, perché lei aveva capito: tutto il senso della
sua malattia era nella Via Crucis, ma non riusciva a decidere quale stazione la
rappresentasse di più. Dopo aver parlato insieme, decise che la sua vita era
descritta da una caduta. Adele non fece in tempo a invecchiare, morì prima di
Natale, senza la possibilità di dare ancora una volta il bacio a quel Bambino
nel quale vedeva tutti i bambini. Aveva tanto desiderato averne uno suo.
La
storia di Adele ci permette di stare alla scuola del malato (come recita il
tema di quest’anno della giornata mondiale del
malato) che, pur nella sua percezione distorta della realtà, cerca un senso
alla malattia. Qui si trova una prima intuizione di quella che possiamo
chiamare pastorale della salute con i malati mentali: ogni uomo, compreso chi è
colpito da disturbi psichici, cerca un significato alla sua condizione. In
questo non c’è alcuna differenza da qualsiasi forma di pastorale. L’esigenza
spirituale di senso è ancora più forte laddove sembra smarrito il senso stesso
della vita.
In
questo caso si tratta di aiutare e sostenere chi sta cercando un senso negli
avvenimenti e l’azione di pastorale della salute diventa un contributo
all’evangelizzazione.
Franca
mi confida che lei non ama portare catenine con crocifissi al collo. Lei ha già
la sua croce incisa nella carne, meglio nella mente. Una condizione che non le
consente di uscire volentieri in città, non ama gli sguardi di commiserazione e
le risatine della gente alle sue spalle. Sa che la sua è una vita all’interno
di un “manicomio”, come usa dire ancora la gente.
Durante
un incontro è lei a raccontare tutto, senza falsi pudori, usando parole che
noi, per rispetto, non usiamo più. Non si fa problema di parlare del
pregiudizio che la società le riserva. Trovo una grande forza in questa donna,
che vorrebbe solo stare in un posto tranquillo per guarire dalla sua
depressione, ma non ha i soldi per farlo.
Resiste
ancora una certa idea che non ci permette l’accostamento alla malattia mentale
e soprattutto alle persone che ne soffrono, nel modo giusto. Lo stigma sociale
colloca ai margini i malati mentali. Il contributo che la pastorale della
salute può dare, sta anche in questa forza profetica, capace di dare piena
dignità a chi soffre di disturbi psichici. Oltre la prima intuizione, che ci
aiuta a dare un senso spirituale alla luce del Vangelo, il secondo elemento di
forza lo intravediamo nella possibilità di dare impulso ad un vero processo di
umanizzazione.
Questa
seconda dimensione resta estremamente attuale. Proprio di recente si è riaperto
il dibattito sulla legge 180 del 1978. C’è la sensazione che la discussione
stia percorrendo strade che fanno tornare indietro, rispetto alle acquisizioni
della psichiatria. Se si fa funzionare bene la legge attuale, ci sono in essa
tutte le condizioni per garantire sostegno e sicurezza alle famiglie. La
riforma proposta dal prof. Basaglia, accolta dalla
180 e inglobata nella legge di riforma della sanità 833 del ’78 conserva la sua
attualità. Certo, si possono sempre fare miglioramenti, ma bisogna garantire il
pieno rispetto della libertà della persona e offrire le condizioni per una vera
riabilitazione a chi altrimenti rischia di essere seriamente emarginato. Lo
esige la coscienza civile, lo esige la carità cristiana!
Incontro
Salvatore sul viale. Gli stringo le mani, che sento fredde e glielo dico. Lui
forse non gradisce, preso dai suoi pensieri, ma reagendo mi dice che preferisce
restare solo. Mi accorgo di essere entrato nel suo mondo con precipitazione, lo
saluto e mi allontano. Qualche giorno dopo, mentre passeggio sul viale con un
collega, Salvatore si affianca a noi e prosegue. Chiede se può camminare
insieme e si mette in mezzo. Dopo un po’ insiste: «non lasciatemi solo, statemi
vicino».
Salvatore
è in cerca di affetto ma vuole essere lui a decidere quando qualcuno deve farsi
vicino, bisogna rispettare i suoi tempi. Il tempo è la nostra terza intuizione.
Tempo che va dato in abbondanza a persone con disturbi psichici, tempo che va
perduto nella speranza che prima o poi qualcosa affiori, tempo che spesso si
perde senza risultati apparenti. Soprattutto il tempo che va rispettato è
quello che decide il paziente. D’altra parte anche in altre condizioni è
necessario dare tutto il tempo ai bisogni delle persone, aspettando quelli che
sono i tempi di Dio in ciascuno. Resta sempre vera, anche nelle situazioni che
stiamo esaminando, l’espressione di san Paolo: “Mi sono fatto tutto a tutti per
salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9,22”). Solo il camminare insieme dà la
sensazione, a chi è nella necessità, di poter contare sull’altro. Si ha la
consapevolezza della propria dignità, quando si può stare alla stessa altezza,
quando si può guardare qualcuno “occhi negli occhi”.
IMPORTANTE
CONOSCERE
LE LORO
STORIE
Storie
come quelle appena accennate, sono disperse tra i volti e negli sguardi delle
numerose persone afflitte da disturbi psichici. Per chi ha il desiderio di
portare il messaggio evangelico nel cuore degli uomini è necessario conoscere
qualche elemento della condizione psichiatrica, non è necessario diventare
esperti, perché gli uomini restano sostanzialmente uguali, ma è importante
conoscere le loro storie, così come loro le raccontano.
L’operatore
pastorale è soprattutto esperto di anima, di spirito, capace di dare risposte semplici
che tutti comprendono. Un gesto d’affetto, una carezza, un sorriso, una
camminata insieme sono atteggiamenti che parlano in ogni contesto. Portare Gesù
tra i malati mentali consiste soprattutto nel rivestirsi di pazienza, capacità
di ascolto e di una certa creatività. Non servono tanto i discorsi logici o
sistematici, d’altra parte la psichiatria non è di stabilire sempre protocolli
terapeutici capaci di individuare la soluzione giusta al problema specifico, ma
tenta, con le sue conoscenze, di sanare le situazioni che ha di fronte.
Servono, soprattutto le intuizioni che vengono dal vivere accanto, questo è
vero per ogni azione terapeutica, ma è tanto più vero per la pastorale della
salute in ambito psichiatrico.
Chi
lavora in questo campo apprezzerà con gratitudine il pensiero centrale che quest’anno Benedetto XVI riserva proprio ai malati mentali
nel messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato. Nel testo vi è una
spiccata attenzione alle famiglie che devono sopportare il peso, spesso
insostenibile, dell’accompagnamento di congiunti con problemi psichici. In
Italia esistono alcuni supporti assistenziali, anche se con intensità
differente tra le regioni e molto si può ancora fare in questa direzione. Nel
resto del mondo, particolarmente in paesi con difficoltà economiche, la cura
dei malati mentali diventa un vero problema sociale. Il carico maggiore ricade
sempre sulla famiglia, la vera protagonista di ogni cura. L’attenzione
pastorale ha quindi a cuore proprio la famiglia, per altro, essa è sempre più
protagonista della cura di ogni malattia. Le dimissioni veloci dagli ospedali
riversano sulla famiglia il compito della degenza post-operatoria. E si
potrebbe continuare con un elenco di attenzioni a carico. Qui si gioca il
futuro della salute sul territorio, e questa cellula sociale fondamentale che è
il nucleo familiare, si fa carico di ogni necessità. Per noi la famiglia
diventa anche la piccola chiesa domestica, alla quale non può mancare
l’attenzione dei pastori. Al di là dei proclami, delle visioni catastrofiche e
delle facili accuse, che a volte vengono anche dagli ambienti ecclesiali, la
famiglia è ancora viva.
UNA
PASTORALE
SULL’ESEMPIO
DI GESÙ
La
Chiesa ha sempre riservato particolare dedizione ai malati. Sull’esempio del
Cristo che passava sanando e beneficando tutti (At 10,38), i cristiani si sono
prodigati nei secoli per rendere dignitosa la cura e l’assistenza sanitaria e
dare un significato a quel tempo drammatico e luminoso della vita, che è il
tempo della malattia. In questo senso, esiste tutt’oggi
una diffusa e rinnovata azione di pastorale della salute. L’attenzione di
Giovanni Paolo II fece nascere nel 1985 il Pontificio consiglio per gli
operatori sanitari. In Italia da un decennio sono nati gli uffici diocesani per
la pastorale della salute, coordinati dall’ufficio nazionale della CEI.
Esistono diversi centri pastorali che si occupano della formazione degli
operatori pastorali, tra questi vi è anche un istituto teologico di pastorale
sanitaria, il Camillianum (www.camillianum.com).
Opera attivamente anche l’A.I.PA.S. (associazione
italiana di pastorale della salute – www.aipas.com) che raggruppa molti
cappellani ospedalieri insieme a religiosi, religiose e laici che operano in
questo settore. Come non ricordare l’accoglienza che molte parrocchie riservano
a persone con problemi psichici (oltre all’accompagnamento spirituale di tutti
i malati), che trovano qui un rifugio, ma anche la possibilità di rendersi
utili alla comunità con piccoli servizi. È una cura che non ha riconoscimenti
ufficiali, ma che rende un enorme servizio sociale.
Non è
scontato ricordare la dedizione di alcuni ordini religiosi, che hanno fatto
della cura pastorale ai malati la manifestazione concreta del loro carisma: i camilliani che sull’esempio del fondatore si prodigano
mettendo più cuore nelle azioni che compiono a favore dei malati; molti ordini
francescani e istituti secolari e movimenti sono inseriti anche in servizi di
accompagnamento spirituale. Ma è necessario ricordare soprattutto i Fatebenefratelli in questo discorso sulla cura dei malati
mentali. Il loro fondatore, san Giovanni di Dio, ebbe la sua ispirazione
carismatica proprio durante un ricovero nell’Ospedale reale di Granada, che riservava ai malati mentali i trattamenti (non
sempre dignitosi) dell’epoca. Uscito da quell’ospedale
volle aprirne uno per curare i malati secondo modalità più umane. Sulla sua
scia, i Fatebenefratelli (www.fatebenefratelli.it)
tra i loro ospedali ne hanno sempre avuto alcuni dedicati alla cura della
malattia mentale. Ancora oggi è così. Qui si può apprendere come dare piena
dignità, anche laddove sono gli stessi pazienti che, forse, hanno perso
l’orientamento fondamentale della vita, ma a cui è rimasto il senso delle cose
belle e la ricerca costante di affetto.
Nel messaggio
citato di Benedetto XVI, vi è l’invito a diffondere una cultura
dell’accoglienza e della condivisione capace di produrre leggi adeguate e
trovare risorse sufficienti per la cura dei malati mentali. È un discorso che
va riferito non solo alla società civile, ma anche alla comunità cristiana. C’è
un passo da compiere in questo ambito che, nella linea della condivisione, fa
pensare a una integrazione sempre più ampia della pastorale della salute nella
pastorale ordinaria. L’accompagnamento dei malati non è compito solo degli
operatori del settore, ma riguarda tutta la Chiesa. Lo spostamento gradualmente
più ampio della cura sanitaria dalle strutture ospedaliere al territorio vedrà
in futuro le parrocchie sempre più protagoniste della pastorale della salute.
Inoltre, la carenza di sacerdoti, che non consentirà a lungo di delegarne uno
per le strutture ospedaliere, diventa un ulteriore richiamo a ogni credente a
interessarsi del problema. Un insieme di circostanze interpellano la comunità
cristiana, ma c’è una esigenza fondamentale di cui il messaggio evangelico si
nutre: la testimonianza concreta che il regno dei cieli è in mezzo a noi viene
dal fatto che: “i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi guariscono, i
sordi riacquistano l’udito...” (Mt 11, 6). Non ci può
essere vera pastorale ecclesiale se manca l’attenzione ai malati e in specie
quelli più abbandonati.
Gianni Cervellera
(Segretario Nazionale A.I.PA.S.,
coordinatore Centro S. Ambrogio
di Cernusco sul
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