11 FEBBRAIO, GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

QUANDO LA CROCE È INCISA NELLA MENTE

 

Il contributo della pastorale della salute sta in quella forza profetica, che è capace di dare piena dignità a chi soffre di disturbi psichici e nel favorire un vero processo di umanizzazione. Nel messaggio del papa, un invito anche a diffondere una cultura dell’accoglienza e della condivisione.

 

Adele veniva a trovarmi spesso, col suo bisogno di cercare un senso a ciò che le capitava. Mi chiedeva di aprire a caso la Bibbia e di leggerle un brano, poi si divertiva a interpretare quel testo, applicandolo alla sua vita. Così, ad esempio, ritrovava l’amore di suo padre che l’aveva coccolata da piccola. Un giorno, eravamo in Quaresima, entrò nel mio ufficio con una intuizione. Non voleva che leggessi la Bibbia, perché lei aveva capito: tutto il senso della sua malattia era nella Via Crucis, ma non riusciva a decidere quale stazione la rappresentasse di più. Dopo aver parlato insieme, decise che la sua vita era descritta da una caduta. Adele non fece in tempo a invecchiare, morì prima di Natale, senza la possibilità di dare ancora una volta il bacio a quel Bambino nel quale vedeva tutti i bambini. Aveva tanto desiderato averne uno suo.

La storia di Adele ci permette di stare alla scuola del malato (come recita il tema di quest’anno della giornata mondiale del malato) che, pur nella sua percezione distorta della realtà, cerca un senso alla malattia. Qui si trova una prima intuizione di quella che possiamo chiamare pastorale della salute con i malati mentali: ogni uomo, compreso chi è colpito da disturbi psichici, cerca un significato alla sua condizione. In questo non c’è alcuna differenza da qualsiasi forma di pastorale. L’esigenza spirituale di senso è ancora più forte laddove sembra smarrito il senso stesso della vita.

In questo caso si tratta di aiutare e sostenere chi sta cercando un senso negli avvenimenti e l’azione di pastorale della salute diventa un contributo all’evangelizzazione.

 

Franca mi confida che lei non ama portare catenine con crocifissi al collo. Lei ha già la sua croce incisa nella carne, meglio nella mente. Una condizione che non le consente di uscire volentieri in città, non ama gli sguardi di commiserazione e le risatine della gente alle sue spalle. Sa che la sua è una vita all’interno di un “manicomio”, come usa dire ancora la gente.

Durante un incontro è lei a raccontare tutto, senza falsi pudori, usando parole che noi, per rispetto, non usiamo più. Non si fa problema di parlare del pregiudizio che la società le riserva. Trovo una grande forza in questa donna, che vorrebbe solo stare in un posto tranquillo per guarire dalla sua depressione, ma non ha i soldi per farlo.

Resiste ancora una certa idea che non ci permette l’accostamento alla malattia mentale e soprattutto alle persone che ne soffrono, nel modo giusto. Lo stigma sociale colloca ai margini i malati mentali. Il contributo che la pastorale della salute può dare, sta anche in questa forza profetica, capace di dare piena dignità a chi soffre di disturbi psichici. Oltre la prima intuizione, che ci aiuta a dare un senso spirituale alla luce del Vangelo, il secondo elemento di forza lo intravediamo nella possibilità di dare impulso ad un vero processo di umanizzazione.

Questa seconda dimensione resta estremamente attuale. Proprio di recente si è riaperto il dibattito sulla legge 180 del 1978. C’è la sensazione che la discussione stia percorrendo strade che fanno tornare indietro, rispetto alle acquisizioni della psichiatria. Se si fa funzionare bene la legge attuale, ci sono in essa tutte le condizioni per garantire sostegno e sicurezza alle famiglie. La riforma proposta dal prof. Basaglia, accolta dalla 180 e inglobata nella legge di riforma della sanità 833 del ’78 conserva la sua attualità. Certo, si possono sempre fare miglioramenti, ma bisogna garantire il pieno rispetto della libertà della persona e offrire le condizioni per una vera riabilitazione a chi altrimenti rischia di essere seriamente emarginato. Lo esige la coscienza civile, lo esige la carità cristiana!  

 

Incontro Salvatore sul viale. Gli stringo le mani, che sento fredde e glielo dico. Lui forse non gradisce, preso dai suoi pensieri, ma reagendo mi dice che preferisce restare solo. Mi accorgo di essere entrato nel suo mondo con precipitazione, lo saluto e mi allontano. Qualche giorno dopo, mentre passeggio sul viale con un collega, Salvatore si affianca a noi e prosegue. Chiede se può camminare insieme e si mette in mezzo. Dopo un po’ insiste: «non lasciatemi solo, statemi vicino».

Salvatore è in cerca di affetto ma vuole essere lui a decidere quando qualcuno deve farsi vicino, bisogna rispettare i suoi tempi. Il tempo è la nostra terza intuizione. Tempo che va dato in abbondanza a persone con disturbi psichici, tempo che va perduto nella speranza che prima o poi qualcosa affiori, tempo che spesso si perde senza risultati apparenti. Soprattutto il tempo che va rispettato è quello che decide il paziente. D’altra parte anche in altre condizioni è necessario dare tutto il tempo ai bisogni delle persone, aspettando quelli che sono i tempi di Dio in ciascuno. Resta sempre vera, anche nelle situazioni che stiamo esaminando, l’espressione di san Paolo: “Mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9,22”). Solo il camminare insieme dà la sensazione, a chi è nella necessità, di poter contare sull’altro. Si ha la consapevolezza della propria dignità, quando si può stare alla stessa altezza, quando si può guardare qualcuno “occhi negli occhi”.

 

IMPORTANTE CONOSCERE

LE LORO STORIE

 

Storie come quelle appena accennate, sono disperse tra i volti e negli sguardi delle numerose persone afflitte da disturbi psichici. Per chi ha il desiderio di portare il messaggio evangelico nel cuore degli uomini è necessario conoscere qualche elemento della condizione psichiatrica, non è necessario diventare esperti, perché gli uomini restano sostanzialmente uguali, ma è importante conoscere le loro storie, così come loro le raccontano.

L’operatore pastorale è soprattutto esperto di anima, di spirito, capace di dare risposte semplici che tutti comprendono. Un gesto d’affetto, una carezza, un sorriso, una camminata insieme sono atteggiamenti che parlano in ogni contesto. Portare Gesù tra i malati mentali consiste soprattutto nel rivestirsi di pazienza, capacità di ascolto e di una certa creatività. Non servono tanto i discorsi logici o sistematici, d’altra parte la psichiatria non è di stabilire sempre protocolli terapeutici capaci di individuare la soluzione giusta al problema specifico, ma tenta, con le sue conoscenze, di sanare le situazioni che ha di fronte. Servono, soprattutto le intuizioni che vengono dal vivere accanto, questo è vero per ogni azione terapeutica, ma è tanto più vero per la pastorale della salute in ambito psichiatrico.

Chi lavora in questo campo apprezzerà con gratitudine il pensiero centrale che quest’anno Benedetto XVI riserva proprio ai malati mentali nel messaggio per la XIV Giornata mondiale del malato. Nel testo vi è una spiccata attenzione alle famiglie che devono sopportare il peso, spesso insostenibile, dell’accompagnamento di congiunti con problemi psichici. In Italia esistono alcuni supporti assistenziali, anche se con intensità differente tra le regioni e molto si può ancora fare in questa direzione. Nel resto del mondo, particolarmente in paesi con difficoltà economiche, la cura dei malati mentali diventa un vero problema sociale. Il carico maggiore ricade sempre sulla famiglia, la vera protagonista di ogni cura. L’attenzione pastorale ha quindi a cuore proprio la famiglia, per altro, essa è sempre più protagonista della cura di ogni malattia. Le dimissioni veloci dagli ospedali riversano sulla famiglia il compito della degenza post-operatoria. E si potrebbe continuare con un elenco di attenzioni a carico. Qui si gioca il futuro della salute sul territorio, e questa cellula sociale fondamentale che è il nucleo familiare, si fa carico di ogni necessità. Per noi la famiglia diventa anche la piccola chiesa domestica, alla quale non può mancare l’attenzione dei pastori. Al di là dei proclami, delle visioni catastrofiche e delle facili accuse, che a volte vengono anche dagli ambienti ecclesiali, la famiglia è ancora viva. 

 

UNA PASTORALE

SULL’ESEMPIO DI GESÙ

 

La Chiesa ha sempre riservato particolare dedizione ai malati. Sull’esempio del Cristo che passava sanando e beneficando tutti (At 10,38), i cristiani si sono prodigati nei secoli per rendere dignitosa la cura e l’assistenza sanitaria e dare un significato a quel tempo drammatico e luminoso della vita, che è il tempo della malattia. In questo senso, esiste tutt’oggi una diffusa e rinnovata azione di pastorale della salute. L’attenzione di Giovanni Paolo II fece nascere nel 1985 il Pontificio consiglio per gli operatori sanitari. In Italia da un decennio sono nati gli uffici diocesani per la pastorale della salute, coordinati dall’ufficio nazionale della CEI. Esistono diversi centri pastorali che si occupano della formazione degli operatori pastorali, tra questi vi è anche un istituto teologico di pastorale sanitaria, il Camillianum (www.camillianum.com). Opera attivamente anche l’A.I.PA.S. (associazione italiana di pastorale della salute – www.aipas.com) che raggruppa molti cappellani ospedalieri insieme a religiosi, religiose e laici che operano in questo settore. Come non ricordare l’accoglienza che molte parrocchie riservano a persone con problemi psichici (oltre all’accompagnamento spirituale di tutti i malati), che trovano qui un rifugio, ma anche la possibilità di rendersi utili alla comunità con piccoli servizi. È una cura che non ha riconoscimenti ufficiali, ma che rende un enorme servizio sociale.

Non è scontato ricordare la dedizione di alcuni ordini religiosi, che hanno fatto della cura pastorale ai malati la manifestazione concreta del loro carisma: i camilliani che sull’esempio del fondatore si prodigano mettendo più cuore nelle azioni che compiono a favore dei malati; molti ordini francescani e istituti secolari e movimenti sono inseriti anche in servizi di accompagnamento spirituale. Ma è necessario ricordare soprattutto i Fatebenefratelli in questo discorso sulla cura dei malati mentali. Il loro fondatore, san Giovanni di Dio, ebbe la sua ispirazione carismatica proprio durante un ricovero nell’Ospedale reale di Granada, che riservava ai malati mentali i trattamenti (non sempre dignitosi) dell’epoca. Uscito da quell’ospedale volle aprirne uno per curare i malati secondo modalità più umane. Sulla sua scia, i Fatebenefratelli (www.fatebenefratelli.it) tra i loro ospedali ne hanno sempre avuto alcuni dedicati alla cura della malattia mentale. Ancora oggi è così. Qui si può apprendere come dare piena dignità, anche laddove sono gli stessi pazienti che, forse, hanno perso l’orientamento fondamentale della vita, ma a cui è rimasto il senso delle cose belle e la ricerca costante di affetto.

Nel messaggio citato di Benedetto XVI, vi è l’invito a diffondere una cultura dell’accoglienza e della condivisione capace di produrre leggi adeguate e trovare risorse sufficienti per la cura dei malati mentali. È un discorso che va riferito non solo alla società civile, ma anche alla comunità cristiana. C’è un passo da compiere in questo ambito che, nella linea della condivisione, fa pensare a una integrazione sempre più ampia della pastorale della salute nella pastorale ordinaria. L’accompagnamento dei malati non è compito solo degli operatori del settore, ma riguarda tutta la Chiesa. Lo spostamento gradualmente più ampio della cura sanitaria dalle strutture ospedaliere al territorio vedrà in futuro le parrocchie sempre più protagoniste della pastorale della salute. Inoltre, la carenza di sacerdoti, che non consentirà a lungo di delegarne uno per le strutture ospedaliere, diventa un ulteriore richiamo a ogni credente a interessarsi del problema. Un insieme di circostanze interpellano la comunità cristiana, ma c’è una esigenza fondamentale di cui il messaggio evangelico si nutre: la testimonianza concreta che il regno dei cieli è in mezzo a noi viene dal fatto che: “i ciechi vedono, gli storpi camminano, i lebbrosi guariscono, i sordi riacquistano l’udito...” (Mt 11, 6). Non ci può essere vera pastorale ecclesiale se manca l’attenzione ai malati e in specie quelli più abbandonati.

 

Gianni Cervellera

(Segretario Nazionale A.I.PA.S.,

coordinatore Centro S. Ambrogio

di Cernusco sul Naviglio (MI)