SIAMO
AMATI DI AMORE ETERNO
Quando è
veramente dentro di noi, è l’amore stesso a farci scuola, a insegnarci come
vivere-ricambiare l’amore col quale Dio che è Amore
«ci sta amando»
attimo per attimo.
Poiché
l’amore non è moneta, a noi può sembrare strano, o impalpabile e dunque molto
generico, un debito d’amore; ma non è così. Infatti, dire debito è un altro
modo di dire dovere, con una specificazione precisa; e dicendo dovere noi ci
impegniamo di fatto con qualcuno, ossia rinunciamo a reputarci indipendenti da
chiunque, a crederci dei piccoli assoluti.
In
questo caso preciso e unico, l’Altro è Dio, e Dio amore. Ne viene che proprio
noi suoi riguardi sorge e rimane nel nostro intimo e spirituale io l’impegno
fondamentale di attualizzare nei suoi riguardi la relazione dell’amore.
Se
egli fosse, infatti, un Dio immobile, o indifferente, un supremo principio,
potremmo accontentarci di ossequiarlo (se poi c’interessasse davvero) con
pensieri metafisici; ma poiché egli è amore che sta amandoci (come l’amore fa),
allora l’impegno di riamarlo diviene prioritario in modo assoluto, tanto quanto
è assoluto Dio stesso.
Per
i cristiani che conoscono tutto ciò, il comando divino «Non avere altri dei di
fronte a me» (Dt 5,7) equivale a «non avere altro amore che ti domini», ossia
che ti sostenga, ti motivi per vivere e per morire, e dia significato a ogni
altro amore.
Quando
Gesù ci ha avvertiti: «Non potete servire a due padroni, Dio e la ricchezza»
(Mt 6,24) ha ripreso lo stesso percorso: infatti egli ha parlato di odiare e
amare, dunque della ricchezza come oggetto di assoluto amore. Non ci ha detto
che non possiamo servire Dio e il demonio, perché quest’ultimo non è per noi
oggetto ordinario di amore: la ricchezza sì.
Il
debito d’amore comincia dunque quando all’amore che Dio ha per noi cominciamo a
rispondere in modo lacunoso e svogliato; e a darci la realistica misura di
quale poi tale amore di risposta debba essere è la misura stessa con la quale
Dio ci ama a insegnarcelo.
Provi
dunque il cristiano, che conosce bene questo segreto, a interrogare Dio, provi
a domandargli: «Tu, mio amatore, quando mi ami? Quanto? Come?» e si adegui, se
intende restare nella verità, alle risposte che riceve.
«Ti
ho amato di amore eterno» (Ger 31,3). Ed eterno, poiché noi viviamo nel tempo,
non significa lontano o sopra di te e fuori di te, ma all’opposto
contemporaneo: l’amore che attimo per attimo segue, accompagna, respira al
fianco.
«Sono
io che ho amato voi e ho mandato il mio Figlio come vittima di espiazione per i
vostri peccati» (1Gv 4,10). Prorompente iniziativa.
«Non
ho risparmiato il mio proprio Figlio» (Rm 8,32).
Sono
le risposte a noi notissime e che conservano il potere di sconvolgere la nostra
pacatezza terrena.
Sono
appunto la scuola pratica di come vivere-ricambiare l’amore.
Pare
perfino strano dover tanto ragionare sull’amore, come se non ci facesse scuola
da solo quando è veramente in noi. Dal punto di vista psicologico è persino
incerto, nella nostra esperienza, se siamo noi a condurre l’amore oppure
l’amore a condurre noi.
Esso
conosce da sé il suo oggetto, lo brama, trova le vie per raggiungerlo, quando
lo ha raggiunto lo afferra
per
non abbandonarlo, se deve allontanarsi da lui non si risolve mai a farlo, e
avendolo fatto comincia a patire solitudine e nuovo desiderio di incontro.
Non
è diverso l’amore che ci lega nello Spirito a Dio, solo è più forte. Infatti,
l’amore divino non si appoggia sulla nostra sentimentalità, pur svegliandola:
esso è radicato nel nostro spirito e di lì domina tutta la vita personale
perché la volge completamente verso Dio: «Sei tu la mia sorte» (Sal 142,6) gli
dice, «senza di te non ho alcun bene» (Sal 16,2), e perciò «il tuo volto io
cerco» (Sal 27,8).
Che
cosa diventa allora una vita, sotto la pressione di tale spinta che la invade?
È evidente che essa non può più essere costituita di esperienze disperse, di
separati obiettivi tutti più o meno equivalenti, di soddisfacimenti finiti
nello spazio e nel tempo.
Gradatamente
essa cerca un’altra esperienza di fondo, perché tende con sicurezza a
«conservarsi nell’amore».
Giuseppe Pollano
da Per
una nuova cultura di carità,
Studium-Roma 2003