TRA CATTOLICI E MUSULMANI

MATRIMONI DA SCONSIGLIARE

 

Occorre rendere avvertiti coloro che desiderano contrarre tali matrimoni sulle difficoltà a cui vanno incontro per la profonda diversità di concezione

di queste unioni tra le due religioni. I rischi si aggravano se gli sposi intendono stabilirsi

in un paese musulmano.

 

I matrimoni tra una parte cattolica e una musulmana sono da sconsigliare o comunque da non incoraggiare. A indicare questo orientamento è la stessa presidenza della Conferenza episcopale italiana in un documento emanato la scorsa primavera, ma rimasto un po’ in sordina anche per la coincidenza con il gran rumore del referendum sulla procreazione assistita, cha ha distolto l’opinione pubblica da ogni altra attenzione.

Non è la prima volta che nell’ambito cattolico viene attirata l’attenzione su questo argomento. Ma ora il problema è diventato più urgente a causa del numero crescente di musulmani presenti nel nostro paese e l’aumentata frequenza con cui si contraggono matrimoni del genere.1 A sconsigliare questi matrimoni non sono tanto le implicazioni giuridiche che ne derivano, dovute all’impedimento dirimente della cosiddetta “disparità di culto” (disparitas cultus) per la quale occorre una dispensa, pena l’invalidità stessa del matrimonio, quanto piuttosto l’esperienza di questi ultimi anni secondo cui gran parte di questi matrimoni sono andati incontro al fallimento.

Ma non è solo per questo. Ci sono delle ragioni più profonde, da cui poi sono derivati gli stessi fallimenti. Nella presentazione del documento che reca il titolo I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia. Indicazioni della presidenza della Conferenza episcopale italiana, datato il 25 aprile 2005, festa di santa Caterina da Siena, il card. Camillo Ruini scrive che «se talvolta è dato di incontrare coppie cristiano-musulmane di profondo spessore umano e spirituale, capaci di amalgamare specificità di differenze senza abdicare alla propria identità, non accade così nella maggioranza dei casi, non solo per i rilevanti condizionamenti sociali e culturali, ma soprattutto a causa di un’antropologia culturale e religiosa profondamente diversa che le persone, talora, inconsapevolmente, portano con sé».

In effetti «la fragilità intrinseca di tali unioni, i delicati problemi concernenti l’esercizio adulto e responsabile della propria fede cattolica da parte del coniuge battezzato e l’educazione religiosa dei figli, nonché la diversa concezione dell’istituto matrimoniale, dei diritti e doveri reciproci dei coniugi, della patria potestà e degli aspetti patrimoniali ed ereditari, la differente visione del ruolo della donna, le interferenze dell’ambiente familiare d’origine, costituiscono elementi che non possono essere sottovalutati né tanto meno ignorati, dal momento che potrebbero suscitare gravi crisi nella coppia, fino a condurla a fratture irreparabili».

Queste difficoltà si aggravano se in un domani la coppia intende trasferirsi in un paese musulmano, poiché allora vengono meno molte garanzie a tutela del matrimonio, presenti qui in Italia o comunque in occidente.

 

DUE VISIONI

CONTRASTANTI

 

A rendere problematiche queste unioni è la profonda diversità di visione dello stesso matrimonio. Mentre per i cristiani si tratta di una istituzione sacra voluta d Dio, basata sull’unità e la complementarietà dell’uomo e della donna e convalidata da un sacramento, per i musulmani è un contratto bilaterale privato, senza alcuna dignità sacramentale, per la cui validità non è necessaria una celebrazione pubblica. Ne deriva quindi tutta una serie di conseguenze che sottolineano quanto lontane siano le due concezioni.

Il documento della Cei le descrive abbastanza dettagliatamente. Anzitutto per quanto riguarda la famiglia che nasce dal matrimonio, i doveri e i ruoli. Nell’islam, la famiglia è patriarcale ed è sottoposta all’autorità del marito. È lui il perno della vita familiare. E questa superiorità maschile si manifesta anche negli atti sociali, come nel rendere testimonianza o nella divisione dell’eredità.

Anche la tutela dei figli spetta al padre che decide e controlla la loro educazione, in particolare che siano educati nell’islam.

Il Corano prevede anche il ripudio che è un atto unilaterale del marito, che rompe in contratto matrimoniale. Il diritto musulmano spiega che essendo il matrimonio un contratto bilaterale privato, può essere sciolto privatamente. Il marito ha il diritto, unilaterale e assoluto, di pronunciare il ripudio, mentre la donna può chiederlo al giudice in alcuni casi determinati, ma dietro pagamento di un compenso al marito consenziente. Ci sono tuttavia alcuni stati, come la Tunisia e la Turchia, che proibiscono il ripudio oppure lo sottopongono al controllo giudiziario.

Nel Corano, inoltre, è prevista la poligamia fino a quattro mogli e a tutte le concubine desiderate. Nei loro riguardi è richiesta l’equità di trattamento da parte del marito. Nel diritto e nella tradizione, tuttavia, la poligamia pur essendo lecita, soprattutto per motivi economici oggi è in regresso.

Spetta al padre provvedere al mantenimento educativo dei figli e la madre li educa in nome della religione del padre. I figli devono obbedienza, riconoscenza e rispetto ai genitori e ricevono dal padre il consenso o il diniego al loro progetto di vita e di matrimonio.

Per quanto riguarda alcuni aspetti inerenti all’etica della sessualità e della vita fisica, nell’islam la fornicazione e l’adulterio sono ritenuti peccati particolarmente gravi. È concesso tuttavia ogni tipo di contraccezione, mentre l’aborto è condannato anche se è considerato una forma minore di infanticidio. È tuttavia ammesso l’aborto del “feto malformato”…

 

OCCORRE UN’ATTENTA

VERIFICA E PREPARAZIONE

 

Nella sua preoccupazione pastorale, il documento della CEI fornisce tutta una serie di indicazioni per un itinerario di verifica e di preparazione a questi matrimoni. Non ci si può accontentare di un’attenzione burocratica e sbrigativa. È opportuno che la parte cattolica sia ascoltata in un primo tempo da sola. Anche alla parte musulmana, se lo desidera, dovrà essere riconosciuta la possibilità di incontrare separatamente il sacerdote.

Naturalmente è auspicabile che questi abbia una certa conoscenza dell’islam, e, nel caso, possa anche rivolgersi a un esperto che è auspicabile sia presente in ogni vicariato e almeno a livello diocesano.

Punto di partenza deve essere la verifica delle motivazioni per cui si vuole contrarre il matrimonio; non devono essere certamente quelle di ottenere il permesso di lavoro, l’asilo politico o altri vantaggi del genere. In questa fase del primo approccio, suggerisce il documento della Cei, si potrebbe chiedere ai fidanzati come si sono conosciuti; come e dove si è manifestato il loro amore, che cosa c’è in comune tra loro e che cosa si attendono dal matrimonio.

Al fine poi di accrescere nei fidanzati la consapevolezza circa le loro intenzioni, è convenente rivolgere loro anche altre domande – che nel documento sono piuttosto particolareggiate – circa la religione, la cultura, la famiglia di appartenenza, la famiglia futura, i figli, le garanzie giuridiche e la stessa celebrazione del matrimonio.

Una volta conclusa la preparazione, la coppia dovrà essere aiutata a chiarire tutti i risvolti insiti nella scelta di celebrare il matrimonio in forma religiosa. Secondo quanto stabilisce il Rito del matrimonio riguardo alla forma canonica e la celebrazione liturgica, il consenso deve essere manifestato di fronte al parroco o a un suo delegato in presenza di due testimoni, nel corso di una liturgia della Parola, escludendo ogni celebrazione eucaristica. In ogni caso, non dovrà avere luogo un’altra celebrazione delle nozze con rito islamico.

Ma, avverte il documento della Cei, il sostegno pastorale offerto alla coppia non può limitarsi al periodo di preparazione al matrimonio: deve riguardare lo svolgersi della vita familiare, soprattutto in riferimento ai contrasti che potranno sorgere. C’è da chiedersi se il marito musulmano consentirà davvero alla moglie cattolica di frequentare la chiesa, di assumere parte attiva nella parrocchia, di ricevere a casa il sacerdote per una visita di carattere pastorale? Quali forme concrete assumerà l’educazione religiosa dei figli?

Giustamente si fa osservare che i problemi si pongono in maniera diversa a seconda se i coniugi intendano stabilirsi in Europa o trasferirsi in un paese musulmano. Se rimangono in Europa, è la parte musulmana – di solito l’uomo – che ha più stimoli ad adattarsi.

Se invece avviene il trasferimento in un paese musulmano, la parte cattolica – nella stragrande maggioranza dei casi, la donna – dovrà probabilmente affrontare notevoli difficoltà riguardanti, per esempio, l’educazione dei figli e l’autorità su di loro, il rapporto con la famiglia del marito, la soggezione al diritto di ripudio unilaterale da parte del marito, l’accettazione sociale della poligamia, ecc.

Fra l’altro, non deve essere sottovalutato il reale disagio che vivrà nello sforzo di integrazione nell’ambiente. In questi casi, sottolinea il documento Cei, è importante il ruolo che potranno svolgere le comunità cattoliche locali, per cui la persona andrebbe aiutata fornendole anticipatamente riferimento in loco.

Molto importante e delicata, sottolinea ancora il documento, è l’educazione dei figli. I coniugi dovrebbero sforzarsi di educarli nel rispetto della religione di entrambi, insistendo sui valori comuni. Ma con altrettanta chiarezza dovrebbero formare i figli alla valutazione critica delle differenze sul piano della fede, che sono notevoli, e su quello dell’etica, in quanto concerne la pari dignità fra uomo e donna, la libertà religiosa e l’integrazione. Uno dei pericoli per queste famiglie, infatti, è di scivolare in una sorta di indifferentismo religioso, allo scopo di evitare eccessive tensioni.

Tutti questi fattori, messi insieme, dovranno poi essere tenuti presenti nel concedere la dispensa dall’impedimento invalidante della disparità di culto. Spetta all’ordinario concedere questa dispensa, quando sussista una giusta e ragionevole causa e dopo aver verificato l’esistenza di alcuni requisiti. Anzitutto per quanto riguarda la parte cattolica che deve dichiarare di essere pronta a evitare il pericolo di abbandonare propria fede e di promettere di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella fede cattolica. Condizione questa difficile da mantenere perché i musulmani osservanti ritengono di avere l’obbligo di educare i figli maschi nella propria religione.

Molto opportunamente perciò il documento della CEI invita a non accontentarsi di assicurazioni generiche, ma a verificare le disposizioni in merito della parte musulmana. Questa da parte sua deve essere informata degli impegni che la parte cattolica è tenuta ad assumere e ciò deve constare negli atti.

Ciò vale anche per quanto riguarda i fini del matrimonio – il bene dei coniugi e la generazione ed educazione di figli – e le proprietà essenziali – ossia la sua unità e indissolubilità, che non possono essere esclusi da nessuno dei due. In effetti, l’esclusione anche di uno solo di questi elementi da parte di uno dei contraenti, rende invalido il matrimonio.

Un’attenzione particolare deve essere dedicata anche al bene della fedeltà coniugale che può, essere seriamente minacciato dalla diversa comprensione di questo valore. Infatti la concezione culturale e antropologica propria del mondo musulmano non mette sullo stesso piano l’uomo e la donna: la fedeltà coniugale è intesa come un diritto dell’uomo verso la donna, ed esigibile in senso stretto solo da lui.

 

PERICOLO

DI APOSTASIA

 

Se la coppia intende stabilirsi in un paese islamico, osserva il documento della Cei, è oggettivamente assai improbabile che, al di là della soggettiva buona volontà, la parte cattolica possa adempiere gli impegni assunti. In questo caso pertanto non è conveniente che l’ordinario conceda la dispensa. A tutela della moglie cattolica si potrebbe allora tollerare la celebrazione del matrimonio civile in Italia, anche nei casi in cui esso non venga riconosciuto dallo stato del coniuge e non possa tutelare adeguatamente la posizione della donna, essendo colà ammessa la poligamia. In tali paesi i figli non potranno che essere musulmani e, se battezzati, dovrebbero apostatare dalla fede cristiana.

Un altro rischio da cui la parte cattolica deve guardarsi concerne la gravità delle conseguenze derivanti da un’eventuale emissione di fede islamica, che configurerebbe una vera e propria apostasia.

Una serie di problematiche particolari sorge nel caso in cui sia un uomo cattolico a voler sposare una donna musulmana: tale unione è severamente vietate dalla legge coranica secondo cui il maschio musulmano può sposare una “donna del Libro”, mentre una musulmana non può sposare un “politeista”, ossia un cristiano o un ebreo. In certi paesi islamici spesso l’autorizzazione civile alla celebrazione presuppone l’emissione della cosiddetta shahâda2 da parte del contraente non musulmano – nel caso nostro, un cattolico – ossia della professione di fede musulmana. Chi emette tale professione deve essere avvertito che non si tratta di una semplice formalità burocratica, ma di un vero e proprio abbandono formale della fede cattolica.

Questo insieme di elementi – che nel documento sono spiegate ancor più dettagliatamente – spiegano la ragione per cui il matrimonio tra cattolici e musulmani sia da sconsigliare o perlomeno da non incoraggiare. La Cei ha fatto bene a ricordarlo.

 

A.D.

 

1 Secondo uno studio pubblicato da “Civiltà Cattolica”, in Italia un terzo degli immigrati (pari al 32,4%) è di religione musulmana. Nel 1992, su un totale di 321.348 matrimoni, i matrimoni misti erano stati 8.600 (di cui 2.266 religiosi e 6.298 civili). Nel 1997, il numero totale dei matrimoni diminuisce (277mila, circa), ma aumenta il numero dei matrimoni misti che passano a 10.914. Dal 1992 al 1997, si passa pertanto dal 2,8% dei matrimoni misti al 3,9%. Secondo i dati Istat, nel 2005 i matrimoni misti sono stati oltre 19mila.

2 Questa professione di fede consiste nella formula: “Non c’è divinità all’infuori di Allâh e Maometto è l’inviato di Dio”.