RIVIVERE
GLI EVENTI FONDANTI
ALLE
ORIGINI DEL DONO
Una
congregazione religiosa rilegge il significato del proprio carisma nella prima
ispirazione del fondatore. Importanza di tenere viva la grazia dei “primi
tempi” per riattualizzarla oggi creativamente.
È
noto che tra le prime prove di scrittura femminile dal Rinascimento in poi emergono
quelle custodite negli archivi dei monasteri femminili. E che tra i generi
letterari “profani”, ossia non di spiritualità o di devozione, nei quali le
monache si esercitavano è documentato quello della cronaca nella forma anche
del diario, inteso a custodire e trasmettere la memoria collettiva della
comunità riguardo alle sue origini e alla sua storia successiva.
All’inizio
erano le poche monache più colte a rendere spontaneamente tale servizio, ma nei
secoli dopo il Cinquecento, con il diffondersi più o meno rapido
dell’alfabetizzazione anche tra le donne, la maggior parte delle professe era
in grado di esercitare l’ufficio di scrivana. E si trattava di un compito al
quale si annetteva notevole importanza, se già s. Carlo Borromeo aveva
prescritto, in applicazione di quanto deciso dal concilio di Trento, l’elezione
di una scrivana in ogni monastero femminile, precisandone anche le mansioni
concrete e la durata dell’incarico.
Non
sappiamo fino a qual punto l’usanza anche nelle comunità non monastiche di
tenere un libro delle cronache interne sia da ritenersi un’estensione di quanto
allora stabilito per i monasteri; né sappiamo se attualmente siano tante o
poche le comunità religiose nelle quali tale genere letterario resista,
aggiornato e custodito nelle pagine di un’agenda o nei labirinti di un
computer.
Ma
ne abbiamo trovato una simpatica traccia sul n. 1/2005 del trimestrale Essere
annuncio, delle Suore missionarie dell’Immacolata Regina della Pace (IRP), in
un articolo della superiora generale sr. Azia Ciairano, la quale ricorda alle
comunità che nell’archivio della loro Casa madre esiste quale «documento molto
prezioso il Diario di Istituto», nelle cui pagine «le Sorelle incaricate» hanno
scritto la storia della loro famiglia religiosa «dall’8 maggio 1919, quando le
prime sei giovani sono arrivate a Mortara, sino a oggi». E formula l’auspicio
che «la tradizione dei diari dell’istituto e delle comunità locali sia
conservata con amore e continui a trovare, nel tempo, “penne felici” che
annotino, con attenzione scrupolosa ma anche con vivo senso di partecipazione,
i fatti quotidiani e le “avventure” delle nostre piccole famiglie come gli
eventi che segnano la storia dell’istituto».
UNA
MISSIONE
ITINERANTE?
Una
«penna felicissima, e proprio una penna col pennino!» – prosegue sr. Azia – è
stata quella della prima redattrice di quel Diario di istituto, suor Costanza
Gregotti; la quale lo ha tenuto per oltre quarant’anni, lavorandovi su «molti
quaderni, tutti uguali, foderati con quel tipo di carta resistente
dall’inconfondibile colore blu carta da zucchero...». Una serie di quaderni dai
quali si sprigiona il senso vivo di quella grazia che è tipica dello “stato
nascente” di un’esperienza destinata a configurarsi in una forma di vita
consacrata animata propriamente da uno specifico carisma.
«Apriamo
il diario al 21 gennaio 1939: si celebra in Casa madre il ventennio della prima
vestizione, celebrata in forma strettamente privata, verso sera, nel santuario
dell’Immacolata in Vigevano. Segna l’inizio del Noviziato e di un impegno che
continua nel tempo». Ed ecco dopo l’eucaristia le cinque novizie farsi attorno
al fondatore, il sacerdote Francesco Pianzola (1881-1943), e con semplicità
chiedergli ancora una parola, un ricordo che potesse riportare ai primi passi
del loro istituto, anzi alla prima ispirazione.
E
il fondatore le accontenta, mentre sr. Costanza registra per trascrivere poi
fedelmente le sue parole: «Io pensavo di raccogliere un gruppetto di giovani
volenterose che arginassero il male e l’opera scristianizzatrice che dilagava
in Lomellina. Esse avrebbero dovuto aprire in Mortara un negozietto di mercerie
per procurarsi più facilmente contatti col popolo. Per lo stesso motivo si
sarebbero fatte venditrici ambulanti e girando di paese in paese e nei cascinali,
senza scopo di lucro, avrebbero portato la Buona Novella, lucrando le anime».
DONNE
PER
LE DONNE
Immaginiamo
la fresca risata delle novizie all’idea di andare in giro con un carrettino...
Ma che altro poteva inventare, un padre spirituale di un gruppetto di ragazze
evidentemente capaci di portare il Vangelo tra la gente con mezzi all’epoca non
molto strani, e soprattutto garanzia di rispettosa discrezione nel far passare
la Parola che salva?
Spontaneo
è infatti l’appropriato commento di sr. Azia a quel testo «che comunica tutta
la freschezza e la creatività del “sogno” iniziale del padre fondatore».
La
finalità – scrive - «è chiara sin dalle origini: arginare il male e l’opera di
scristianizzazione, portare la buona novella lucrando le anime.
Nell’introduzione al Regolamento interno il padre ricorderà che “il crescere
impressionante della gioventù abbandonata a se stessa, tante anime derelitte
senza il pane della buona novella, e le arti di Satana per rovinare nella fede
e nella morale tante povere fanciulle hanno imposto la nostra congregazione”
(Reg. int 1.)».1
Notiamo
subito quanto sia “parlante” quel verbo imporre: all’origine di molti istituti
religiosi, nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento, si trova sempre un
imperativo che nell’animo sensibile di persone come don Pianzola e come tanti
altri fondatori e fondatrici inventa a esigenze estreme risposte inedite
riguardo all’educazione della gioventù. Del resto le missionarie sapevano che
già egli pubblicava libri sui problemi sociali del tempo e proprio nel 1919
aveva fondato il giornale La Risaiola per le Mondine, le lavoratrici che fino a
tutta la metà del 1900 le Missionarie IRP accoglievano provenienti da luoghi
diversi per il lavoro stagionale nelle risaie di quella vasta regione.
Ma
leggiamo ancora: «Decisamente originale e innovativo il metodo e la scelta dei
luoghi: aprire a Mortara (PV) una merceria, farsi venditrici ambulanti nei
paesi e nei cascinali. Donne tra le donne, donne che si prendono cura di altre
donne, giovani donne che creano rapporti, che comunicano con il gesto della
fraternità e con la parola semplice ma evocativa di Vangelo. Non avevano
promesso le prime novizie di “salvare le giovani con le giovani”?».
Evidente,
inoltre, si riscontra «l’opzione preferenziale: il popolo, la gente più umile,
specialmente le donne delle campagne. Non si penserebbe ad aprire una merceria
e a farsi venditrici di bottoni, nastri, elastico... se non ci fosse la
preoccupazione di accostare e incontrare soprattutto le donne. E attraverso
loro “procurarsi più facilmente contatti con il popolo”».
Tutta
“pianzolina” – aggiunge in base alla conoscenza profonda della personalità del
fondatore – è poi «la doppia scelta: il negozietto e... il carretto ambulante.
Il luogo, che richiama, accoglie, aggrega perché offre ciò che stai cercando,
quello che ti interessa. E l’itineranza per raggiungere quelli che non
entreranno mai nel negozio! Pur di esprimere con i gesti concreti, con i fatti
prima che con le parole, quella prossimità che apre i cuori all’incontro e
all’ascolto. Anche della buona novella!».
Realmente
le pagine di diario scritte da sr. Costanza «hanno il sapore dei fioretti, che
raccontano le esperienze di vita e di missione del padre fondatore e di tante
sorelle e comunità. Hanno il gusto forte delle cose vere, registrate con lo
scrupolo della cronista che annota quotidianamente i fatti ma che, nello stesso
tempo, si coinvolge, cerca di capire e interpretare per consegnare non solo
degli “spezzoni” di vita d’istituto, ma la storia di una famiglia che vuol
crescere alla scuola di un fondatore colmo dei doni dello Spirito».
QUALE
“NEGOZIETTO”
PER
OGGI?
Il
carisma – commenta ancora la superiora generale – «non è un feticcio né un
pezzo da museo» che debba essere custodito e ammirato in gelide bacheche, «ma
un dono dello Spirito da accogliere e trafficare, da tuffare nel solco vivo
delle chiese, dei popoli, delle storie umili e grandi della gente, per
ritrovarlo sempre più vivo e nuovo e per condividerlo con tutti», in Italia
come in Brasile e in Africa dove le missionarie IRP sono pure presenti.
Occorre
pertanto qualcosa di più che rigustare il sapore genuino del suo primo apparire
sotto il cielo, tra le mani di un uomo e di alcune giovani segnati/e da una
vocazione particolare: «Un carisma come una spiritualità possono essere
comunicati e apprezzati soltanto nella misura in cui diventano vita vissuta,
gesto concreto, relazione fraterna» e si distendono lungo una storia di Vangelo
vivo, iniziata con l’intuizione di un “negozietto” nel pensiero non di uno
sprovveduto sognatore ma di un vero uomo di Dio. Perché tale è stato Francesco
Pianzola, nella cui vita sr. Costanza la cronista «non si sarebbe mai convinta
dell’esistenza di qualche “ombra”. Ma non perché fosse ingenua o, peggio
ancora, fanatica; era troppo intelligente e lucida per cadere in tale trappola:
era piuttosto consapevole del dono di Dio, di cui il padre fondatore era stato
strumento vivo, e sentiva la responsabilità di consegnarlo arricchito dalla
parola e dalla vita stessa del padre ma anche incarnato nelle piccole
quotidiane vicende delle nostre Sorelle e comunità».
Per
questo sr. Costanza – aggiunge sr. Azia – oltre al diario ha scritto,
unitamente alla storia dell’istituto e delle case filiali aperte da lui, anche
le prime biografie del fondatore, riscuotendo oggi riconoscimento e comune
gratitudine per un lavoro, quale ad esempio nel diario, di grande «fedeltà ai
fatti: non si tratta di un diario personale, ma di un documento ufficiale,
addirittura “vistato” dal padre».
Ma
a questo punto – conclude – ci si potrebbe anche domandare quale portata abbia
il ricordo della prima intuizione del fondatore nel confronto «con la storia
vera vissuta dalla nostra famiglia religiosa nel tempo. Neppure l’ombra di una
merceria e di venditrici ambulanti! Eppure rileggere oggi questa pagina ci
impegna a guardarci attorno, là dove oggi più di ieri il male dilaga e tanti,
tutti chiedono parole e gesti di speranza e di guarigione. Che cosa inventare
oggi, noi Sorelle missionarie, per una fedeltà dinamica al carisma?». E la
risposta che suggerisce alle sue Missionarie IRP è quella che si trova
nell’esortazione apostolica Vita consecrata, dove viene richiamato «il compito
esigente di continuare a scrivere pagine sempre nuove nel diario di famiglia:
“Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una
grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi
proietta per fare ancora con voi cose grandi”. E chissà che, guardando insieme
al futuro, complice lo Spirito, non rispunti l’idea di un negozietto...».
Zelia Pani
1 Cf. WEAVER E.B., Le muse in convento, in AA.VV., Donne e fede, Laterza, Bari 1994.