SPUNTI
DALLA RECENTE ISTRUZIONE VATICANA
MATURITA’
AFFETTIVO-SESSUALE
In molti
ambienti la formazione affettivo-sessuale è praticamente assente: relegata
spesso all’ultimo momento, prima della professione perpetua, oppure è tutta
“spirituale” e solo difensiva o povera perché non tratta temi centrali. La
sensazione è che nelle comunità formative permanga un certo disagio e un’idea
ambigua su sesso e dintorni.
La
recente Istruzione vaticana sui criteri per il discernimento vocazionale di
persone con tendenze omosessuali ha attirato l’attenzione generale per
l’attualità del tema e la drammaticità di alcune vicende a esso collegate in
ambito ecclesiale.
In
questo articolo, comunque, non vorremmo analizzare direttamente la complessa
problematica omosessuale, ma alcune premesse che riguardano il tema più ampio
della maturità affettivo-sessuale e della formazione a essa.
Abbiamo
infatti l’impressione che molti aspetti critici di quella problematica siano
legati a un certo modo di concepire il cammino educativo, specie nell’ambito
affettivo-sessuale.
UN
CERTO
DISAGIO…
Anzitutto
chiediamoci: quale idea c’è nelle nostre comunità formative circa l’affettività
e la sessualità? La sensazione è che ci sia un certo disagio, e che ancora
permanga un’idea ambigua su sesso e dintorni, come fosse opera di Beelzebul, o
rappresentasse qualcosa di immondo e meno pulito, o di puramente istintivo e
solo da tener sotto controllo, ambito di tentazioni e lotte, d’affanni e
scrupoli…, o qualcosa di “delicato”, da affidare solo all’orecchio castissimo
del confessore, o di problematico, da analizzare con il tecnico della psiche.
È
chiaro che la concezione del formatore, esplicita o meno, è destinata a
influenzare non solo lo stile formativo, ma la stessa idea che il giovane si
farà della cosa, con conseguenze sul vissuto.
E
allora diciamo che è fondamentale un’idea positiva della sessualità, dono
divino e cosa bella e buona; poiché è energia di relazione, esprime la capacità
dell’uomo d’entrare in contatto con l’altro-da-sé, con il diverso, col quale
generare vita; e va benedetta la sessualità poiché in essa è inscritto
misteriosamente il senso della vita umana, dono ricevuto che tende a divenire
bene donato, e ancor più misteriosamente può scoccare in essa una scintilla
pasquale, come dicevano i Padri e hanno sperimentato i mistici, quale stimolo a
trascendersi per celebrare con Dio l’estasi dell’amore.
Un
formatore che non sa benedire la sessualità non sa dir nulla dell’amore di Dio!
MA
SI FA FORMAZIONE
AFFETTIVO-SESSUALE?
Oggi
non viviamo più i tempi del tabù sessuale; la sessualità ci viene propinata in
tutti i modi e le salse dai mass-media, non è più oggetto misterioso da tener
pudicamente nascosto; sappiamo tutto al riguardo. E proprio questo cambio di
clima culturale può ingenerare la pretesa o la supposizione di non aver nulla
da dire, da insegnare o imparare in materia di sessualità. Dando in pratica per
scontata la maturità affettivo-sessuale dei nostri giovani.
Oppure,
più semplicemente, senza tanti meccanismi difensivi, vi sono formatori che non
si sentono in grado di affrontare l’argomento, o lo delegano ad altri (dal
confessore allo psicologo) o …alla Grazia, o attendono che sia il giovane
stesso a tirarlo fuori (e alcuni non lo tireranno fuori mai), o confondono la
maturità affettivo-sessuale con l’assenza di disturbi e problemi (come
l’omosessualità, appunto) o s’accontentano di osservare il versante esteriore
della persona, illudendosi che vada tutto bene perché …il tipo è “sereno”, o
ritengono che, suvvia, vi sono cose ben più importanti del sesso nel cammino
formativo!
Sta
di fatto che in molti ambienti tale formazione è praticamente assente: o
relegata all’ultimo momento, prima della professione perpetua, o tutta
“spirituale” e incapace di toccare la radice delle difficoltà del soggetto e
affrontare la reale problematica, o è una formazione solo difensiva (come
resistere alle tentazioni) e non costruttiva (d’una personalità capace di amare
col cuore di Dio), o povera perché non tratta temi centrali (la libertà
affettiva, lo stile relazionale del vergine ecc.), o perché è lasciata
praticamente in mano al giovane, che s’arrangia come può, magari con qualche
supporto telematico (dovrò pure informarmi!).
Quante
crisi successive rimandano alla povertà dei cammini formativi precedenti!
FASI
PEDAGOGICHE
Anche
per l’area che stiamo considerando, e forse ancor più per essa, il cammino di
crescita dovrebbe procedere secondo le tre tappe classiche: educare, formare,
trasformare. Senza confusioni o anticipazioni, ma provvedendo a dare lo stimolo
giusto a ogni fase del percorso, specie nel momento iniziale.
Educare
Educare
in materia affettivo-sessuale significa aiutare il giovane a capire anzitutto
che ha tutto l’interesse a tirar fuori (=e-ducere) la verità di sé al riguardo,
a riconoscere la propria vulnerabilità affettivo-sessuale, a convincersi che
“chi dice di non aver problemi in quest’area è lui un problema”. È un faticoso
descensus ad inferos, che non implica solo l’esame psicologico delle proprie
inconsistenze, ma l’esperienza spirituale del viverle dinanzi a Dio,
nell’esperienza salutare dell’impotenza che purifica dal narcisismo e insegna a
pregare, nell’apprendimento d’un metodo intelligente di attenzione a sé e al
proprio cuore, di lettura del proprio corpo e delle sue emozioni, che poi
accompagnerà il giovane per tutta la vita, consentendogli di conoscersi sempre
meglio e prevenire, magari, qualche crisi affettiva.
Formare
Formare
in tale campo vuol dire proporre la forma d’una vita vergine, forma che non può
che essere il Signore Gesù e i suoi sentimenti. Esser vergine è donare come lui
il proprio corpo per la salvezza: è vivere la propria verginità come sessualità
pasquale, lasciando che la croce la giudichi, purifichi, orienti, liberi…; è
vivere la verginità come ferita pasquale che esalta la verità del corpo umano,
il quale è vero, non mente, quando esiste nella forma del dono.
Da
questa forma deriva una norma (ed è importante farla derivare se non si vuole
che la forma resti teorica e astratta), norma a sua volta sempre ispirata alla
forma (per non rischiare il formalismo un po’ ipocrita), e intesa come stile di
vita, o come ciò che regola la vita relazionale del vergine. Il quale è
chiamato a vivere molte relazioni, certo, ma con una modalità peculiare, che
manifesti il suo appartenere totale a Dio e assieme la sua capacità di rapporto
umano libero e liberante. Per questo il giovane dovrà imparare, ad es, lo stile
di chi vive l’amicizia e la relazione, ma senza porsi mai al centro d’essa, né
porre alcuno/a al centro della sua vita, perché il centro appartiene a Dio, e
lui ha scelto la verginità proprio per testimoniare tale centralità. E ancora,
il giovane va formato all’arte dello sfiorare l’altro, senza penetrare né
possedere: arte finissima, che s’apprende solo «con un lungo e faticoso
controllo e affinamento dello spirito e della psiche, dei sensi e degli
atteggiamenti, rispettando lo spazio dell’altro, anche quello fisico, perché,
ecco il principio formale, non è il corpo il luogo né il motivo dell’incontro
nella relazione verginale, ma Dio, la ricerca del suo volto e del suo amore».1
È il linguaggio della delicatezza, che è tutt’altro che rigidità scrupolosa né
nasce dalla paura di contaminarsi, ma svela la coerenza d’una scelta vitale e
soprattutto trasmette la certezza che Dio è il vero e unico punto d’incontro di
due esseri, sempre.
Sono
solo alcuni tratti dello stile relazionale verginale. È indispensabile che la
formazione sia precisa nell’indicare al giovane questo stile tipico del
vergine, senz’alcuna pretesa di dettare un “manuale di condotta verginale”, ma
con l’intento di mostrare la necessaria corrispondenza tra forma e norma, tra
principio ispiratore e attuazione concreta. Sarebbe grave omissione non farlo,
come purtroppo spesso accade.
Trasformare
Scopo
della formazione affettivo-sessuale dell’aspirante alla verginità è amare col
cuore di Cristo, con la sua libertà e intensità d’affetto, ovvero la
trasformazione del cuore. Non la mortificazione della capacità affettiva, né la
rinuncia fine a se stessa e neppure il superamento delle prove e tentazioni nel
settore. Ci si consacra nella verginità per amare di più, non per difendersi
dai rischi dell’amore.
Immagine
da proporre nella formazione come ideale della verginità, allora, non è il tipo
tecnicamente casto, serioso e freddino, ma un Francesco che bacia il lebbroso,
o Teresa di Calcutta che abbraccia il moribondo, ovvero consacrati dal cuore
trasformato, che non amano più coi criteri dell’amore umano,
elettivo-selettivo, o secondo la logica e il linguaggio dell’attrazione
istintiva ed egoista, ma secondo tutt’altro criterio, molto più nobile e che
porta ad amare molto di più.
È
il criterio trasformante che viene dal coraggio d’aver detto di no al viso più
bello per esser liberi di voler bene a quello più brutto. Quel no ha avuto un
senso, perché finalizzato all’aumento della capacità affettiva, alla libertà
del cuore, affinché non ami solo in modo umano, ma alla maniera di Dio, che si
china su chi è solo e abbandonato, e ama specie chi è più tentato di non
sentirsi amabile. Il giovane deve capire che vale la pena, allora, scegliere
una rinuncia pur costosa, come quella verginale, per un obiettivo così grande,
per raccontare nel suo corpo la caritas dell’Eterno, e dimostrare che un cuore
di carne può vibrare della passione di Dio per l’uomo!
Mentre,
al contrario, nessun formatore ha il diritto di chiedere una rinuncia se non la
sa motivare positivamente, o se non sa al tempo stesso indicare lo spazio di
libertà che quella rinuncia apre al giovane. Davvero è il caso di chiederci:
quale capacità di trasformazione del cuore hanno i nostri percorsi formativi?
INDICAZIONI
DI
METODO
Solo
qualche spunto pratico, molto in generale.
Centralità
della dimensione affettivo-sessuale
Se
la sensazione è quella di una formazione piuttosto debole e a volte persino
inesistente,
occorre
intervenire sul modo di concepire la formazione alla maturità
affettivo-sessuale, riportandola al centro. D’altronde ce lo dice la psicologia
stessa: la dimensione sessuale è al centro della nostra geografia
intrapsichica, risente dei problemi sorti in tutte le altre aree della
personalità e influisce su di esse, è una specie di termometro della salute
generale psicologica e spirituale. Dice p. Scalia, «l’educazione affettiva
dovrebbe esser presa in considerazione forse più della stessa educazione
liturgica e teologica».2
Intervento
sul gruppo
È
cosa molto saggia, allora, proporre al gruppo, anzitutto, un insegnamento
sistematico sull’argomento, in cui evidenziare non solo l’aspetto spirituale e
teorico dell’opzione verginale, ma anche il lato problematico della risposta
della sessualità umana. Con questi scopi in particolare. Anzitutto far vedere
che ci sono delle leggi, c’è un ordo sexualitatis radicato nella natura umana,
un criterio oggettivo di crescita dell’affettività-sessualità, della libertà
affettiva, dello stile relazionale che ha la precedenza sul criterio
soggettivo. Secondo: mostrare che laddove c’è un autentico desiderio
d’autenticità necessariamente scattano resistenze e paure nel cuore umano. Il
giovane deve capire che non è strano tutto ciò, anzi è segno di vitalità e
genuinità interiore. Vale la pena, dunque, identificare queste rigidità.
Intervento
sul singolo
Dovrebbe
essere favorito e sollecitato dal precedente intervento sul gruppo. O
presentato come una di quelle leggi oggettive di sviluppo: nessuno può da solo
cogliere la verità di sé, né è sufficiente il gruppo in quanto tale. Occorre il
clima di privatezza e attenzione mirata del rapporto individuale, regolare e
relativamente frequente, segno d’amore e stima.
La
terapia della vita
Obiettivo
della formazione iniziale è render la persona capace di lasciarsi
educare-formare-trasformare dalla vita, o da Colui che attraverso essa vuole
plasmare in lui il cuore del Figlio. La vita, in realtà, offre numerose
occasioni in tal senso (esperienze di solitudine, di crisi affettive, di
problemi relazionali…), non occorre crearle ma neanche è il caso di fare un
dramma se capitano. Buon educatore non è tanto il consolatore, ma colui che
accompagna queste situazioni dosando con saggezza presenza e assenza. È
fondamentale che un giovane che sceglie d’esser celibe, ad es, sperimenti la
solitudine; è nella solitudine che si coglie una particolare presenza di Dio,
si avverte la sua carezza e si scopre di poter vivere solo di Lui. Non sarebbe
caritatevole ammettere ai voti chi non ha fatto tale esperienza.
Il
miglior formatore alla maturità affettivo-sessuale è quello che prepara il
giovane a lasciarsi formare dalla vita per tutta la vita.
Amedeo
Cencini
1
A.Cencini, Verginità e celibato oggi. Per una sessualità pasquale, Bologna
2005, p. 188.
2
F. Scalia, La freddezza non è mai stata una virtù, in Presbyteri, 7(2005)487.