SUOR MARIA BENEDETTA FREY

COME ORO FINO PROVATO NEL CROGIUOLO

 

La gente la chiamava la “monaca santa”. E da vera santa suor Maria Benedetta Frey, al secolo Ersilia Penelope, monaca cistercense, è vissuta e si è spenta la sera del 10 maggio 1913 nel monastero delle “Duchesse” a Viterbo, dopo 52 anni di infermità, immobilizzata su un letto di dolori. Nel suo testamento spirituale aveva scritto: «Nella lunga missione che il Signore mi ha affidato, sempre mirabile nelle sue disposizioni, ho cercato di fare del bene a tutti. Non badate al dolce purgatorio che ho sofferto in terra, è stato tanto breve, tanto alleggerito dalle vostre visite, tanto allietato dal vedervi partire, consolati dalla sponda del mio lettuccio; ho amato sempre tutti e dal cielo sempre vi amerò».

Benedetta era nata a Roma il 6 marzo 1836 da Luigi e Maria Giannotti e fu battezzata nella parrocchia di S. Andrea delle Fratte. Una fanciullezza come le altre la sua, divisa tra lo studio e l’hobby per la musica e il canto, talenti naturali che impiegò con frutto. Alla formazione culturale associava quella religiosa lasciando presagire segni di vocazione per la vita di clausura. Con tenacia difendeva la sua vocazione. Diceva alla mamma: «Il monastero che dovrà accogliermi non lo sceglierò qui a Roma, perché monaca di città è monaca a metà».

Si consigliò con il suo direttore spirituale, il camilliano p. Trambusti, che la indirizzò a Viterbo presso il monastero della Visitazione, detto della “Duchessa”dove prese l’abito monastico assumendo il nome di suor Maria Benedetta Frey.

Il 2 luglio 1858 si consacrò solennemente per tutta la vita nelle mani del cardinal Pianetti vescovo di Viterbo. Nel mese di novembre del 1861, all’età di 25 anni,  la “follia della croce” dolcemente e prepotentemente faceva irruzione nella sua vita. Fu colpita da paralisi in tutta la parte sinistra del corpo, con incidenza della spina dorsale. Negli atti del processo canonico è così descritto il suo quadro clinico: «Non poteva posare il capo sui guanciali a causa di dolori acuti, né poteva tenerlo eretto, perché gli ricadeva inerte sul petto con pericolo di soffocamento, perciò le si doveva sostenere la fronte con cordicelle e bende. A tutto questo si aggiunsero per via gli inevitabili malanni causati dalla lunga degenza a letto, piaghe da decubito, le bronchiti e le polmoniti».

Il male fisico era completato da quello morale per il fatto di non sentirsi più utile alla comunità. Raggiunse lo stato di completa uniformità al volere di Dio e di perfetta serenità di spirito, mezzi che le permisero di esercitare la pazienza, l’umiltà e l’obbedienza. Ripeteva spesso: «In tutto sia fatta la volontà santissima  di Dio, il quale tutto permette per il nostro bene spirituale». Aveva imparato a coabitare con la malattia per cui la si vedeva serena anche se sofferente, amabile e forte anche se debole e spossata dai mali. Non voleva rimanere inoperosa e con la sola mano libera,  aiutandosi con i denti, confezionava fiori artificiali e ricami. Diceva la contessa Tarquini: «Era tanto serena e preoccupata nell’alleviare i dolori degli altri che sembrava non soffrisse dei propri dolori». E san Giovanni Bosco: «Quella monaca malata di Viterbo si porti con pazienza la sua malattia, perché sarà un gran bene per l’anima sua e un gran vantaggio per la comunità e per le anime». Dove non arrivava con la parola, arrivava con lo scritto. Scriveva a persone di diversa estrazione sociale. Sono state raccolte circa 360 lettere.

Intanto la fama della monaca malata aveva varcato le porte del monastero fino ad arrivare in Italia e in Europa. Per interessamento del vescovo, il papa Pio IX concesse che venisse celebrata la santa messa  nella camera della serva di Dio. L’altare fu sistemato di fronte al letto con sopra la statua di Gesù bambino. In questa camera furono amministrati anche i sacramenti del battesimo e della cresima ed ebbe luogo persino una ordinazione sacerdotale conferita al camilliano p. Isaia Francucci il 5 dicembre 1909. Inoltre la prima comunione a molte fanciulle.

Suor Benedetta fu arricchita da Dio con i doni della preveggenza,  della guarigione, del discernimento degli spiriti. Il suo apostolato era diretto verso i peccatori, i miscredenti e le famiglie in crisi. Da lei si recavano personaggi illustri della Chiesa e della nobiltà, come il cardinal Marry del Val, La Fontaine, Nascimbeni, Bartolo Longo, mons. Bressan (segretario di Pio X), il beato don Orione con il quale nascerà una particolare e profonda amicizia.

Nella sua sofferenza, non si lamentava mai. Era anzi sempre di ottimo umore, rideva e confortava gli altri; era senza pretese e aveva premura di non scomodare le infermiere. Diceva: «Sento più al vivo le tribolazioni altrui che tutta la mia malattia e immobilità di tanti anni, perciò vorrei aver più mali e patire su me stessa che vedere loro sì tribolati».

Per il cinquantesimo anniversario della sua malattia, il  10 novembre 1911, Pio X con scritto autografo le fece pervenire il suo ringraziamento, la sua stima e benedizione. Due anni dopo il giubileo della malattia, il 10 maggio 1913 si chiudeva la sua vita terrena, all’età di 77 anni, dopo una lunga vita di dolore e di sofferenza. La salma rimase esposta per tre giorni e fu quindi tumulata nel cimitero di Viterbo. Il 10 dicembre 1927 il corpo della serva di Dio fu traslato dal cimitero comunale al monastero della Duchessa e deposto nella cappellina di Gesù bambino.

Col passare del tempo, la sua fama di santità è andata crescendo ed è stata più volte confermata da grazie e prodigi ottenuti per la sua intercessione. Il 27 dicembre 1959 fu aperto il processo ordinario informativo di canonizzazione presso la curia vescovile e si concluse il 3 novembre 1963. In attesa ora che la Chiesa si pronunci, per tanta gente suor Benedetta è già venerata e invocata come una “santa”.1

G. S.

 

 

1 Per maggiori informazioni rivolgersi al Monastero della Visitazione, via S. Pietro 30, 01100 - Viterbo; tel. 0761/340137; e-mail benedettafrey@virgilio.it