RILEGGENDO IL SINODO SULL’EUCARISTIA

FORMAZIONE E PARTECIPAZIONE ATTIVA

 

Non mancano nelle Propositiones elementi contrastanti e alcuni punti molto problematici per il modo di vivere l’Eucaristia nella Chiesa di oggi. Ma, l’aver cercato di coglierne le preoccupazioni principali può essere utile per una loro lettura globale anche nei punti più controversi e discutibili.

 

Nelle Propositiones uscite dalla XI Assemblea generale del sinodo dei vescovi, tenutasi a Roma dal 2 al 23 ottobre 2005 sul tema L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa, e ora consegnate al papa Benedetto XVI per la stesura della esortazione apostolica, i temi trattati sono molti e, come è normale per un testo di questo genere, non sempre esposti in modo organico. Il testo in fondo non vuole essere che la raccolta di tutti gli stimoli emersi nel corso delle discussioni sinodali da presentare al papa per una ulteriore rielaborazione. Non bisogna poi dimenticare che, insieme alle Propositiones mantengono un loro valore anche i Lineamenta, l’Instrumentum laboris, le due relazioni ante e post disceptationem del card. Angelo Scola e, infine, il Messaggio del Sinodo. Non si può pertanto leggere in modo isolato le Propositiones, occorre collocarle nel contesto più ampio dei lavori del sinodo dei vescovi testimoniato da tutti questi documenti.

Tenendo presente questa caratteristica delle 50 Propositiones, possiamo cercare di cogliere alcuni spunti che emergono dal loro complesso e che riguardano il tema ricorrente della partecipazione attiva alla celebrazione eucaristica e della formazione liturgica ad essa strettamente collegata. I punti delle Propositiones da richiamare sarebbero molti. Qui cercheremo unicamente di cogliere qualche aspetto che ci consenta un percorso trasversale attraverso di esse.

 

RIFORMA LITURGICA

DEL VATICANO II (Prop. 2)

 

Dopo una prima propositio sui testi consegnati al sommo pontefice (Prop. 1), l’elenco delle Propositiones si apre con un riferimento alla riforma liturgica del Vaticano II (Prop. 2). È un testo che si presenta con un tono programmatico in quanto molti temi che in esso vengono annunciati, sono poi sviluppati in altri punti del documento.

Innanzitutto il testo riconosce «il benefico influsso che la riforma liturgica attuata a partire dal concilio Vaticano II ha avuto per la vita della Chiesa». Questo “benefico influsso” della riforma liturgica viene poi descritto con due espressioni significative. La riforma conciliare avrebbe, secondo i vescovi, fatto emergere nella vita della Chiesa «la bellezza dell’azione eucaristica» e «lo splendore del rito liturgico». Pertanto il primo riconoscimento che i vescovi rivolgono alla riforma voluta e promossa dal Vaticano II riguarda l’aspetto della riforma dei riti nei loro testi e nei loro gesti. Una riforma appunto che ha potuto far meglio risplendere la bellezza e lo splendore della celebrazione liturgica e dell’azione eucaristica in particolare.

La medesima attenzione alla riforma del Vaticano II la troviamo anche nella Relativo post disceptationem del card. A. Scola (34). Nella Relatio il patriarca di Venezia ha sottolineato che «non pochi padri hanno ricordato con gratitudine il benefico influsso che la riforma liturgica, attuata a partire dal concilio Vaticano II, ha avuto per la vita della Chiesa». Nella Relatio troviamo inoltre un esplicito riferimento alla «ricchezza del Messale romano» uscito dalla riforma conciliare. Il fatto che i padri abbiamo «in particolare richiamato» questo aspetto non è di secondaria importanza.

Certamente il testo delle Propositiones non ignora «abusi che si sono verificati», tuttavia tali episodi, si afferma, «non possono oscurare la validità e la bontà della riforma».

Sempre in questa propositio introduttiva si afferma che la riforma «contiene ancora ricchezze non pienamente esplorate». In questo modo si invitano soprattutto i presbiteri, che presiedono le celebrazioni eucaristiche, e tutti i ministri, non solo a riconoscere e apprezzare il grande sforzo compiuto dal concilio e dalla riforma, ma anche a un profondo studio dei libri liturgici per poter valorizzare quelle risorse della riforma «ancora non pienamente esplorate». È una lettura molto interessante della attuazione della riforma, che di fatto riconosce come molte possibilità offerte per la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti dai nuovi libri liturgici non sempre siano conosciute e sfruttate in pieno da coloro che presiedono le celebrazioni, dai ministri e dalle comunità cristiane. Per questo il sinodo sente l’urgenza di invitare a una «maggior attenzione nei confronti dell’ars celebrandi». Questo invito, non è come certuni lo interpretano, una pignoleria da cerimonieri, infatti questa propositio  afferma che la finalità di una migliore ars celebrandi è strumento indispensabile per favorire l’actuosa participatio, la partecipazione attiva, di cui parla il concilio (Sacrosanctum Concilium, 14). Nella Relatio post disceptationem del card. A. Scola si afferma al n. 44 che «l’ars celebrandi implica una forte spiritualità eucaristica e una adeguata formazione teologico-liturgica. Non può essere ridotta al pur necessario rispetto delle rubriche liturgiche». I padri sinodali in questo modo affermano che una migliore celebrazione da parte di chi svolge il ministero della presidenza dell’azione eucaristica e da parte di tutta l’assemblea è strumento necessario per una partecipazione attiva di tutti all’Eucaristia. La celebrazione stessa è il luogo nel quale avviene quella formazione liturgica che permette l’actuosa participatio. Nella prop. 19 riguardante l’omelia il sinodo afferma che «la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia ben celebrata». Per questo motivo l’attenzione all’arte di celebrare occupa un posto centrale. Come vedremo, tutti i numerosi riferimenti alla partecipazione attiva presenti nelle Propositiones del sinodo potrebbero essere lette in questa prospettiva delineata nella prop. n. 2 che riguarda il legame tra actuosa participatio (cf. Prop. 30-37) e ars celebrandi (cf. Prop. 25-29), cioè il concreto modo di celebrare.

 

EVITARE

DUALISMI

 

Nella Relatio post disceptationem del card. A. Scola troviamo un interessante riferimento alla necessità di «superare dualismi» (cf. n. 4). Il card. Scola definisce questa indicazione introduttiva della sua Relatio come un «orientamento di fondo» emerso dagli interventi dei padri sinodali.

Ma a cosa si riferisce questa preoccupazione del sinodo? La necessità di «superare i dualismi» nella relazione del card. Scola si riferisce al «superamento di ogni dualismo tra dottrina e pastorale, tra teologia e liturgia». Non si tratta di una affermazione da poco, soprattutto se pensiamo che nel medesimo numero della Relatio si afferma che questa è stata una delle istanze principali che hanno segnato i lavori sinodali, tanto da costituirne un «orientamento di fondo».

La prima motivazione che nella Relatio post disceptationem giustifica la centralità di questa attenzione da parte del sinodo riguarda la natura stessa dell’oggetto di cui si sta parlando, l’Eucaristia. Essa infatti in quanto «azione liturgica (rito)» non può essere veramente conosciuta e vissuta in base a letture che partano da una separazione tra azione liturgica (rito), teologia e pastorale. Il superamento di ogni dualismo quindi «è la conseguenza del carattere di azione liturgica (rito) proprio dell’Eucaristia». È la natura rituale dell’Eucaristia a spingere verso un modello interpretativo che tenda a rigettare ogni sguardo parziale. In questa prospettiva pare che l’elemento unificante che ci permette di superare ogni dualismo sia proprio il rito.

In questa linea si supera il dualismo azione liturgica e teologia. Infatti «il cammino mistagogico non va dalla teologia alla liturgia, ma in senso inverso dalla liturgia ben celebrata alla intelligenza dei misteri». Il richiamo alla mistagogia è un tema molto presente sia nella Relatio che nelle Propositiones. A questo tema dovremo riservare a parte una trattazione più ampia.

Il secondo dualismo che la natura rituale dell’azione eucaristica porta a superare riguarda la dottrina e la pastorale. Infatti «non esiste una dottrina avulsa dalla vita»; né si può pensare alla concreta esistenza cristiana indipendentemente dal contenuto normativo della fede». Questo principio ha guidato le discussioni dell’aula sinodale, dove «gli aspetti dottrinali sono emersi… come radice di quelli pastorali». Ma anche questo secondo dualismo viene superato in riferimento alla natura rituale dell’Eucaristia dal momento che «l’intellectus fidei è sempre originariamente in rapporto con l’azione liturgica della Chiesa».

Questa preziosa indicazione di un «orientamento di fondo» che ha guidato i lavori del sinodo non viene esplicitamente ripresa – come invece accade per altre parti della Relatio post disceptationem del card. Scola – nelle Propositiones. Ad essa non viene dedicato un paragrafo come nella Relatio. Tuttavia la si può certamente ritrovare sottostante alla modalità in cui le Propositiones finali affrontano i vari argomenti riguardanti la celebrazione eucaristica. Ad esempio è evidente il riferimento a questo «orientamento di fondo» nella prop. 22, dove si parla della preghiera eucaristica e dell’epiclesi. In questo contesto infatti il sinodo afferma: «poiché la lex orandi esprime la lex credendi, è essenziale vivere e approfondire la fede nell’Eucaristia a partire dalla preghiera con cui la Chiesa da sempre la celebra, cioè la preghiera eucaristica». Nella direzione del superamento del dualismo dottrina e pastorale va anche la prop. 39 riguardante il rapporto tra spiritualità eucaristica e vita quotidiana. Qui si afferma che la spiritualità eucaristica «abbraccia la vita intera» del credente.

 

CATECHESI

MISTAGOGICA

 

Un ulteriore elemento che attraversa le Propositiones e che in qualche modo deriva dalle preoccupazioni di fondo emerse nel corso dei lavori del sinodo è l’invito ricorrente ad adottare un metodo mistagogico nell’accostare l’Eucaristia e nella catechesi liturgica. Già nel paragrafo Superare i dualismi (n. 4) della Relatio post disceptationem si era affermato che la natura di azione liturgica dell’Eucaristia richiedeva un approccio che partisse dal rito. In questa prospettiva si è ritenuto che il metodo mistagogico, testimoniato dalle catechesi dei padri della Chiesa, che «non va dalla teologia alla liturgia, ma in senso inverso dalla liturgia ben celebrata alla intelligenza dei misteri», possa essere un utile strumento per il recupero di una più autentica riflessione sull’Eucaristia e di una maggiore efficacia nell’azione pastorale e catechistica della Chiesa. Nella prop. 14 si afferma la necessità che «parrocchie e piccole comunità che ne fanno parte devono essere delle scuole di mistagogia eucaristica».

Ma a cosa si riferiscono concretamente i padri sinodali quando parlano di mistagogia e di itinerario mistagogico? Le Propositiones (cf. prop. 16), parlando del metodo mistagogico, propongono un vero e proprio itinerario che corrisponde grossomodo alle tappe seguite dai padri della Chiesa (Ambrogio, Cirillo, Agostino…) nelle loro omelie post-battesimali.1 È interessante che i padri sinodali sentano la necessità di indicare un tale percorso, segnalandone anche tappe ben precise. Le tre tappe che la prop. 16 propone sono: a) l’interpretazione dei riti alla luce degli eventi biblici in conformità alla tradizione della Chiesa; b) la valorizzazione dei segni sacramentali; c) il significato dei riti in vista del dell’impegno cristiano nella vita.

Come si vede il metodo mistagogico come viene descritto in questi tre punti parte dal rito per ritornare al rito, alla sua interpretazione e applicazione alla vita della comunità. Già questo elemento proprio del metodo mistagogico è in sintonia con l’affermazione dei padri sinodali che «la fede si esprime nel rito e il rito rafforza e fortifica la fede» (Prop. 16). Si parte dal rito concreto (a) che la Chiesa celebra e dal rito si risale – elemento centrale nelle catechesi mistagogiche dei padri – alla Scrittura, a quegli eventi della storia della salvezza che il rito nella sua concretezza evoca. Dopo essere risaliti alle Scritture e dopo aver indagato con attenzione i testi sacri, si ritorna al rito (b) che così viene interpretato «alla luce degli eventi biblici». In questo modo la Chiesa che celebra la liturgia si sente inserita nella storia della salvezza e interpreta l’evento liturgico che sta vivendo come storia della salvezza in atto. L’ultimo passaggio (c) consiste nel creare un legame tra il rito letto e interpretato alla luce delle Scritture e la vita dei credenti e delle comunità «in vista dell’impegno cristiano nella vita». In questo modo anche la dimensione morale della vita cristiana non viene letta in modo separato dal mistero di Cristo celebrato nella liturgia, ma come ad esso strettamente congiunta e da esso derivante.

In questa prospettiva mistagogica le Propositiones sinodali interpretano anche il valore dell’omelia (Prop. 19), la quale dovrebbe sempre essere una «vera mistagogia, ossia una vera iniziazione ai misteri celebrati». Riguardo all’omelia presentata in chiave mistagogica, pare presentare qualche problema la proposta presente nella prop. 19 riguardante la possibilità di omelie «tematiche». Nonostante la preoccupazione che questo si realizzi in conformità al cammino delineato dal lezionario triennale, un approccio tematico all’omelia che faccia riferimento alla struttura del Catechismo della Chiesa Cattolica e al Compendio, sembra poco corrispondente al carattere mistagogico dell’omelia e corre il rischio di veicolare una comprensione didattico-catechetica della liturgia della parola all’interno della celebrazione eucaristica, oltre a non rendere così chiaro il «legame intrinseco tra parola di Dio ed Eucaristia» (Prop. 18). Se è vero che la lex orandi esprime la lex credendi, dovranno sempre di preferenza essere il rito e il lezionario il punto di partenza dell’omelia. Ugualmente anche l’invito a considerare l’opportunità della progettazione di un Compendio sull’Eucaristia (Prop. 17) da parte delle conferenze episcopali pare un po’ in contraddizione con la centralità della mistagogia così fortemente sottolineata dai documenti sinodali.

La prop. 27, riguardante l’arte a servizio della celebrazione eucaristica, afferma che «lo studio della storia dell’architettura liturgica e più in generale dell’arte sacra, da parte dei laici, dei seminaristi e soprattutto dei sacerdoti, è in grado di illuminare la riflessione teologica, arricchire la catechesi e ridestare quel gusto per il linguaggio simbolico che facilita la mistagogia sacramentale».

Il tema della mistagogia è trattato anche dal card. A. Scola nella Relatio post disceptationem (n. 36). Egli afferma che il tema ha trovato un posto di rilievo nei numerosi interventi dei padri sinodali riguardanti la catechesi liturgica. La mistagogia viene indicata come «la via maestra per iniziare il fedele al mistero che viene celebrato». L’indispensabile recupero del metodo mistagogico, del quale tante testimonianze ci vengono dai padri della Chiesa, deriva dal fatto che «l’azione liturgica, se rispetta tutte le sue dimensioni, contiene già in se stessa la capacità di introdurre ai misteri cristiani, mostrando la loro incidenza nella vita quotidiana».

Da questi pochi tratti delle Propositiones e della Relatio post disceptationem del card. A. Scola è possibile ricavare alcune linee guida che hanno segnato i lavori della XI Assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi che ha toccato il tema dell’Eucaristia. Non mancano nelle Propositiones degli elementi contrastanti e alcuni punti molto problematici per il modo di vivere l’Eucaristia nella Chiesa di oggi. L’aver cercato di cogliere le preoccupazioni principali e ciò che il card. Scola ha chiamato un «orientamento di fondo», può essere utile per una lettura globale delle Propositiones anche nei loro punti più controversi e discutibili e anche per una attenta lettura della esortazione apostolica che il papa Benedetto XVI dovrebbe offrire sul «sublime mistero dell’Eucaristia nella vita e nella missione della Chiesa» (Prop. 1).

 

Matteo Ferrari osb-cam

Monastero di Camaldoli

 

 

1 Per una descrizione completa del metodo mistagogico dei padri cf. E. Mazza, La mistagogia. Le catechesi liturgiche della fine del quarto secolo e il loro metodo, (= Bibliotheca Ephemerides liturgicae. Subsidia 46), CLV, Roma, 1996 (II edizione).