LETTERA PASTORALE DI MONS. CATALDO NARO

AMIAMO LA NOSTRA CHIESA

 

«Vorrei, scrive il vescovo, che questo amore alla Chiesa crescesse e con esso ciascuno alimentasse il desiderio di appartenerle in maniera sempre più vera e, direi, anche più affettuosa e di contribuire alla sua costruzione in maniera sempre più gioiosa e convinta».

 

Sono tante le ragioni per cui un fedele deve amare la Chiesa, soprattutto la sua chiesa locale. Riaffermarlo è tanto più importante oggi in cui essa è continuamente bersaglio di attacchi e di critiche spesso aspre, anche al suo interno, e oggetto di disaffezione e di abbandoni da parte di molti.

Bisogna amare la Chiesa per tante ragioni scrive mons. Cataldo Naro, arcivescovo di Monreale, nella lettera pastorale che ha indirizzato alla diocesi in data 5 novembre 2005, memoria di tutti i santi delle Chiese di Sicilia, e intitolata Amiamo la nostra Chiesa.

In realtà, afferma l’arcivescovo, più che una lettera pastorale in senso classico «è un invito cordiale ad amare la nostra chiesa diocesana e, insieme, una proposta di riflessione essenziale sui motivi che ci spingono ad amarla».

In questo nuovo anno sociale la chiesa italiana con il convegno di Verona, che si svolgerà nell’ottobre 2006, vivrà un intenso evento ecclesiale. Alla luce di questa prospettiva, ci sembra opportuno e utile proporre la rilettura di questa stimolante lettera pastorale «indirizzata a tutti su un tema che è per tutti». Respirare il senso ecclesiale è un connotato indissociabile dal proprio carisma e dalla propria missione.

 

LE PRIORITÀ

PASTORALI

 

Contrariamente a quanto solitamente ci si aspetterebbe, la lettera non presenta un programma pastorale, ma focalizza l’attenzione sulla riscoperta delle motivazioni che stanno a monte del servizio pastorale, qualunque esso sia. La scelta di riflettere sulle motivazioni dell’appartenenza ecclesiale pur non mirando direttamente «ad offrire un insieme organico di indicazioni puntuali da tradurre immediatamente nell’azione pastorale», conduce inevitabilmente a promuovere azioni ecclesiali che siano improntate alla coerenza e credibilità della testimonianza. La preoccupazione pastorale di mons. Naro sembra consistere nel rischio delle comunità cristiane di raffreddare od opacizzare l’appartenenza ecclesiale e, ancora peggio, di non sapere vedere e gustare il bene che esiste ed è operante nei solchi della storia: «Non ho scelto questo tema – scrive – perché io avverta che nelle nostre comunità non si ama, in maniera effettiva e diffusa, la nostra chiesa diocesana, ma perché vorrei che questo amore crescesse e con esso ciascuno alimentasse il desiderio di appartenerle in maniera sempre più vera e, direi, anche più affettuosa e di contribuire alla sua costruzione in maniera sempre più gioiosa e convinta». In ultima analisi, è un rimettere al centro il comandamento di Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri”» (Gv 13,35).

 

PERCHÉ

AMARE LA CHIESA?

 

Nella individuazione delle motivazioni che dovrebbero spingere battezzati e non ad amare la Chiesa, mons. Naro si lascia guidare dalle pagine scritte dal teologo tedesco Romano Guardini, in occasione della sua visita al duomo di Monreale durante la settimana santa del 1929, estasiato dalla bellezza della cattedrale. L’amore nasce sempre da uno sguardo stupito e ammirato: «Non si può amare la Chiesa senza ammirarla. La si ama perché la si ammira e la si ama ammirandola». Amare la Chiesa è quindi una progressiva educazione allo sguardo contemplativo su di essa, a partire dal suo manifestarsi visibile. Cinque sono le motivazioni a sostegno di questa tesi.

La prima nasce dal particolare privilegio di cui si trova in dono la chiesa monrealese: la cattedrale. La bellezza della cattedrale spinge all’apprezzamento di quanto gratuitamente si è ricevuto. Amare è dunque riconoscere con gratitudine ciò che altri credenti prima di noi hanno fatto, costruito, faticato, in termini di tempo, creatività, operosità. E se questo atteggiamento è particolarmente indicato per la bellezza architettonica e artistica della cattedrale di Monreale, ciò non può essere dimenticato dalle numerosissime chiese sparse sul territorio italiano. La bellezza di tante nostre chiese racconta l’amore di molti fratelli e sorelle che con gesti concreti hanno mostrato e dimostrano l’amore per la Chiesa locale. Riconoscere i segni esteriori che permangono visibili sul territorio è solo il primo e più superficiale motivo per amare la Chiesa.

Dalla chiesa di mattoni l’arcivescovo passa a riflettere sulla chiesa fatta di persone, sulla chiesa in quanto popolo di Dio, così come viene messa in luce dal concilio Vaticano II: «Amare la nostra Chiesa è anche e primariamente amare il popolo di Dio che forma la nostra chiesa diocesana e sentire di appartenervi con semplicità e senza distanze». La Chiesa è dunque una comunità dove si devono togliere le barriere e gli ostacoli legate al ruolo, alla posizione culturale e alla carriera a vantaggio di rapporti fraterni e semplici.

Il passo successivo risiede nel cuore del mistero della Chiesa: la celebrazione liturgica e sacramentale. In ciò eccelle la sua dimensione fondamentale, l’Eucaristia: «L’amore alla nostra Chiesa si alimenta del sentimento di gratitudine per la presenza salvatrice del Signore nei suoi sacramenti e particolarmente nella celebrazione dell’Eucaristia».

Il quarto motivo, può apparire controverso se non è colto nella sua peculiare essenza: la presenza del vescovo. Mons. Naro coglie subito l’impegno e la priorità del servizio del pastore da realizzare quotidianamente: la costruzione dell’unità. Così il vescovo è chiamato a promuovere, per esempio, il dialogo tra i responsabili dei vari organismi ecclesiali, e ad adoperarsi in una convinta attenzione alle persone che non vivono più un visibile legame con la Chiesa, la cui lontananza può essere stata favorita dal «cattivo esempio di quanti esercitano un ministero o un servizio nella Chiesa». Ma anche il vescovo è parte del popolo di Dio; anche lui ha bisogno del sostegno e dell’amicizia del presbiterio e della comunità cristiana: «L’amore alla nostra Chiesa comprende il rispetto e la docilità e anzi l’amicizia e l’affetto per il vescovo». L’istituzione in questo modo recupera pienamente il senso della fraternità evangelica. Si ama la Chiesa perché tutti siamo inseriti nel medesimo cammino discepolare.

L’ultimo motivo per amare la Chiesa risiede nell’orizzonte escatologico della presenza della Chiesa nel mondo, che travalica lo spazio e il tempo. Il mistero della comunione dei santi, la commemorazione di quanti hanno percorso il medesimo cammino di fede e ora sono intercessori presso Dio, dovrebbe essere un forte stimolo ad ancorare la propria esistenza alla comunità ecclesiale pellegrina nel tempo: «Amare la nostra Chiesa significa sentire il legame con quanti ci hanno preceduto, nelle nostre stesse comunità, nella testimonianza della fede e, in particolare, con quanti la Chiesa stessa già ci ha indicati, riconoscendone l’esemplarità dell’esperienza credente, come nostri amici e intercessori presso Dio».

L’amore per la Chiesa è, dunque, il frutto di un positivo sguardo su di essa.

 

LA BELLEZZA

DELLA CHIESA

 

Presentare le motivazioni che danno ragione dell’amore per la chiesa locale non significa però ancora amarla. L’amore per la chiesa oltrepassa la dimensione giuridica legata all’iscrizione nei registri parrocchiali.

Si giunge invece a un autentico amore per la Chiesa quando essa sprigiona attrazione. «Per amare è necessario ammirare. Si ama ciò che si ammira, perché ci attrae e lo si trova bello. È dall’ammirazione che scaturisce l’amore.

Accanto all’ammirazione esiste l’attrazione. Ammirazione e attrazione sono espressioni della bellezza. Come in qualsiasi intensa relazione d’amore, la fase dell’attrazione è un passo necessario per costruire un amore che sia sempre più oblativo e disinteressato, così per analogia, può essere riferito all’amore per la Chiesa. Ci si potrebbe interrogare se le nostre comunità cristiane (e religiose) siano luoghi di attrazione e ammirazione. Mons. Cataldo Naro non ha paura di affrontare questa spinosa e cruciale questione. La sua disanima non è certamente esaltante. Guardando alla sua diocesi, si domanda se esistano elementi tali per cui la diocesi sia bella e affascinante. Che cosa può ammirare di bello e attraente nella sua chiesa locale? «Non l’efficienza formativa delle sue strutture pastorali, le cui carenze sono evidenti. Non l’efficacia assistenziale del suo impegno caritativo, che resta sempre poca cosa di fronte agli enormi bisogni del nostro stesso ambiente. Non la sua capacità di incidenza significativa nel mondo circostante, che appare esigua. Non la diffusa consapevolezza dei suoi membri circa un loro compito storico, che spesso neanche riesce a manifestarsi. Non la loro esemplarità morale, che – purtroppo accade – lascia a desiderare. Non tutto questo e altro ancora che, magari, ci può apparire grande e buono sul piano della visibilità sociale e dell’importanza storica». Una popolo di Dio dunque, che esteriormente non ha nulla di affascinante ed attraente.

 

L’AMORE

ESIGENZA DI GRATITUDINE

 

La vera forza di attrazione non risiede nelle persone o nelle istituzioni o nelle opere ma nella presenza salvatrice del Signore risorto, che costruisce la sua Chiesa con il dono del suo spirito: «Ad attrarre il nostro sguardo di ammirato stupore sulla Chiesa è propriamente la grazia del Signore Gesù che redime l’uomo dal suo peccato e lo rinnova, facendolo capace di dialogo con Dio e di fraternità con gli altri uomini. Nella Chiesa e nei suoi sacramenti attingiamo la grazia del Cristo. La Chiesa è, dunque, bella precisamente perché vi riceviamo la misericordia di Dio. In essa ci raggiunge il mistero dell’amore infinito del Dio uno e trino che definitivamente si comunica in Cristo Gesù agli uomini proponendosi alla loro libertà».

Come si ama concretamente la Chiesa? Attraverso il sentimento della gratitudine: «Nella Chiesa abbiamo ricevuto la fede. In essa siamo stati educati nella fede. In essa siamo cresciuti nel rapporto con il Signore. In essa attingiamo il perdono di Dio attraverso il sacramento della riconciliazione. In essa, partecipando all’Eucaristia, ci nutriamo del corpo di Cristo e ci lasciamo trasformare nel corpo di Cristo. In essa siamo testimoni della fede per gli uomini e per le donne del nostro tempo e del nostro luogo. In essa viviamo l’esercizio quotidiano della fraternità. In essa riceviamo e diamo il perdono, come ci ha comandato il Signore. In essa sperimentiamo il sostegno e l’amicizia di tanti fratelli e di tante sorelle che ci accompagnano nel nostro cammino credente». Amare la Chiesa è, dunque memoria grata di immensi doni inaspettatamente ricevuti dalla comunione con Dio e con i fratelli. La gratitudine si esprime anche con il servizio e l’impegno concreto. Si risponde all’amore con l’amore

Nell’ultima parte della lettera pastorale mons. Naro indica quello che a suo parere rappresenta il miglior modo di amare la Chiesa. In primo luogo gratitudine nel sentirsi onorati di lavorare con il Signore, perché «quel che importa è vivere l’unione col Signore, fare la sua volontà, amarlo». A ciò aggiunge: «Non dobbiamo dimenticare, però, che si può lavorare nella vigna del Signore secondo una molteplicità di modi: primariamente la preghiera di ogni giorno; e poi l’esercizio del proprio lavoro ordinario, il fedele compimento del proprio dovere, l’esperienza della propria sofferenza fisica o morale; e, anche, in risposta a una chiamata che ci viene dal Signore, il servizio nella nostra parrocchia o in altri particolari compiti ecclesiali o, pure, in iniziative culturali o sociali o assistenziali o di qualunque altro tipo e, più in generale, l’impegno per una società più giusta».

La preghiera rappresenta il primo e comune modo di amare e lavorare per la Chiesa: «È l’unico compito assegnato ai suoi discepoli dal Signore Gesù, a cui egli stesso ha assicurato l’efficacia: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli, ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”» (Mt 18,19-20).

L’amore per la Chiesa è, dunque, uno stile da assumere prima ancora che un servizio da compiere. Lo sguardo positivo verso la chiesa locale, come la memoria grata verso persone passate e presenti che ci hanno regalato gesti di fede e di amore rappresentano la misura a partire dalla quale si innesta la nostra risposta amorevole.