UN FENOMENO POCO CONOSCIUTO

MONACHE NEL BUDDHISMO

 

La ricerca di una spiritualità che innalzi la persona umana verso orizzonti non terreni ha prodotto nel buddhismo, fin dalle origini, l’esperienza del monachesimo femminile tuttora in vigore.

 

Paj‹patÓ: è il nome della prima monaca buddhista. Illustre per la parentela con l’Illuminato (era sua zia e nutrice) Paj‹patÓ spiccava fra le tante donne nubili o sposate, le quali, restando nello stato di vita secolare, fin dai primi tempi accolsero la dottrina del Buddha, e favorirono il maestro con i doni materiali e il sostegno sociale. Ma ella desiderava qualcosa anzi molto di più, ossia di poter abbandonare il mondo ed entrare per sempre nell’Ordine monastico da lui fondato.

La storia di Paj‹patÓ – scrive Bernard De Give, abate di N.D. de Scourmont in Belgio, nell’articolo Moniales bouddhistes in Claretianum XLV/2005 – è commovente, per l’ardore con cui la donna perseverava nel chiedere di poter vivere come i monaci: una richiesta che trovava il Buddha piuttosto esitante. Le fu necessario l’intervento di Ananda, il fido discepolo dell’Illuminato che era stato sempre «in favore delle donne un mediatore costante e decisivo». 

Paj‹patÓ poté così coronare il suo sogno ed essere ammessa all’ordinazione, la quale all’inizio non comportava altro rito oltre l’accettazione delle otto regole fondamentali. Soltanto più tardi la cerimonia consisterà col ripetere la triplice formula: “Io mi rifugio nel Buddha, nel Darma (la Realtà suprema), nel Sangha (la comunità, il clero)”.

Sottolinea dom Bernard che tutte le fonti della letteratura p‹li (lingua appartenente al gruppo degli idiomi medio-indiani e affermatasi col buddhismo, di cui divenne lingua ufficiale) «sono unanimi nel lodare Paj‹patÓ come la prima che, volendo imitare l’esempio dei monaci, inaugura la vita monastica femminile». E la inaugura in un tempo in cui nella dottrina del Buddha si trovano riguardo alla donna costanti allusioni, in generale piene di stima e di riconoscenza sebbene talvolta espresse con una certa ironia.

 

LE MONACHE

ALLE ORIGINI

 

Sarà la letteratura buddhista posteriore a produrre numerosi testi intrisi di un antifemminismo profondo, forse frutto di vari influssi culturali o in forza di un’ evoluzione della stessa dottrina buddhista.

Quasi tutti i testi infatti (a eccezione del libro Chants des Moniales, (TherÓg‹t‹) contengono aggiunte d’epoca più avanzata, nelle quali si manifesta una vera e propria corrente antifemminista. Esse «sottolineano che l’accettazione delle donne nell’Ordine sarebbe stata per esso una fonte di mali e la causa per cui l’ordine stesso non sarebbe durato più di 500 anni. Una profezia – ironizza dom Bernard – «smentita abbondantemente dalla storia...».

Non solo Paj‹patÓ aveva visto giusto col suo desiderio di immersione totale nella spiritualità che già viveva, ma la storia successiva racconta, con i testi che ha tramandato, i luoghi dove erano situati i monasteri femminili, il numero crescente delle monache, le virtù e i “carismi” superiori di alcune tra loro, gli elenchi delle loro osservanze, il quadro della loro istruzione che ricevano esclusivamente dai monaci.

Ma per quale motivo tante donne, sposate o no, entravano in quella via di totale rinuncia e di perfetta castità? Nel buddhismo non poteva essere – ragiona l’abate De Give – l’amore o la fedeltà a una persona conosciuta e dalla quale non ci si poteva separare, nel caso il Buddha. «Era piuttosto il desiderio di abbracciare una vita ascetica e di totale rinuncia al mondo. Molti elementi giocavano a favore di una simile “vocazione”: motivi di ordine familiare, la perdita di una persona cara, o tratti della psicologia femminile. L’ambiente di provenienza delle vocazioni era quello aristocratico e di famiglie agiate».

Elemento essenziale della vita monastica femminile ispirata alla dottrina buddhista è la castità. Ma «non bisogna cercare la sua ragion d’essere nell’amore di un’altra persona o nella mistica di un incontro personale. La si considera sempre nel quadro di una spiritualità di liberazione dalle passioni e da legami psicologici o fisici. È uno sforzo di ritorno a uno stato paradisiaco, allo stato originario, senza differenze di sesso e dove vivere come angeli, esseri spirituali e luminosi. E anche tra loro c’è una lotta contro le tentazioni di M‹ra, il demone che si sforza di turbare queste vocazioni».

 

OSSERVANZE

E EVOLUZIONE

 

Ed ecco quali erano le prime regole fondamentali cui le monache buddhiste si sottoponevano: il rispetto dovuto ai monaci, la fedeltà nel cercarne le istruzioni spirituali e il ricorso alla confessione pubblica in un capitolo delle colpe. L’intensità del loro impegno ascetico è confermata anche dal ricordo, perdurante nel tempo, «di due monache dotate di doni spirituali che, essendo come la “voce del Buddha”, ebbero il privilegio di istruire le sorelle, i laici e persino i monaci».

Il noviziato durava due anni e la monaca incaricata dell’istruzione della novizia veniva a essere quella che le conferiva la cosiddetta ordinazione, benché – precisa dom Bernard – fosse propriamente l’Ordine dei monaci a ordinare le suore “mediante una monaca”. Fin dall’inizio, infatti, per compiere l’atto giuridico dell’incardinamento delle donne l’Ordine dei monaci poteva delegare una monaca.

Ma il monachesimo femminile dovette conoscere una evoluzione. Secondo il testi canonici «c’era in seno all’ordine una comunità di religiose ben organizzata e ben regolamentata. La comunità dei monaci e quella delle suore prese nel loro insieme erano dette ubhato sangha (= l’Ordine monastico nella duplice forma). L’organizzazione della comunità delle suore era del tutto simile a quella dei monaci. Anch’esse avevano il loro completo codice disciplinare, i medesimi atti legali della comunità e anche due ordinazioni. Ed è vero che i monaci avevano il diritto di consigliare le suore ma non avevano quello di controllarle».

Come confermato in un breve contributo di p. Lopez-Gay nel suo libro La mistica del Buddismo – aggiunge dom Bernard – l’evoluzione della situazione descritta è molto netta.

Il monachesimo femminile era molto fiorente durante la vita del Buddha e attorno al suo discepolo Ananda, ma allorché costui nel primo concilio buddhista venne accusato di aver aperto le porte del monastero alle monache, il sistema entrò in crisi e, dopo un periodo di vitalità, specialmente in Ceylon, Birmania, Laos e altri paesi se ne poté notare la decadenza.

Al contrario nei paesi del Mah‹y‹na (= Grande Sentiero, il ramo più diffuso della religione buddhista e il solo ammesso nel Tibet) il monachesimo femminile crebbe notevolmente di numero e di prestigio. «In Cina le monache ebbero il favore di una imperatrice fino ad acquistare nei secoli IV e V anche troppa potenza, persino politica». E il movimento attraverso la Corea arrivò anche in Giappone.

 

TRA RIVOLUZIONE

ED ESILIO

 

Successivamente, lo splendore del monachesimo femminile andò oscurandosi anche nei paesi del Mah‹y‹na, per cui attualmente in Giappone esistono solo due monasteri, formati da monache Zen: uno di questi conta 22 monache, per lo più provenienti dagli Stati Uniti attratte dalla fama dell’abbadessa Aoyama Sensei, la quale tiene la direzione del monastero e cura la formazione delle sue discepole. Fiorenti, invece, sono i monasteri Zen negli Stati Uniti, particolarmente in California.

Molto movimentata è la storia recente del buddhismo tibetano e quindi del monachesimo, maschile e femminile. Si sa che i comunisti cinesi nel 1950 invasero il Tibet, imponendo la loro dittatura, deportando le popolazioni, massacrando monaci e distruggendo monasteri. E tuttora ricordiamo la rivolta popolare del 10 marzo 1959, selvaggiamente repressa e che determinò l’esilio volontario del Dalai Lama nonché di numerosi tibetani.

Secondo l’Ufficio informazioni del Segretariato tibetano centrale di Dharamsala in India, dal quale dom Bernard ha ricevuto diversi dati, il numero esatto dei monasteri e delle monache in Tibet prima dell’invasione cinese del 1950 era rispettivamente di 718 e 27.180. Degli uni e delle altre l’articolo di dom De Give dà notizie circa l’ubicazione, nello stesso Tibet e in India, e di varie caratteristiche su cui non possiamo soffermarci. Notiamo soltanto che nella prima metà del secolo ventesimo visse una monaca eccezionale, nata nel nord-ovest del Tibet dove nell’undicesimo secolo nacque il “mago/poeta/santo” Milarepa; discepole numerosissime affluirono attorno a lei, che divenne superiora di ben 500 religiose.

 

LE MONACHE

NEI NOSTRI GIORNI

 

Attualmente si può parlare soltanto di Tibet e del suo monachesimo in esilio.

In India lo troviamo nello stato dell’Him‹chal Pradesh, tra Dharamsala e Path‹nkot, località celebre nella storia del buddhismo tibetano e soprattutto venerata dai Kagyupa, poiché il loro antenato Tilopa vi era vissuto in eremitaggio. «Il convento si trova in cima a una collina, conta 59 religiose che vivono un’esistenza di preghiera e di lavoro in grande povertà. Sembra tuttavia che la loro formazione intellettuale lasci a desiderare, e per una spiritualità più intensa si vorrebbe dar loro la possibilità di fare il ritiro tradizionale dei Kagyupa (tre anni, tre mesi, tre giorni); ed è a tale scopo che si stanno costruendo una modesta casa di ritiri nei boschi, a poca distanza da Sherab Ling, con l’appoggio del Tai Sitou Rinpoché».

Sempre in India nel Him‹chal Pradesh, «a dieci minuti dalla residenza del Dalai Lama, si trova un convento di monache dalla storia anch’essa abbastanza movimentata. La costruzione degli edifici si sviluppa lentamente, gli ambienti pronti non sono sufficienti all’abitazione di 42 religiose. E pure qui, atmosfera spirituale laboriosamente povera».

Una comunità molto coraggiosa di monache si trova in Nepal, nell’ambito del movimento di Lama Zopa Rinpoché: d’inverno come d’estate la comunità vive a Lawudo, sui fianchi dell’Everest, altitudine 4.200 metri.

Giuridicamente – avverte dom De Give – «una tradizione di monache che avrebbero ricevuto la piena ordinazione non è mai esistita in Tibet. Da questo punto di vista la loro situazione attuale non è affatto diversa da quella del passato. Se sono oggi poco numerose (una statistica del 1981 parla di 340 suore), la loro vita spirituale appare fervente, dopo aver superato gli enormi ostacoli dei primi anni delle loro fondazioni in esilio».

Inoltre, un movimento di signore e giovani occidentali che desiderano condividerne la spiritualità è stato notato attorno a monasteri femminili buddhisti; proverrebbero dall’India e dal Nepal ma pure da Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada. Non solo una moda, forse.

 

LE MONACHE

VERSO IL FUTURO

 

L’autore dell’articolo che seguiamo afferma che un inizio di organizzazione di ampiezza internazionale si sta profilando. «Dal giorno 11 al 17 febbraio 1987 era stato tenuto a Bodhgaya in India una Conferenza internazionale di suore buddhiste, con 120 partecipanti provenienti da 24 paesi. Le animatrici appartenevano a diverse tradizioni di Sri Lanka, Thailandia, Tibet. Davanti a migliaia di persone il Dalai Lama sostenne l’idea che le donne dovrebbero avere l’opportunità di accedere all’ordinazione completa e segnalò il ruolo positivo che esse potrebbero svolgere nel Sangha». La Conferenza si concluse con importanti documenti e risoluzioni comuni.

Sempre in ordine al futuro è diffuso l’interesse a un progetto nuovo e saggio, e su questa scia numerose monache occidentali della tradizione tibetana hanno organizzato un convegno di tre settimane svoltosi a Bodhgaya nel febbraio del 1996. Oltre a riflessioni su aspetti della dottrina buddhista, il programma comprendeva «considerazioni circa l’adeguamento alla moderna cultura occidentale. Destinato prioritariamente alle suore della tradizione tibetana, erano accolte anche suore ispirate ad altre tradizioni. Si discusse fra l’altro intorno all’organizzazione delle comunità e su un piano formativo simile al severo apprendistato per l’ordinazione nella tradizione cinese».

Iniziative più recenti lasciano intendere che il movimento orientato al “rinnovamento” prosegue nella sua traiettoria. Nella Corea del Sud, ad esempio, sono convenute con la varietà dei loro diversi e colorati costumi «monache buddhiste da tutti i paesi asiatici dove fiorisce il Dharma; tema principale dell’incontro la rivendicazione del diritto alla piena ordinazione nelle tradizioni dove la relativa filiera è stata interrotta». L’augurio in quell’incontro – del quale, informa dom De Give – ha dato notizia nel numero di settembre-ottobre 2004 Le Monde des Religions – è stato che tutte siano fedeli ai loro “voti”.

 

Z.P.