RICERCA SOCIO-RELIGIOSA TRA I ROGAZIONISTI

PRIORITÀ PER UNA NUOVA PARTENZA

 

La messa a fuoco delle potenzialità carismatiche di un istituto religioso apostolico maschile. Indicazioni metodologiche e aspetti contenutistici. Fedeltà dinamica e carisma in una sapiente risposta alle attese di oggi. Fiducia in Dio, al primo posto, ma anche in tutti i possibili mezzi umani.

 

«In un istituto di vita attiva non si può avere una vitalità spirituale senza quella operativa, altrimenti si rischia di cadere nel pietismo o peggio ancora nel quietismo da una parte e nell’iperattivismo individuale o collettivo dall’altra». È questa, forse, una possibile sintesi di fondo dell’impegnativa ricerca socio-religiosa condotta da Giuseppe Scarvaglieri sulla congregazione dei rogazionisti.

È sempre più raro, oggi, trovare committenti convinti da una parte e operatori qualificati dall’altra per opere del genere. Anche per questo la ricerca di Scarvaglieri è importante non solo per i rogazionisti, ma anche, ne sono fermamente convinto, per tanti altri istituti religiosi apostolici maschili. Nella dinamica di questo lavoro, infatti, è possibile ripercorrere i punti forti e i punti deboli insieme di quel rinnovamento conciliare incompiuto iniziato ben quarant’anni fa.

Gli obiettivi principali della ricerca vertevano sulla rilevazione complessiva dell’attuale situazione dell’istituto e sul processo di rinnovamento della sua missione carismatica. Senza la previa acquisizione di queste finalità conoscitive sarebbe poi stato difficile elaborare delle prospettive operative. A livello metodologico colpisce il fatto dell’ampiezza dell’indagine, con il coinvolgimento, almeno intenzionale, di tutti i membri dell’istituto (al momento dell’indagine erano complessivamente 356) e l’attenzione alle diverse situazioni culturali e territoriali. «Nel complesso, scrive Scarvaglieri, la ricerca ha offerto una conoscenza della situazione seria, documentata e fondata, valida quantitativamente e, importante, qualitativamente, in quanto il numero dei rispondenti è stato molto alto. Il livello quantitativo raggiunto (86%) rende l’indagine una ricerca globale (non campionaria), per cui i dati risultano più garantiti quanto a oggettività e affidabilità».

Ancora più significativi delle indicazioni metodologiche sono gli aspetti contenutistici della ricerca, primo dei quali è quello del carisma. Accanto ai molti religiosi che affermano di conoscere il carisma, non mancano quanti nutrono perplessità e riserve in proposito.

«Un certo numero di religiosi mostrano di non avere idee corrette, nel senso che alcuni non distinguono adeguatamente tra aspetti centrali e aspetti marginali che si ripercuotono nella condivisione o non condivisione di trasformazioni recenti». Di conseguenza si tende inevitabilmente a sottovalutare la componente ispirante e operativa che il carisma dovrebbe suscitare. Non solo. «È latente il rischio di una certa confusione circa l’identità in cui sono sopravvalutate sottolineature marginali o alla moda». E questo potrebbe essere la conseguenza del fatto di perdere di vista quanto è indicato in modo più specifico dalle stesse costituzioni, vale a dire l’impegno verso l’insegnamento, la sollecitudine verso la componente missionaria, lo zelo pastorale a livello personale, come traduzione in pratica dell’essere buoni operai.

Quante volte, in questi ultimi decenni, si è parlato di fedeltà dinamica! E quante volte, un po’ ovunque, se ne è parlato in senso astratto. Lo si fa tutte le volte che «non ci si riferisce sufficientemente agli atteggiamenti del fondatore e alle sue modalità operative verso la gente, non si risponde adeguatamente ai bisogni attuali dei diversi contesti». Non è mai stato facile per nessuno caratterizzare in concreto il proprio carisma coniugando fra loro creatività, radicalità evangelica, vitalità inculturata, professionalità ed ecclesialità.

 

MISSIONE

E CONSACRAZIONE

 

Non si può parlare di carisma prescindendo dalla missione. La missione carismatica di un istituto di vita apostolica in senso costitutivo ed essenziale, infatti, «è collegata e interagisce con la consacrazione, con l’afflato spirituale proprio e con la specificità delle opere». Sul rapporto missione-consacrazione, nell’istituto dei rogazionisti, i dati mostrano un orientamento di fondo accettabile anche se non mancano delle perplessità, specialmente in rapporto al lavoro, come strumento di crescita spirituale. Potrebbe in questo modo verificarsi uno sbilanciamento, qualora dovesse prevalere la consacrazione come fatto devozionale o intimistico sull’attuazione del servizio o del ministero come fonte di santificazione.

È meno scontata di quanto non sembri l’interazione strettissima tra carisma e missione. Occorre arrivare a cogliere la componente operativa del carisma, non si stanca di ripetere Scarvaglieri. Bisogna evitare «ogni forma di spiritualizzazione, che considera accessoria, secondaria e successiva la componente operativa». Quando si parla di carisma come di un “dono per..”, questo significa che la missione è una componente congenita del carisma stesso.

Solo in questo modo diventa più facilmente comprensibile un’altra strettissima e troppo spesso preoccupante interazione, quella fra missione e comunità. «La problematicità di tale aspetto comporta che non risultano garantite certe incidenze positive che potrebbero derivarne alla missione dalla vita comunitaria». Guai a considerare la dimensione comunitaria come semplicemente giustapposta a quella operativa. L’individualismo, l’autoreferenzialità, l’iperattivismo, prenderebbero rischiosamente il posto della gratuità e del disinteresse nel servizio dei fratelli. Per questo «occorre sviluppare il lavoro in modo che non ostacoli la vita comunitaria, da una parte, e che la vita comunitaria stessa sia vissuta come azione (testimonianza) e condizione di continuità e qualità operativa dall’altra».

La missione, inoltre, porta inevitabilmente a contatto con l’ambiente esterno, sociale ed ecclesiale. La ricerca di Scarvaglieri evidenzia una sostanziale positività a questo riguardo, anche se non manca una certa «tendenza all’ estraneità che inficia o neutralizza la forza della testimonianza e l’efficacia del ministero». Non si insisterà mai a sufficienza sulla dimensione sociale della vita religiosa. Lo si deve fare evitando, però, impostazioni che si configurino come pie velleità o, peggio, che producano forme di autoisolamento rispetto all’ambiente.

 

PROFETI

DEL PROPRIO TEMPO

 

Qui entrano in gioco i grossi problemi della lettura dei bisogni concreti dell’ambiente, da una parte, e della capacità di ristrutturazione e di decentramento delle unità del proprio istituto dall’altra. Una specie di regola d’oro al riguardo Scarvaglieri sembra suggerirla attraverso una convinta adozione della metodologia dell’inculturazione. Un istituto, cioè, deve sapersi calare «nel contesto concreto per rendere la sua presenza più attuale, efficace e valida», attraverso la comprensione della situazione, la testimonianza, l’interazione e il dialogo, l’intervento e l’azione culturale. Le stesse annotazioni negative derivanti dalle critiche a questo riguardo, dovrebbero «essere assunte come punti di partenza per un rilancio positivo ed operativo della propria presenza nei diversi contesti. Non si tratta, infatti, solo di vivere di rendita, ma d’impegnarsi ancor più nel proiettare all’esterno la propria testimonianza in modo teologicamente fondato e culturalmente incarnato».

Quali prospettive per il futuro? Scarvaglieri è pienamente persuaso della complessità e insieme, della necessità di una risposta a questo interrogativo. Lo sanno molto bene quanti nei diversi istituti di vita consacrata, e non solo nel caso dei rogazionisti, si interrogano seriamente e criticamente sul senso della propria consacrazione nella Chiesa e nel mondo. Le indicazioni dei rogazionisti, come emergono dalla ricerca, appaiono alquanto vaghe e generiche. Sembra quasi, scrive Scarvaglieri, «che sia scambiata un’indicazione tecnica come mormorazione, per cui i religiosi hanno preferito non pronunciarsi, indebolendo così il loro apporto a questa problematica». Se si vede bene, infatti, il ridimensionamento come occasione e strumento di rilancio, di fatto poi «sono molto numerosi coloro che pensano che non bisogna toccare l’assetto attuale, ma realizzare una migliore ridistribuzione del personale».

Senza un valido processo di discernimento diventa problematico operare delle scelte in modo da mantenere in vita quelle opere che rispondono agli aspetti fondamentali del carisma dei rogazionisti: scuola, istituti educativo-assistenziali, servizio ai poveri e impegno pastorale.

È inutile negare come il rinnovamento e la programmazione si configurano come un processo complesso e articolato, impensabile senza l’apertura alla speranza e senza l’esigenza di previsioni accettabili. Per importante che possa essere la fiducia e la confidenza nel Signore, non lo è meno però l’impegno e la capacità revisionale delle persone. In questo senso «è necessario continuare a proiettarsi nel futuro con l’intraprendenza di coloro che compiono le opere di Dio». Essere profeti del proprio tempo e saper «coltivare dei progetti che siano nello stesso tempo segno ed effetto della vera creatività dello Spirito», saper «motivare meglio e più profondamente i religiosi sia sul piano personale (testimonianza) sia su quello ministeriale e promozionale (professionalità)», è un’impresa ardua ma avvincente, e non solo per i rogazionisti.

Questa condivisione di problemi e di speranze emerge anche dalla sintesi delle più significative priorità che Scarvaglieri ha tratto dalla ricerca in vista dei lavori capitolari dei rogazionisti. Anche la semplice elencazione di queste priorità testimonia quanto meno la concretezza e la complessità insieme del cammino da compiere. Vi si parla, infatti, di ricostruzione teologica e sistematica del carisma, di equilibrio tra azione e contemplazione, di formazione orientata maggiormente alle opere, di sviluppo di nuovi apostolati, di maggior coinvolgimento nelle scelte comunitarie, di impegno verso le nuove povertà, di inserimento aggiornato nella pastorale parrocchiale, di sviluppo degli istituti educativo assistenziale e verso i minori a rischio, di preparazione adeguata al compimento di tali servizi, di sviluppo e attualizzazione dell’impegno nella scuola, di esigenza di attualità, di non avere paura del nuovo, di adeguatezza ai tempi, di crescita personale e comunitaria, di maggior dialogo e partecipazione nelle decisioni comunitarie.

 

IL VANGELO

AL PRIMO POSTO

 

Da tutto questo elenco di priorità, Scarvaglieri poi ha cercato di enucleare tre fondamentali e indispensabili indicazioni di percorso in vista di un piano organico di intervento. Al primo posto non poteva non esserci un recupero dei valori evangelici fondamentali. Ma non basta però parlare di centralità della dimensione della fede, ecclesialità della propria presenza, dinamicità della funzione apostolica. «Occorre renderle più concrete e fondate esistenzialmente e attuare un più adeguato riscontro nella esperienza quotidiana e nell’inserimento nel mondo».

La riscoperta della radicalità evangelica, dovrebbe essere accompagnata anche dalla modernizzazione e dal ripensamento di tutti gli aspetti strutturali e funzionali del proprio istituto. In parole molte semplici, questo comporta la ristrutturazione delle comunità, l’interiorizzazione dei valori, il funzionamento dei vari organismi, la rivalorizzazione dell’apostolato, l’approfondimento dei contenuti fondamentali dottrinali della vita consacrata, un maggior equilibrio tra azione e contemplazione, più apertura e inserimento nei vari problemi sociali, superamento della genericità pastorale, ristrutturazione delle case, formazione dei responsabili delle comunità, il superamento di modalità operative proprie di un contesto passato.

La modernizzazione, sostiene Scarvaglieri, consapevole anche delle eventuali resistenze al riguardo, «richiede il passaggio ad una progressiva scientificizzazione». Proviamo a guardare, osserva, tutti i processi di produzione e riproduzione socioeconomica e socioculturale del mondo contemporaneo. Chi ci impedisce di riscontrare in questi processi «le premesse concettuali e la piattaforma operativa per scelte adatte ai tempi e funzionali alle nuove situazioni, che richiedono nei religiosi il senso del nuovo, il coraggio del rischio»?

La modernizzazione non può assolutamente prescindere, infine, dalla programmazione. Ora programmare significa sostanzialmente privilegiare alcune esigenze fondamentali quali l’individualizzazione delle priorità, la convergenza degli obiettivi e delle scelte concrete, la proporzione di esse con le risorse personali, materiali ed organizzative a disposizione, la divisione funzionale dei compiti tra i diversi responsabili periferici e gli operatori in loco e quindi il coinvolgimento di tutte le energie.

Se da un punto di vista conoscitivo, conclude Scarvaglieri, la ricerca ha sviluppato un grande volume di conoscenze, da un punto di vista operativo attende invece una coraggiosa risposta sia a livello personale, sia a livello comunitario che a livello di tutto l’istituto.

A tutti i livelli, perciò, serve una illimitata fiducia nella grazia da una parte e la piena consapevolezza del “potenziale umano” dall’altra. Solo da una sapiente interazione di queste due fondamentali prospettive, sarà possibile «rispondere adeguatamene alle attese dei fratelli e alle istanze del popolo di Dio secondo il proprio carisma».

 

Angelo Arrighini

 

1 SCARVAGLIERI G., Istanze e prospettive per una missione carismatica, 2 voll., Editrice Rogate, Roma 2004.