BEATIFICATO IL 13 NOVEMBRE SCORSO
CHARLES DE FOUCAULD UNA VOCAZIONE
Una personalità
eccezionale, il cui fascino a poco meno di un secolo dalla sua morte resiste
vivissimo, con la singolarità di una vocazione che fu tutt’una con la fede
ritrovata e vissuta in Gesù di Nazaret.
Era un uomo d’azione, Charles de Foucauld, fatto per il
successo più brillante e l’efficacia di qualsiasi impresa, allorché dentro il
dono tutto nuovo della fede ritrovata nella conversione accolse quello della
propria originale chiamata a una vita di nascondimento come nascosta era stata
quella di Gesù negli anni di Nazaret. Una chiamata della quale si comprende
l’originalità soltanto attraverso la storia della sua risposta, orientata
costantemente alla volontà divina e influenzata da un temperamento dinamico ed
estroverso.
Secondo il più attento studioso della spiritualità di fratel
Charles, il piccolo fratello di Gesù Antoine Chatelard che qui seguiamo lungo
il filo delle sue ricerche storiche,1
«rimangono ancora molte cose da scoprire nel dettaglio della sua vita e nella
lettura delle sue lettere, per restituirlo alla verità concreta delle sue
relazioni con gli uomini e le donne di cui ha voluto farsi prossimo» e «del suo
rapporto con Dio». Ma si può dire che per lo più «ci si è accontentati di
leggere la sua vita servendosi di clichés o di immagini prefabbricate, parlando
di povertà, di amicizia, di apostolato, di contemplazione, senza analizzare i
suoi comportamenti reali e le concrete circostanze della sua vita», in
particolare con i tuareg.
La vita di de Foucauld, infatti, rivelatasi ricca di doti
intellettuali e aperta a interessi culturali di largo e profondo respiro,
colpita fin dall’infanzia negli affetti più cari e segnata poi dall’incredulità
riguardo alla fede, lo porterà a «sprofondare nell’abisso del male»; ma anche
dopo che a 28 anni si sarà lasciato afferrare da Cristo la sua personalità sarà
costantemente segnata dal temperamento «dell’organizzatore che riemergerà per
tutta la sua vita. Tutto, subito, ininterrottamente», per il piacere di vivere
soltanto per e con Gesù di Nazaret secondo modalità tanto personali che ne
fanno un capolavoro da ammirare più che un modello da riprodurre.
PRIMA
DELLA VITA NUOVA
Tutto e subito, anche nel voler rispondere fedelmente alle
sollecitazioni dello Spirito; le quali ogni volta assieme alla chiarezza della visione
confortata da circostanze convincenti sul “da fare” per compiere la volontà di
Dio, comportavano la nebbia di ragionevoli dubbi e il bisogno di un’obbedienza
che sciogliesse nella serenità i conflitti interiori.
Questa dinamica ha constatato Chatelard nel percorrere «i tornanti» del singolare cammino
vocazionale e di fede di Charles de Foucauld, non senza averne esplorato le
premesse esistenziali nelle vicende precedenti la chiamata e quelle dei primi
passi nella vita nuova.
Sono noti i dati anagrafici e gli eventi più rilevanti,
dalla nascita a Strasburgo il 15 settembre 1858: la sua «infanzia benedetta in
una famiglia credente e praticante», nella quale il calore degli affetti e
un’educazione in ambiente aristocratico all’insegna della libertà hanno fatto
sì che Charles diventasse quell’uomo libero che è stato ammirato da tutta una
generazione; il tempo della giovinezza sregolata, coincidente con i tredici
anni dell’incredulità durante i quali, dopo aver perso all’età di sei anni i
genitori, gli venne a mancare a vent’anni con la morte del nonno il sostegno
affettivo e morale che più rimpianse; ed era il tempo in cui cominciava ad
avvertire la propria vita come “una discesa verso la morte”; il periodo
turbolento della vita militare, vissuta nella spensieratezza ma sempre ai
margini estremi della disciplina per cui ebbe punizioni umilianti fino alla
messa in riserva e alla sospensione dell’impiego nell’esercito per
«indisciplina aggravata da cattiva condotta notoria»: a motivo di una donna,
dirà egli stesso in una lettera all’amico Gabriel Tourdes, ammettendo di aver
volutamente provocato il collocamento in riserva. Tanto gli era sgradita la
noiosa inattività della vita di guarnigione nel IV reggimento ussari; né gli
bastavano i divertimenti organizzati con gli amici: «Non ho mai sentito –
scrisse – una simile tristezza, un malessere, un’inquietudine come in quel
periodo». Avvisaglie, forse, «preludio ad altri approdi».
Segue un breve soggiorno in felice libertà a Evian in
Francia e torna per Charles il tempo dell’azione con la possibilità di
partecipare reintegrato nell’esercito a una missione di guerra in Tunisia.
«Naturalmente ho chiesto di raggiungerlo: una spedizione di questo genere è un
piacere troppo raro per lasciarlo passare senza cercare di goderne»: è quanto
scrisse all’amico Tourdes. Tutto e subito, e ancora per il solo piacere fino a
quel momento apprezzato e dal quale si risveglia il desiderio di viaggiare che
sempre l’attraeva.
Ma la campagna militare terminò prima del previsto e
rimanere inattivo era per il tenente de Foucauld l’ultima opportunità che
avrebbe voluto, per cui eccolo a progettare subito un viaggio in Marocco, da
percorrere muovendosi «non stupidamente» ma con intelligenza, fornito di libri
e quant’altro gli fosse necessario per poterne trarre giovamento e forse una
notorietà diversa e migliore; e per una delle imprese a lui più consone:
realizzare qualcosa che nessuno aveva fatto prima di lui. Ciò che avvenne, in
un viaggio per lo studio di una regione inesplorata, punteggiato da dure
fatiche, vita solitaria, difficoltà dei percorsi e persino minacce di morte; ma
concluso con la pubblicazione del libro Reconnaissance au Maroc che gli valse
il conferimento della medaglia d’oro da parte della Societé de géographie: era,
a 24 anni, l’ebbrezza della celebrità in tutto il mondo.
Ma durante quegli undici mesi in Marocco qualcosa di nuovo
era avvenuto: nei diversi luoghi della regione e attraverso volti sempre nuovi
aveva incontrato dei credenti. Aveva conosciuto uomini che vivevano «alla
continua presenza di Dio», e potevano averlo aperto – osserva Chatelard – a
un’altra dimensione, come scriverà lo stesso Charles: «La visione di una tale
fede, di quelle anime che vivevano alla continua presenza di Dio, mi ha fatto
intravedere qualcosa di più grande e di più vero rispetto alle occupazioni
mondane».
PER UN PIACERE
DI SEGNO OPPOSTO
Era il 1886 quando Charles, rientrato a Parigi da un viaggio di tre mesi in Algeria
e dopo il fallimento di un improbabile progetto di matrimonio, vive un momento
di insolita riflessione, trovando nell’ambiente familiare «l’esempio di tutte
le virtù, unitamente al contatto con persone di notevole intelligenza e di profonde convinzioni religiose». E
sull’onda di quell’esempio si appassionò alla virtù e orientò in tal senso le
sue letture studiando accanitamente i moralisti dell’antichità, lasciandosi in
seguito maggiormente attrarre da alcune pagine del libro di Bossuet, Élevations
sur les mystères, regalatogli per la prima comunione dalla cugina Marie de
Bondy.
Ne segue un bisogno profondo di raccoglimento, mosso
tuttavia dalla domanda «se veramente la verità potesse essere conosciuta dagli
uomini». Una domanda che divenne preghiera: «Domandai a quel Dio, nel quale
ancora non credevo, di farsi conoscere da me, se veramente esisteva»; e divenne
ricerca, subito: «Mi sembrò che la cosa più saggia fosse, nel dubbio che pure
mi abitava, studiare quella fede cattolica».
Trovò facilmente un maestro d’eccezione, al quale arrivò
attraverso una serie di circostanze: don Henry Huvelin, il sacerdote che
divenne per de Foucauld “il padre”, «come Marie de Bondy gli fu madre che lo ha
generato alla fede» svolgendo presso di lui un ruolo determinante nel processo
della conversione e oltre.
A don Huvelin «chiedevo che mi desse qualche lezione di
religione, ed egli mi fece inginocchiare e confessare, quindi mi mandò seduta
stante a ricevere la comunione», obbligandolo – commenta Chatelard – «a una
certa umiliazione davanti a Dio e proponendogli di compiere l’atto che provoca
la sua radicale conversione».
Tutto e subito, ma ora per il piacere di servire Dio: «Non
appena credetti che c’era un Dio, compresi di non poter fare altro che vivere
solo per lui; la mia vocazione religiosa risale allo stesso momento della mia
fede: Dio è così grande!».
Il desiderio della vita religiosa coincideva col suo
proposito incrollabile di vivere soltanto per Dio, lasciandosi trasformare
dalla forza misteriosa che lo attraeva per una vita opposta a quella vissuta
prima e sostituendo ai privilegi del proprio rango sociale la scelta
dell’ultimo posto. Perciò la proposta dello stesso don Huvelin che lo indirizzò
al monastero di Solesmes non lo soddisfece, come non lo convinsero i tanti
ordini religiosi passati in rassegna.
Nel frattempo un pellegrinaggio in Terra Santa nel 1888/89 –
quasi una prova generale del grande distacco da quanti amava e lo amavano,
specialmente da Marie de Bondy – gli fece gustare a Nazaret «l’esistenza umile
e oscura del divino operaio» alla quale sognava di assimilare la propria
nell’oscurità di un totale anonimato.
Ma fu poi la trappa: a Notre-Dame des Neiges in Algeria, raggiunta il 15 gennaio 1890 dopo
una giornata che rimane unica nel suo ricordo per tutta la vita, a causa di una
pienezza d’emozioni che dà la misura della sua sensibilità umana e per cui –
dimostra Chatelard con significativi brani di sue lettere – «non si può capire
nulla di tutto quel che ha scritto, del suo modo di parlare della sofferenza,
della sua preghiera... se non si coglie ciò che quel momento ha rappresentato
nella sua vita».
E neppure la trappa, a Notre-Dame des Neiges come poi ad
Akbès, gli dà nei sette anni di regolare permanenza (con il nome, dopo i voti,
di Marie-Albérique) di poter vivere l’ideale intravisto per le strade di
Nazaret. Si tratta forse «di un sogno – aveva scritto da Akbès a don Huvelin –
di un’illusione del demonio, oppure di un’ispirazione, di un invito del buon
Dio? Se sapessi che questo viene dal buon Dio, oggi stesso, senza aspettare
domani, farei i passi necessari per intraprendere tale cammino». Lo
impensieriva non l’insofferenza di alcunché ma la constatazione che pur
trovandosi alla trappa solo per il Signore gli rimaneva dentro come un anelito
in più: la vocazione alla trappa – argomenta – non è cosa nuova, mentre non
esiste un gruppo che viva unicamente nello spirito di Nazaret. E il suo
pensiero vola lontano: «Visto che non esiste e che non esiste neppure qualcosa
che gli assomigli o lo sostituisca, non bisogna tentare di formarlo?... E
formarlo con il desiderio che si diffonda soprattutto nei paesi degli infedeli,
musulmani o altri?».
Il padre spirituale esortò de Foucauld ad attendere, e a
lasciarsi prendere dalla vita della trappa; e, come spesso nelle sue risposte, un comando: «Non
fondi niente». Eppure, dopo gli avvenimenti del 1895 con i terribili massacri
degli Armeni, avviene in Charles come un risveglio dell’uomo d’azione; e pur
avendo il 2 febbraio 1896 rinnovato i voti, avverte crescere il desiderio di
Nazaret: quasi un “istinto” orientativo, per cui d. Huvelin riconosce che c’è
in lui una spinta troppo profonda verso un altro ideale.
Confidatosi con i superiori, de Foucauld chiede formalmente
di lasciare la trappa, mentre aveva già composto una prima regola per coloro
che l’avrebbero raggiunto per vivere con lui; titolo del testo: Congregazione
dei Piccoli Fratelli di Gesù. Redatto in base alla radicalità pensata per sé,
il testo turba il saggio padre spirituale che lo giudica impraticabile.
Lasciata la trappa lo si ritrova felice a Nazaret, e sono
gli anni dal 1897 al 1901, in veste di eremita. Ma l’ambiente religioso attorno
a lui gli propone “tentazioni” che allarmano Huvelin, il quale lo mette sull’avviso
e al quale obbedisce perché ne comprende, verso le proprie buone intenzioni, la
saggezza della linea su cui lo guida. Tali tentazioni, come quella di chiedere
l’elemosina per le clarisse di Gerusalemme, tradiscono il suo bisogno innato di
movimento e scorrono sul filo della preghiera e dell’obbedienza. Ma porta
avanti l’aspirazione all’Ordine sacro al quale si prepara, lasciata Nazaret,
nella trappa di Notre-Dame des Neiges dove viene accolto con grande affetto.
UN CAMMINO
VERSO QUALCUNO
Il 1901 lo trova dunque in Algeria, luogo della sua risposta
piena al mistero della propria vocazione; dove potrà realizzare «una nuova
forma di nascondimento, non più come quella che sognava a Nazaret: è il
nascondimento in mezzo a un popolo», un farsi piccolo e accessibile, essere
fratello e non padre; studiare una lingua, affezionarsi alle persone, stringere
legami di amicizia, donare e ricevere affetto semplice e fedele.
Si tratta ormai di una nuova conversione: non più
all’isolamento per vivere solo con Gesù ma alla relazione con tutti e in mezzo
alla quale Gesù non cesserà di esserci. All’allontanamento da tutto succederà
l’avvicinamento a tutti, mentre non si estinguerà la gioia di avere con sé Gesù
nell’eucaristia, compagno invisibile ma reale nella povertà e promessa di
conforto anche estremo ai militari delle varie guarnigioni presenti intorno e
dove lo sollecitavano i suoi amici-ammiratori di sempre.
«Vedo quelle regioni senza un solo prete, mi rendo conto che
sono l’unico prete in grado di raggiungerle e mi sento irresistibilmente e
sempre più spinto ad andarvi». Ed è «desiderabile che i musulmani vedano di
quando in quando un ministro di Nostro Signore» prendersi cura spirituale dei
cristiani lontani dalla patria. Non che si sentisse missionario nel senso
classico: semplicemente, entro la sua vita con i tuareg rispondeva a bisogni
del momento rendendo presente il Signore che adorava secondo il suo carisma
nella solitudine.
Un capitolo di grande spessore culturale non solo per quei
popoli erano i suoi lavori linguistici ai quali nei suoi programmi precisi
dedicava dieci ore e mezza al giorno, e che poi volle a ogni costo venissero
pubblicati anonimi, in fedeltà assoluta al proprio vivere sconosciuto come Gesù
a Nazaret. Ma non mancavano le occasioni di conversare nelle lingue vive con le
persone ormai amiche, sia a Beni Abbès che a Tamanrasset nell’Hoggar dove si
insediò nel 1905.
Ed è proprio a Tamanrasset, nella solitudine di quell’arido
altopiano, che sperimenterà la portata reale della sua scelta di abbandono a
una vita con Gesù solo. È il momento della malattia, che lo vede prostrato in
estremo esaurimento fisico, isolato dalle poche persone abitanti vicino a lui,
privo di risorse terapeutiche, senza eucaristia. Il momento in cui prova la
povertà nella sua essenza: l’aver bisogno degli altri. Il momento in cui sono i
pochi tuareg vicini e amici a salvarlo, andando «a scovare nel raggio di
quattro chilometri tutte le capre che avessero un po’ di latte in questa
terribile siccità».
Otto anni dopo, il primo dicembre del 1916, durante una
rivolta venne ucciso da una fucilata come un qualsiasi anonimo tuareg.
Zelia Pani
1 cf. CHATELARD A., Charles de Foucauld. Verso Tamanrasset,
Edizioni Qiqajon/