GLI ORIENTAMENTI DEI PAVONIANI

PERCHÉ IL CARISMA ABBIA UN FUTURO

 

Il futuro della vita consacrata è nel suo fondamento, Gesù Cristo. Su questa base vanno innestati nuova qualità di vita spirituale, nuovo spirito comunionale e familiare, nuovo impulso missionario. Così il rinnovamento diventa progettualità sostenibilea livello comunitario.

 

“Avanziamoci coraggiosi, le tracce seguendo del nostro divin maestro Gesù”. Questa espressione di Ludovico Pavoni (1784-1849) fondatore della congregazione dei Figli di Maria Immacolata (Pavoniani), secondo il superiore generale p. Lorenzo Agosti costituisce un programma per tutta la famiglia religiosa riunitasi in Consulta nel maggio 2005, per individuare atteggiamenti e percorsi che permettano al carisma di avere futuro.  Il punto di riferimento è stato il documento capitolare del 2002 e le relazioni di verifica dei superiori provinciali.

 

COMUNIONE

NON OMOGENEA

 

Notando che le province hanno applicato lo strumento capitolare in modo diverso, p. Agosti afferma: «Mi rendo conto che una delle principali difficoltà in cui ci troviamo è quella della non omogeneità delle nostre comunità, non solo tra una provincia e l’altra, ma anche all’interno di una stessa provincia… soprattutto le trasformazioni degli ultimi decenni hanno portato a molte differenziazioni… Da qui, come pure dalla differente esperienza e sensibilità dei fratelli, deriva che non tutte le comunità sono allo stesso punto di cammino; esiste una disparità di situazioni».

Ci sono comunità che stanno vivendo in modo positivo il cammino delineato dalla regola di vita e dal documento capitolare, sia a livello di preghiera e di testimonianza religiosa, sia a livello di fraternità e di missione, portate avanti con inventiva e in valida collaborazione con i laici. Alcune comunità, per le attività diversificate e una mentalità poco motivata a recepire gli orientamenti post-conciliari, non hanno ancora dato spazio concreto ai due momenti comunitari di preghiera del mattino e della sera. Altre vivono questi momenti in modo abitudinario e formale, senza curarli e quindi senza valorizzare l’incidenza rinnovatrice dell’Eucaristia, della parola di Dio, della condivisione, in un vero processo di formazione permanente. Alcune comunità non trovano tempo sufficiente per l’incontro settimanale, momenti di confronto e di revisione, ritiri periodici, esperienze di vita fraterna al di fuori del ritmo quotidiano.  In alcune comunità non si è avviata alcuna esperienza di famiglia pavoniana; in altre sono stati fatti o sono in corso esperimenti di collaborazione e di inserimento dei laici, senza un vero livello di condivisione di un progetto.

In questa situazione si comprende la difficoltà a individuare i punti nevralgici per una programmazione comune. Per camminare in tale direzione, il superiore generale ha offerto alcune indicazioni. La prima riguarda la qualità della vita spirituale in questo nostro tempo. «L’icona evangelica di Bartimeo, su cui è ritmato il documento capitolare, non ci invita soltanto a riflettere sulla nostra attività apostolica, ma anche e prima di tutto a interrogarci sulla nostra fede, sul nostro cammino di conversione, sulla qualità della nostra vita interiore, sulla nostra tensione verso la santità… Se, come ci insegna il fondatore, siamo chiamati a guardare alla realtà con i “cristalli dell’Evangelo”, siamo chiamati nello stesso tempo a vivere tutta la nostra esistenza alla luce della parola di Dio…  Sappiamo che la spiritualità rappresenta la dimensione costitutiva del discepolo di Cristo, consiste nel lasciarsi guidare dallo Spirito. Essa unisce interiorità e testimonianza, contemplazione e impegno sociale (cf. Documento 35° Cap. gen. 1996, n. 7). Questi aspetti sono inseparabili; ce lo ricorda chiaramente la nostra regola di vita: siamo “dei consacrati la cui azione apostolica, illuminata dalla contemplazione e alimentata da un’intensa vita soprannaturale, appartiene alla natura stessa della vita religiosa”».

 

NUOVA QUALITÀ

DI SPIRITUALITÀ FAMILIARE

 

Soffermandosi sull’ala contemplativa della spiritualità, p. Agosti ricorda che anche la vita consacrata è diventata globale ed è sfidata da fenomeni nuovi: la mondializzazione con le sue ambiguità e i suoi miti; la mobilità umana; il sistema economico neo-liberista ingiusto e destabilizzante; la cultura di morte e la lotta per la vita con tutte le sfide della biotecnologia e l’eugenetica; il pluralismo e la crescente differenziazione; gli aspetti della mentalità postmoderna; la sete di amore e il disordine amoroso e affettivo; la sete di sacro e il materialismo secolarizzato. «Queste sfide non costituiscono per la vita consacrata soltanto delle difficoltà ma anche delle opportunità. Di fronte a esse noi siamo chiamati a prendere coscienza non solo dei condizionamenti e delle tensioni che ci provocano, ma anche, e in maniera rinnovata, del dono e del significato della nostra vocazione e del modo di viverla oggi in tutta la sua pienezza e autenticità».

I consacrati in particolare corrono oggi il rischio di portare avanti in modo abitudinario e stanco la vita di fede, trascurando la cura della vita interiore. Vivere “a tempo pieno” la vocazione e missione comporta non avere il cuore diviso, non lasciarsi vincere da forme di evasione e di compensazione (ricercate fuori comunità, ma anche in comunità). Al congresso mondiale della vita consacrata si è detto: «In passato i religiosi alla sera andavano a pregare e poi a dormire. Adesso alla sera il tabernacolo è diventato la TV oppure il computer. Siamo passati dal tabernacolo ai ‘tabernacoli’ della TV e del computer» (Libanio). Necessario dunque ricuperare o rinsaldare l’unità del cuore, mettere cioè al centro il vero tabernacolo: Cristo; e, con Cristo, i fratelli (la comunità) e i ragazzi (la missione).

Una seconda grande indicazione concerne il paziente passaggio dall’io al noi, con spirito di famiglia e sensibilità per nuove forme di vita consacrata. P. Agosti mette in guardia dalla deriva dell’individualismo: «Mentre si è andata sottolineando l’importanza dello spirito di famiglia e della comunione di vita, un  po’ alla volta nelle nostre comunità si sono ridotti gli spazi di espressione della vita fraterna. Ci si trova per i pasti e per la preghiera (non sempre). Ma quali altri momenti di vita veramente comune  esistono ancora nel corso della giornata?... È il Signore che ci ha chiamati a vivere insieme, è la sua presenza che ci permette di trattarci bene, di amarci e di stimarci reciprocamente; è lui che ci aiuta a evitare critiche, disfattismo e giudizi categorici e a vedere nel fratello anzitutto gli aspetti positivi». Per questa operazione si sottolinea il ruolo dei superiori locali e dei vice, che devono essere sostenuti nel loro compito da momenti di incontro e di formazione.

«Ritengo stimolante, puntualizza ancora il superiore generale, prendere in considerazione le provocazioni che ci vengono dalle nuove forme di vita consacrata che oggi si vanno diffondendo… Pur nella diversità delle forme e delle espressioni e senza nascondere i loro limiti, i nuovi carismi di vita consacrata presentano alcune caratteristiche interessanti: agilità di strutture organizzative, freschezza e familiarità immediata, chiarezza di proposte, missione proposta dal basso, in modo esperienziale (chi è Cristo per te? Che significa concretamente per te essere cristiano?) e rivolta soprattutto agli adulti, proposta di una spiritualità di cammino, che dà molto rilievo alla revisione di vita, che si nutre della parola di Dio, che legge la presenza di Dio, documentata con fatti ed esempi, nella propria esistenza. La loro vita comunitaria si esprime con la proposta di modelli più caldi, anche se più rischiosi; più caldi, perché viene ridato corpo alle dimensioni  quotidiane dell’esistenza (cucina, cura della casa, feste, riposo); più rischiosi, perché il contatto più diretto mette a confronto anche le fragilità e le debolezze. Queste forme, in sintesi, possono dare a noi religiosi: spinte di creatività (che è antidoto alla ripetitività), incentivo ad una “spiritualità” più sentita e condivisa, esempi di fraternità evangelica e calorosa e di missionarietà incisiva. Queste nuove realtà ci provocano a riflettere su tre aspetti: sul come essere contemporanei, sul come essere autentici, sul come coniugare la complessità con la flessibilità».

 

PROGETTUALITÀ

SOSTENIBILE

 

Continuare a esser segno è l’ultima indicazione di fondo. La missione pavoniana si concretizza in centri di formazione professionale, scuole inferiori e superiori; case famiglia, centri per audiolesi, comunità terapeutiche, cooperative per disabili; centri di aggregazione giovanile e di ascolto, convitti, case per ferie; attività editoriale, tipografica e libraria; parrocchie e oratori, ministero pastorale, centri di accoglienza e di spiritualità;  federazione e associazioni ex allievi; associazioni di volontariato e di solidarietà. Un quadro che fa cogliere la varietà e la ricchezza delle attività apostoliche. «In questa situazione siamo chiamati ad affrontare una progettualità sostenibile».

Qui si innesta l’ala profetica della spiritualità, che richiama l’atteggiamento del “buon samaritano”, che si lascia prendere dalla compassione per il ferito che incontra sulla via. L’icona del samaritano tiene desta la passione per i giovani, soprattutto per i più disorientati ed emarginati. Forse la più grande e nuova sfida da affrontare oggi è quella della formazione, sia a livello umano (formazione della coscienza e dei valori), sia a livello di fede (apertura e incontro con Cristo).

«La sfida della formazione ci chiede oggi di arrivare al cuore delle persone, attraverso il cuore: come ha fatto il Signore e come ha fatto padre Pavoni. Dobbiamo tenere il nostro centro più nel cuore che nella testa. Dobbiamo essere presenti in mezzo ai ragazzi e ai giovani che ci sono affidati, dobbiamo stare loro accanto. Dobbiamo curare l’incontro personale, non lasciandoci eccessivamente assorbire dall’organizzazione delle attività; dobbiamo privilegiare l’accostamento delle persone (ragazzi e giovani, ma anche adulti), nell’ascolto, nell’interessamento, nel consiglio».

Non è tempo di tirare i remi in barca, ma di “prendere il largo”. «Dobbiamo fidarci del Signore e della sua Provvidenza e valorizzare tutte le nostre forze e risorse, anche se siamo in pochi e, almeno in Italia, stiamo invecchiando. Rimane sempre in agguato il peso dell’inerzia, soprattutto quando e dove manca o è scarso l’innesto di forze giovani, di nuove vocazioni». Perciò, nel contesto di una congregazione ancora prevalentemente euro-centrica (italiani e spagnoli costituiscono i quattro/quinti del totale dei fratelli) e in cui si sono ridimensionate alcune comunità e attività, p. Agosti ha evocato l’immagine di una miniera in cui l’oro si trova mescolato alle scorie. «Se ci si ferma a considerare le scorie, si può rischiare di non rendersi conto dell’oro che esiste. L’oro, nella nostra congregazione, è la fede, la disponibilità, la laboriosità, l’umiltà, la carità di molti fratelli, insieme con tutte le attività, le iniziative, i servizi che vengono svolti. Le scorie sono lo scoraggiamento, la poca inventiva, l’imborghesimento che intaccano la nostra vita e la rendono meno autentica e significativa. Scoria è lo stare seduti, il non trovare una sintesi nuova alla nostra vita, come ci sollecitano le nuove forme di vita consacrata. Dobbiamo pregare e agire, per fare opera di liberazione dalle scorie, in modo che brilli maggiormente e cresca ulteriormente l’oro, che costituisce la realtà genuina della nostra vocazione e del nostro carisma».

Davanti al dilemma: convertire i cuori o cambiare le strutture?, occorre insomma fare tutte e due le cose. La radicale rivitalizzazione di cui ha bisogno la VC trova il suo fondamento nel ripartire da Cristo, nel riformarsi in lui per svolgere meglio il suo servizio apostolico. C’è un mondo che “brucia” e non si può rimanere ripiegati su se stessi. «Dobbiamo guardare a noi stessi, ma sempre in funzione della testimonianza e del servizio che insieme siamo chiamati a offrire».

 

a cura di Mario Chiaro

 

1 Vengono utilizzati, con nostra sintesi, i contenuti della relazione di p. Agosti in apertura della Consulta generale dell’istituto pavoniano (19/5/2005).