ASPETTI PSICOLOGICI DI UN FENOMENO COMUNE
LA NOIA COMUNITARIA
È stata
definita uno stato esistenziale e psicologico che insorge quando l’esperienza
di un soggetto è progettualmente e affettivamente demotivata. S’infiltra nelle
vicende relazionali, soprattutto nella routine dei rapporti interpersonali da
cui deriva un progressivo appiattimento comunitario. Una grande risorsa è la
ricchezza della carità comune.
La noia è qualcosa che si vive quando non si sa cosa fare,
quando si perde di vista il senso delle cose, quando ci si disperde in attività
che non danno senso al nostro vivere comune. In ogni età le persone sono a
rischio di noia, perché in ogni età ci si può lasciar prendere da un senso di
vuoto da riempire con qualcosa d’altro. «Quando le persone hanno tutto e di
più, raccontava una superiora provinciale, invece di attivarsi per il bene
comune tendono a ritirarsi nelle loro camere e nel privato dei loro progetti
personali, da portare avanti sì con competenza, ma purtroppo da sole».
La noia, a una prima sommaria descrizione, è ciò in cui siamo
immersi e non ciò verso cui indirizziamo i nostri atti consapevoli. Essa
comporta in molti casi un blocco delle normali funzioni cognitive, affettive,
conative o motivazionali dell’individuo. Galimberti la definisce come uno
«stato esistenziale e psicologico che insorge quando l’esperienza di un
soggetto è progettualmente e affettivamente demotivata»1.
Un’esperienza che sembrerebbe relegata al vissuto
individuale del soggetto che si annoia, ma molte indicazioni ci fanno pensare
che è un fenomeno che interessa non solo la persona rinchiusa nel proprio mondo
dei progetti e delle aspettative personali, ma che riguarda anche e soprattutto
l’individuo calato nel divenire continuo delle abituali relazioni
interpersonali. Anche nelle relazioni comunitarie, le persone sono coinvolte e
interpellate dalla presenza dell’altro, in un continuo processo di esplorazione
tra la propria realtà intrapsichica e quella ambientale, ma nella routine
quotidiana c’è il rischio di inaridirsi quando le cose sono fatte di pura
abitudine, perdendo il senso e il gusto dell’alterità feconda. Ecco allora che
ci si annoia a stare con l’altro e con le sue differenze, fino a trasformare la
ricchezza della vita fraterna in una monotona serie di consuetudini da portare
avanti.
Molte volte si pensa che la noia sia un momento accidentale
dell’esperienza relazionale, per esempio perché le cose non sono andate bene
oggi o perché i confratelli non soddisfano le proprie aspettative, ma può
essere un indicatore specifico di quello che accade nei rapporti interpersonali
e non solo, soprattutto se tali rapporti non sono integrati con il senso
profondo della convivenza comunitaria, il “perché” che dà significato a ogni
sforzo e a ogni tentativo di migliorare, di sopportare, di accettare l’altro diverso
da me. Essa quindi può essere un aspetto rivelatore, imprescindibile, per
comprendere il nostro modo di essere nell’ambiente relazionale, e per dare
senso alle cose che facciamo.
LA NOIA RELAZIONALE
ASPETTI PSICOLOGICI
«La mia comunità? Siamo tutte iperattive, commentava una
consorella durante una sessione di formazione permanente, come tante api che si
danno da fare per il loro alveare. Ma alla fine, quando siamo strapiene di
miele, sembra che questo non basti più. Allora ci appiattiamo nella noia di
attività abitudinarie e ci dimentichiamo del perché le facciamo».
Ma che cosa ci tormenta quando siamo in preda alla noia?
Perché accade e come si sconfigge?
Inafferrabile, indescrivibile per molti aspetti, la noia è
uno strato della nostra psiche cui manca una sua qualità risolutiva. Si addice
alla persona senza qualità della nostra epoca, nel senso che è proprio di chi
non riesce a trovare il bandolo della matassa della propria esistenza. Non
perché siamo in presenza di domande cruciali che non trovano risposta, ma
perché constatiamo una mancanza fondamentale di domande e misuriamo continuamente
uno svuotamento progressivo della propria esistenza.
Un convincimento diffuso ritiene di poter ricondurre la noia
alla carenza di stimoli sensoriali, ma essa purtroppo insorge anche in
soggetti e in contesti nei quali questi stimoli sono presenti in gran numero,
come in una comunità religiosa. La noia si compone di sensazioni, emozioni e
pensieri che non si lasciano facilmente analizzare. È impenetrabile al senso,
o per lo meno non si schiude a un senso possibile dell’esistenza, essendone
privo.
Risultando improbabile l’equiparazione a un normale
disagio, la noia ha suscitato poca attenzione tra gli studiosi di problemi
psichiatrici e di psicopatologie. Si sbaglierebbe a definirla semplicemente un
sintomo o un disturbo della psiche, poiché è qualcosa di più e qualcosa
d’altro. Non si tratta di una malattia vera e propria, di depressione o di
sofferenza psichica. Non esistono cure per la noia e non bastano espedienti
come le “distrazioni comunitarie” per avviare un processo di guarigione di
confratelli o di consorelle annoiate. Anche se può sembrare paradossale o
inquietante, la noia non si cura, non sono state ancora inventate né medicine
né tanto meno tecniche appropriate di guarigione, dal momento che riguarda una
condizione di fondo della persona e solo lateralmente interessa la scienza
medica. Essa è definibile come una tonalità emotiva che riesce a porsi in
sintonia con il nucleo dinamico di maggior rilevanza dell’essere.
Se la noia è l’impossibilità di orientarsi nel tempo e nello
spazio dell’esistenza abitudinaria, con la conseguente perdita di valori vitali
e ideali, potremmo dire che il soggetto annoiato ha “perso la bussola”, “la
rotta” o, meglio ancora, ha fatto naufragio su qualcosa che non riconosce più
come stimolante e di valore.
Definita da qualcuno il “grado zero della sofferenza”, in
apparenza asintomatica, senza effetti negativi immediati che possano esser
descritti comunemente, la noia s’infiltra nelle vicende relazionali delle
persone, soprattutto nella routine dei rapporti interpersonali. Basti pensare
agli abituali comportamenti relazionali, quali il mangiare insieme, il pregare
insieme, il vedere la televisione negli ambienti e nei tempi comuni, il parlare
delle cose ordinarie, il sopportarsi insieme… In tutte queste vicende
relazionali le persone tematizzano la noia, le afflizioni, l’apatia relazionale
attraverso un processo di introspezione continua e involontaria, paragonabile
a una critica perenne, che risponde all’interrogativo di fondo “ma che senso ha
stare qui…?”.
Allo stesso tempo, la noia si differenzia dall’apatia e dal
disinteresse reciproco perché costituisce un peso per l’individuo. In modo
particolare nei contesti comunitari e di gruppo caratterizzati da un
significativo rapporto, come nelle famiglie o nelle comunità religiose. Lì la
noia si presenta come un’esperienza relazionale sovente penosa, dai risvolti
fastidiosi, che può portare a un ripiego su se stessi fino alla depressione, o
a una immersione sconsiderata nelle occupazioni e nei doveri della vita comune
interna o pastorale esterna. Haynal parla della noia come di umore organizzato
e difensivo contro un possibile stato depressivo. «Il soggetto si annoia quando
vive il suo ambiente come povero di stimoli: tale povertà può essere un dato
reale, oppure è il soggetto che si rivela incapace di trovare degli stimoli nel
mondo esterno o nella ricchezza del suo mondo interiore; oppure ancora, egli
svaluta gli stimoli che gli sono offerti»2.
Quando nelle comunità le persone si annoiano senza
accorgersene, esse sentono anche il peso di non poter attivare le proprie
competenze relazionali per uscire dallo stato di passività e sperimentare
qualcosa di diverso. In altri termini è come se la noia relazionale rendesse
piatto il modo di reperire energie e riscoprire nuove potenzialità.
Ne deriva un desiderio allo stato puro di un ideale molto
alto, accompagnato da un senso di vuoto interiore e dalla privazione di nuove
modalità di interazione. Ecco perché la noia non è soltanto una questione di
fragilità psichica o di immaturità relazionale del soggetto. La genesi della
noia va cercata in un campo diverso, quello del rapporto con l’ambiente e
quindi delle relazioni, dove è possibile verificare in modo più appropriato e
veritiero le sue molteplici sfaccettature.
INDICATORI
DELLA NOIA COMUNITARIA
Quando si insidia nel tessuto quotidiano, la noia
comunitaria ha una sorta di evoluzione per l’individuo e per il gruppo, perché
mescola insieme una condizione di inattività (pigrizia) e di attività
distruttiva (avversione), fino al ritiro e all’evitamento. Se con il passare
del tempo le persone che vivono insieme non riescono a riscoprire il senso
della loro convivenza, ecco emergere un sottile vuoto interiore che
caratterizzerà il progressivo appiattimento comunitario, una sorta di
stanchezza relazionale che prende e attanaglia gli individui e che ha
molteplici conseguenze cognitive e comportamentali. Come il senso di autocommiserazione
(“non valgo”) o di eterosvalultazione (“non sono capaci di capirmi”) o di
generalizzazione (“qui ce l’hanno tutti con me”). Sono tutti pregiudizi mentali
che si traducono in comportamenti specifici e autorinforzanti, come il ritiro,
il mutismo comunitario, la critica sferzante, l’iperattivismo esterno, con un
conseguente senso di inutilità nella vita comune interna. Per la noia
comunitaria non c’è terreno più fertile dell’incapacità di trovare un “perché”
per ricominciare ogni giorno daccapo a lavorare, darsi da fare, servire gli
altri, impegnarsi per qualcosa e per qualcuno. L’angoscia si genera quando
l’individuo è posto di fronte alla prospettiva del nulla, quando si sente
impotente di fronte alle possibilità nascoste ed è incapace di utilizzarle in
modo proficuo per sé e per l’ambiente sociale in cui è inserito.
Se da una parte questa stanchezza deriva da una alterazione
della quotidianità relazionale, la noia si presenta come la difficoltà di posizionare
gli avvenimenti presenti e futuri in un comune orizzonte di intenzionalità. La
strada viene sbarrata da impedimenti che si trovano all’interno della psiche e
che, a differenza della malinconia, sembrano avere motivazioni che permangono
dentro l’ambiente relazionale in cui ognuno è inserito.
La noia quindi deriva da una insopprimibile condizione di
disagio nei confronti dell’abitudinaria vitalità comunitaria che impedisce di
intraprendere la via del coinvolgimento personale nelle vicende relazionali del
gruppo. Con questo stato d’animo la persona si sente come psicologicamente
sospesa tra il desiderio di impegnarsi per qualcosa e la paura di provare a
farlo, perché si sente svuotata di ogni entusiasmo creativo e demotivata
rispetto ad una condizione comunitari percepita come “stagnante”.
In questo caso, l’assenza di una precisa attività del volere
psichico dell’individuo può essere avvallata da valide giustificazioni, quali
le sue aspettative disilluse, i suoi bisogni disattesi, i suoi sogni
disincantati, la delusione di trovarsi in una comunità che non è come vorrebbe.
Tale condizione di disincanto non riguarda tanto questa o
quell’altra attività, questo incontro o quel confratello, ma affiora
preponderante con il suo seguito di disagio profondo quando uno si annoia di
tutto e di niente di specifico. Questa noia pervasiva e indefinita allo stesso
tempo, che va e viene nel tessuto stesso delle relazioni, alimenta una sorta di
indifferenza nelle persone che non riescono più riscoprire il senso profondo
del loro vissuto comune.
Qualcuno potrebbe affermare che la noia è per definizione
assenza di emozione perché essa sfugge al sentire emotivo. Non credo si possa
affermare questo, perché anche la persona bloccata dalla noia relazionale si
sente emotivamente distaccata dagli altri e si rinchiude in un proprio vissuto
interiorizzato autocentrato e eterodistaccato. Più precisamente si tratta di un
vissuto emotivo che non riguarda qualcosa di specifico, ma è una sensazione
che investe il proprio mondo motivazionale, la totalità delle cose comuni.
In fondo la noia si presenta come una involontaria
protezione del proprio mondo interiore, che consente agli individui di fare le
cose comunitarie preservando il loro bagaglio emotivo dal rischio del
logoramento, svuotandolo però dalle tante potenzialità che invece potrebbero
attivare nella vita comunitaria.
LA RICCHEZZA
DELLA CARITÀ COMUNE
Accorgersi di questo processo protettivo inconsapevole
potrebbe diventare un’occasione per esplorare nuove modalità interattive che
facilitino nel gruppo la riscoperta del proprio patrimonio di risorse
interpersonali. «La comunità religiosa diventa allora il luogo dove si impara
quotidianamente ad assumere quella mentalità rinnovata che permette di vivere
la comunione fraterna attraverso la ricchezza dei diversi doni e, nello stesso
tempo, sospinge questi doni a convergere verso la fraternità e verso la
corresponsabilità nel progetto apostolico»3.
Paradossalmente, con questa prospettiva propositiva, la noia
è una situazione emotiva capace di svelare la modalità di essere dell’individuo
nel continuo fluire delle relazioni quotidiane. Lo sbigottimento, l’angoscia,
la rassegnazione, l’inoperosità, lo svuotamento interiore ne sono i possibili
correlati psicologici. Riflettere sulla condizione di noia relazionale può
essere un’opportunità per risvegliarsi dal torpore delle “solite cose
comunitarie” e risalire ai moventi fondamentali delle relazioni, una
opportunità per passare dall’indifferenza alla meraviglia, dalla negazione allo
stupore.
Se è vero che in comunità le persone si annoiano delle cose
che vorrebbero ma non ci sono («se potessi tornare giovane, diceva un
confratello molto anziano, non starei qui a perdere tempo»; e un altro: «non
c’è niente che mi interessa quando facciamo le riunioni di comunità»), tale
attenzione al “vuoto” può diventare una opportunità per accorgersi delle
risorse e dei talenti di ognuno e per condividerli e metabolizzarli nel
contesto relazionale in vista del comune progetto di consacrazione. Ciò che
caratterizza la stessa vita consacrata è proprio questa capacità di perseverare
verso il comune obiettivo, attraverso la ricchezza dei tanti doni dello
Spirito. I consacrati hanno quindi il compito di esercitare con fedeltà
creativa la loro missione di amore per i fratelli vicini presenti in comunità
come per l’umanità intera, armonizzando la routine della perseveranza nelle
piccole cose con la fantasia della carità, imparando continuamente a scambiarsi
i tanti doni della vita comune.4
In questo modo la noia relazionale diventa una provocazione
ad aprirsi a ciò che dà senso al carisma comune, diventando occasione di
crescita per un cammino che sia di vera comunione reciproca. Una opportunità
per risvegliarsi al senso di responsabilità relazionale in vista del compito
comune per la realizzazione del Regno. In questo modo ognuno «partecipa alla
missione di Cristo con un altro elemento peculiare e proprio: la vita fraterna
in comunità per la missione»5 e ne diventa corresponsabile con gli altri
presenti nella propria comunità.
Giuseppe Crea
1 Galimberti U. (1992), Noia, in: Idem, Dizionario di
Psicologia, Torino, UTET, p. 613.
2 Haynal A. (1980), Il senso della disperazione,
Feltrinelli, Milano, p. 99.
3 La vita fraterna in comunità, n. 39.
4 Ripartire da Cristo, n. 36.
5 Vita Consecrata, n. 72.