L’ARTE DI FAR NASCERE DOMANDE

 

Appare sempre più chiaro come la nuova evangelizzazione trovi forza soprattutto in due elementi combinati: la parola di Dio pregata nello Spirito e il discernimento comunitario nell’ottica della missione. Il cardinale Carlo M. Martini aveva a suo tempo avvertito l’urgenza di dare ali al binomio, offrendone una sintesi pastorale con la proposta di rileggere i Vangeli come itinerario catecumenale. Infatti la persona che ha tempo per il Vangelo, per ascoltarlo e per annunciarlo, è certamente entrato nella coscienza di ri-evangelizzarsi. Non prenderà la vita cristiana, e le responsabilità nella Chiesa, come un dovere ma come una benedizione. Non priverà l’annuncio del suo carattere liberante né lo appiattirà sul buon senso umano. Cercherà di vivere insieme a chi crede per attingere ricchezza e insieme a chi non crede per condividere ciò che ha ricevuto. Non lascerà più credere al mondo che la buona notizia sia un catalogo di regole morali.

Questa notizia ci è data, come è noto, nelle quattro versioni che Marco, Matteo, Luca e Giovanni hanno appreso nelle loro comunità e consegnato alla Chiesa: quattro voci di un coro che possono diventare metodo nella direzione di una ri-nascita spirituale. Infatti sono l’espressione di una fedeltà che si raggiunge a poco a poco, e di una fede la cui luce si scopre mentre si procede. Possono diventare per le persone del post-moderno quella mappa che aiuta a svegliare il senso della vita.

 

IL VANGELO

DEL CATECUMENO

 

In questo contesto il vangelo più antico, quello secondo Marco,1 ha una posizione del tutto particolare: ci inizia alla relazione con Gesù, ci aiuta a superare la schizofrenia tra fede e vita, ci fa vivere l’evangelizzazione come stile senza gli alibi che ostacolano una testimonianza pubblica. Si tratta di un cammino che ci mette di fronte al primo annuncio in maniera esistenziale e ci fa entrare dentro la storia di Gesù per rivivere il clima del discepolato.

Evangelo dunque del cambiamento di vita che parte dal cambio della mente. Una mente da risvegliare con la domanda chiave: chi è quest’uomo? Perché Gesù si è presentato come uno che esige una decisione per lui, una scelta che non lasci nelle abitudini infantili del religioso, ma stabilisca un rapporto adulto di fiducia. Dunque una chiamata all’ascolto perché possano aprirsi gli occhi e possa avvenire il cambio di mentalità. Se non si scopre dunque la novità della domanda, si cammina ai margini e non al centro della vita.

Genesi della buona notizia di Gesù Cristo, Figlio di Dio (Mc 1,1): sin dalla prima battuta si registrano quelle che si riveleranno come le risposte decisive al chi è quest’uomo, da parte di Pietro (“Tu sei il Cristo”, Mc 8,29) e da parte del centurione romano (“Davvero quest’uomo era il figlio di Dio”, Mc 15,39). Qui c’è la novità dalla quale scaturisce lo stupore, che può portare al rifiuto o all’accoglienza della relazione. La prospettiva evangelica infatti non è anzitutto morale ma teologica, poiché implica esattamente un cambiamento sul modo di concepire Dio e la sua immagine. La buona notizia di Gesù è propriamente un’idea capovolta di Dio rispetto a quella corrente. Non si può separare infatti colui che si fa incontro ad attese e speranze (il Cristo-Messia) da colui che concretamente le vive fino in fondo nella storia (il Figlio dell’uomo che è Figlio di Dio).

Marco è il creatore del genere evangelo, cioè di una modalità di raccontare che va oltre la raccolta dei messaggi di un opinion leader. Ci insegna che per comprendere Gesù Cristo, occorre narrarne la storia. Infatti è solo la vicenda di Gesù che può dirci chi egli sia. Il nostro autore non sceglie la via dell’autobiografia storica, ma un racconto organizzato in cinque quadri e adatto a comunicare a quei cristiani provenienti dal paganesimo, entrati in contatto principalmente con l’apostolo Pietro.

 

IL MISTERO

DI UNA IDENTITÀ

 

Il primo di questi quadri (capp. 1,1-3,6) ci mostra che Gesù ha un progetto (il regno di Dio), non spreca parole o gesti per colpire l’immaginazione della gente. In fila coi peccatori presso il fiume Giordano, ha una coscienza di sé che lo rende autorevole in parole e gesti e che spinge a seguirlo nella sua disponibilità verso i poveracci. Il secondo (capp. 3,7-8,26) situa Gesù dentro le attese del suo tempo e ce lo delinea come profeta disprezzato (in una patria restia alla novità espressa con la logica del silenzioso sviluppo di un seme), eppure pronto a dare il cibo materiale e spirituale per il popolo.

Il terzo quadro (capp. 8,27-10,52) raccoglie in unità l’identità di Gesù e del discepolo con l’immagine del servo che si dona e non del despota che si impone. L’orientamento al regno di Dio, che ha caratterizzato vita e missione del profeta della Galilea, ora tocca l’intera esistenza (relazioni familiari e sociali, scelte economiche e lavorative) e genera la sofferenza profonda di una vita quotidiana prigioniera di logiche demoniache. Il quarto (capp. 11,1-13,37) conferma il fatto drammatico che più Gesù si fa conoscere, più è rigettato. Due le logiche in campo: quella di chi si dona senza risparmio, e quella di chi sceglie la via delle apparenze. Da questo scontro emerge la nuova immagine di Dio, il quale non si vendica degli uomini ma entra nel tempio per offrirsi loro. Un’immagine di messia sconfitto che proclama la salvezza di un anti-potere che giudica la storia.

Il quinto e ultimo quadro (capp. 14,1-16,20) mostra che solo una donna sconosciuta (unzione del capo del rabbi messianico) e il centurione di guardia al Calvario (professione di fede nel crocifisso), riescono a penetrare il mistero della persona di Gesù e a intuirne l’identità. Riconoscere Gesù come Figlio di Dio non è dunque solo un atto intellettuale: quello che conta è ripercorrere la strada che egli ha rivelato come via per andare al Padre. Solo al termine della sua esperienza di sconfitta e di risurrezione, la comunità può ricevere la missione di annunciare a tutti che si entra il relazione con Dio Abbà non come ospiti o servi, ma come figli.

Ora si può comprendere perché tutto il vangelo di Marco ci appare come attraversato dalla tensione tra potenza e debolezza. Infatti, tra i miracoli (che dimostrano come Gesù sia Messia e Figlio di Dio) e la croce, si compie la novità di Dio: non si può “dire” Gesù solo quando fa un segno (qui sta il senso del cosiddetto segreto messianico); bisogna aspettare la croce: solo allora si avranno in mano tutti i termini per definirlo e annunciarlo.

Del resto, Gesù stesso nel Vangelo si definisce in modo scandaloso. Il Figlio è venuto per i peccatori: li chiama e non aspetta che essi arrivino a lui; tutte le possibilità sono ora aperte ed egli siede a mensa con loro. Il capovolgimento sta nel fatto che Gesù è venuto per servire. Servire, per lui, equivale a dare la propria vita in riscatto per molti. Servire è gestire la propria vita nella logica della solidarietà che si fa carico dell’altro. La croce quindi è la manifestazione di un Dio solidale con noi al punto da subentrare a noi! Si comprende allora perché Pietro sia definito come portavoce di satana dal Maestro: ragiona secondo gli uomini, applicando a Dio l’immaginazione degli uomini.

Sulla croce Marco ci rappresenta un Gesù tutto solo. Non c’è nessuno dalla sua parte. Al centro della scena stanno gli oltraggi, sottolineati da tre verbi: bestemmiare, prendere in giro, disprezzare/insultare. Gesù non è compreso per il fatto che non scende dalla croce. Qui si gioca chiaramente uno scontro tra la pretesa e l’evidenza: solo se cambi idea di Dio (colui che rimane sulla croce nel Cristo) ti è permesso vedere non più l’impotenza del crocifisso bensì il dono che egli fa di se stesso, cioè l’amore che lo motiva e lo sorregge.

Il kerygma è esattamente capire e comunicare questo nuovo volto di Dio come Abbà. Il Signore si è rivelato come tale proprio perché è rimasto in croce. Impossibilitato a scendere perché amante solidale fino in fondo, in mezzo alle vittime della storia. E risorge perché ha creduto in quel preciso volto del Padre e l’ha interpretato. A vincere la morte è una vita donata, che suscita domande ancor oggi.

 

Mario Chiaro

 

1 Negli ultimi decenni alcuni studiosi hanno ipotizzato che esso risalirebbe non al 70 d.C. ma al 50: vedi il volume di SARTOR P. – MARGHERI F. – NOCETI S., Le domande della fede. Marco il vangelo del catecumeno, EDB, Bologna 2005, in particolare le pp. 7-9. Gli autori (incaricati per le diocesi di Milano e Firenze del catecumenato e della catechesi per adulti) sottolineano soprattutto le domande poste dal testo e offrono 48 schede per l’accostamento continuo e integrale del racconto di Marco. La prima parte dell’opera propone una visione d’insieme su Marco e un’introduzione a ciascuna delle cinque sezioni in cui è articolato il racconto. Nella seconda parte si offrono alcuni materiali per gli accompagnatori.