I SALESIANI DI FRONTE ALL’EUROPA

TRA PROFEZIA E SOPRAVVIVENZA

 

Gli ispettori salesiani europei si interrogano. Il peso del passato e le prospettive del futuro. I valori fondamentali irrinunciabili nella relazione del card. Ratzinger. Proposte operative nel campo della ristrutturazione, della formazione, della evangelizzazione.

 

Quale presenza dei salesiani nell’Europa di domani? Ci sarà ancora un loro futuro nel continente europeo? Il sistema preventivo di don Bosco manterrà ancora la sua validità in un’Europa sempre più allargata? La carenza di vocazioni e l’inarrestabile invecchiamento dei propri religiosi, quali conseguenze potranno avere sulle tante opere e sul ridimensionamento delle strutture e delle diverse unità salesiane (regioni, ispettorie, comunità)? Sono solo alcune delle domande a cui i salesiani, accogliendo un esplicito orientamento del loro ultimo capitolo generale (il GC25) hanno provato a rispondere in un incontro di tutti gli ispettori europei nel dicembre scorso.

 

EVANGELIZZARE

I GIOVANI

 

Questo confronto “europeo”, per la verità, don Chavez lo aveva iniziato già nel marzo scorso con una prima sua lettera alla regione salesiana d’Italia (e del medio Oriente), seguita in settembre da un’analoga lettera alla regione dell’ovest e conclusa, nel marzo di quest’anno, con la lettera alla regione del nord e dell’est. Su un totale di 16.650 religiosi, ben 7.000 circa esplicano il loro ministero nel continente europeo.

Tra le sfide più urgenti, in Italia, insieme a quella vocazionale e a quella della formazione, si pone sicuramente quella del ridimensionamento e della ricollocazione delle opere. Nonostante le difficoltà, aveva scritto don Chavez, è necessario mantenere un atteggiamento positivo e di speranza. «Arroccarsi nostalgicamente e puntigliosamente su posizioni di difesa ad oltranza di opere o di circoscrizioni è un atteggiamento che non può dare frutti di vero rinnovamento: si rischia di mancare di concretezza, con il pericolo di venire piegati dalla storia stessa a delle decisioni che avremmo dovuto saggiamente anticipare».

Anticipando alcuni temi che sono poi stati ripresi nell’incontro sull’Europa, proprio scrivendo alla regione italiana aveva ribadito l’urgenza di ripensare la proposta educativa pastorale salesiana, qualificandola sempre più e sempre meglio come una esplicita proposta di evangelizzazione. «Si tratta di andare oltre le soglie della timidezza apostolica, che rischia di chiuderci in una pastorale delle attività o del trattenimento, e offrire invece una pastorale veramente missionaria, capace di coinvolgere i giovani, di farli crescere pieni di vita e orientarli, in una esperienza di fede, verso un rapporto personale con Gesù Cristo».

Insieme, però, andrebbe ridefinita con coraggio la presenza salesiana in Italia, incominciando a lasciare, ad esempio, alcune parrocchie situate nei «contesti sociali più ricchi», evitando il rischio di un appiattimento del carisma nella “parrocchialità” e privilegiando quelle opere e quelle strutture che meglio permettano di esprimere il carisma salesiano. Si tratta «di una questione di profezia e non di sopravvivenza». Se non si ha il coraggio di prendere decisioni a questo riguardo, si rischia di «camminare senza futuro, destinati ad una morte naturale». Il cambiare, invece, anche perdendo a volte una certa “sicurezza”, «manifesta vitalità e voglia di lasciarsi guidare dallo Spirito che “rinnova la faccia della terra”».

È la prima volta, ha osservato don Chavez nel suo saluto iniziale nell’incontro del dicembre scorso, che vengono convocati gli ispettori di tutto un continente per ridefinire il significato della presenza dei salesiani in un’Europa dai confini, oggi, sempre più ampi. Il progetto di un’Europa senza religione e senza Dio si manifesta non solo nel mancato riferimento alle radici cristiane nella costituzione, ma più ancora «nel tessuto sociale caratterizzato dall’irrilevanza della fede, dalla privatizzazione della religione, dalla disaffezione della Chiesa, dalla dissoluzione della famiglia, dalla rottura degli anelli di trasmissione della fede e dei valori, il rifiuto di tutto quanto possa essere cattolico».

Tra l’atteggiamento pessimista di chi pensa che il ciclo vitale della congregazione dei salesiani in Europa stia ormai raggiungendo il suo termine, aspettando soltanto che «l’ultimo spenga la luce e chiuda la porta», e quello ingenuo di quanti, restii ad ogni cambiamento, continuano ad agire come trent’anni fa, ce n’è uno più evangelico, quello delineato dalla figura di Barnaba negli Atti degli Apostoli. Solo se animati dallo zelo missionario di Paolo, dalla sua audacia nel dar vita a quelle strutture che «rendono possibile la diffusione del Vangelo» abbandonando «quelle che non vi riescono più», è possibile sottrarsi ad una morte naturale «propria di coloro che vogliono lasciare le cose come stanno, pur di non cambiare».

La fede, il Vangelo, il carisma di don Bosco non appartengono solo ai salesiani, ma sono per tutta la Chiesa e soprattutto per i giovani. L’Europa di oggi ha bisogno di Dio e del suo Vangelo più che mai, «anche se esplicitamente li rifiuta». Cristo è l’unico che può rispondere ai bisogni più profondi della persona umana. «I giovani sono la nostra patria e continuano ad avere necessità di persone adulte che vogliano accompagnarli, anche se sovente non sanno come chiederlo».

I relatori invitati ad aiutare gli ispettori salesiani a capire gli orientamenti e i diversi aspetti dell’attuale realtà europea erano stati scelti ai più alti livelli: il prefetto della congregazione per la dottrina della fede, il cardinal Joseph Ratzinger (quattro mesi prima della sua elezione al soglio pontificio), per la problematica religiosa, il governatore della banca d’Italia, Antonio Fazio, per il tema della globalizzazione, e il segretario generale del consiglio della conferenza episcopale europea, mons. Aldo Giordano, per la nuova costituzione e l’allargamento dell’Europa ai paesi dell’Est.

 

FONDAMENTI

SPIRITUALI

 

Il discorso più pertinente e anche più concreto, non solo per i salesiani, ma anche per tutti gli altri istituti religiosi e potremmo dire per tutta la Chiesa, è stato sicuramente quello del cardinal Ratzinger sui fondamenti spirituali dell’Europa, ieri, oggi e domani. Fra i tanti possibili fondamenti, ne sono stati richiamati soprattutto tre: la “incondizionatezza” dei diritti umani, che vengono molto prima di qualsiasi giurisdizione statale e di qualsiasi decisione politica, la struttura fondamentale del rapporto tra uomo e donna nel matrimonio monogamico e nella famiglia, cellula originaria nella formazione della comunità statale, e, infine, la questione religiosa, il rispetto cioè di ciò che nei confronti dell’altro è sacro.

Se, in riferimento ai diritti umani fondamentali, solo il Creatore «può stabilire valori che si fondano sull’essenza dell’uomo e che sono intangibili», nell’ambito, però, del cosiddetto “progresso della medicina” questi valori sono esposti a minacce molto serie. Basti pensare alla clonazione, alla conservazione dei feti umani a scopo di ricerca e di donazione degli organi, alla manipolazione genetica, ai traffici di persone umane, alle nuove forme di schiavitù, all’affare dei traffici di organi umani a scopo di trapianti. Anche se le finalità addotte possono essere “buone”, però non si può mai giustificare quello che sul piano morale «non è giustificabile».

In riferimento poi al matrimonio e alla famiglia, l’Europa non sarebbe più Europa «se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale scomparisse o venisse essenzialmente cambiata». Non basta parlare di diritto al matrimonio se poi, nella carta dei diritti fondamentali, «non si esprime nessuna sua specifica protezione giuridica e morale». Sono sotto gli occhi di tutti le minacce che incombono sul matrimonio e sulla famiglia, dallo svuotamento della loro indissolubilità a opera di forme sempre più facili di divorzio, alle convivenze di un uomo e di una donna senza la forma giuridica del matrimonio, alla richiesta di comunione di vita, giuridicamente riconosciuta ed equiparata al matrimonio, di omosessuali. Con queste tendenze «si esce fuori dal complesso della storia morale dell’umanità”. Non si tratta di discriminazione. Qui è in gioco la questione fondamentale di cos’è la persona umana in quanto uomo e donna. «Siamo di fronte ad una dissoluzione dell’immagine dell’uomo, le cui conseguenze possono solo essere estremamente gravi».

Introducendosi, infine, a parlare del doveroso rispetto di tutto ciò che per l’altro è sacro, il relatore è partito da una constatazione. Mentre viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio o le sue grandi figure, o chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni fondamentali dell’islam, «laddove, invece, si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale». La libertà di opinione non può esser mai libertà di “mentire” o di “distruggere” i diritti umani. «C’è qui un odio di sé dell’occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico». Della sua propria storia «vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro». Nel momento in cui si favorisce la multiculturalità si abbandona e si rinnega «ciò che è proprio».

Certo, «noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso - del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero, del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza». Se non facciamo questo, «non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere». Come andranno le cose in Europa in futuro, ha concluso Ratzinger, non lo sappiamo. Però se è vero quanto dice Toynbee, e cioè che il destino di una società dipende sempre da “minoranze creative”, allora la minoranza creativa dei cristiani credenti dovrebbe «contribuire a far sì che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità».

 

UN NUOVO

SPAZIO

 

È toccato ancora al rettor magnifico trarre, alla fine dell’incontro, una sintesi di tutti i lavori, con lo sguardo decisamente aperto al futuro della presenza salesiana in Europa. Non basta, ha detto, “rendere nuove” tutte le presenza già in atto nelle scuole, nei centri di formazione professionale, nelle parrocchie, negli oratori e centri giovanili, nelle residenze universitarie. Si impone, piuttosto, l’esigenza di inventare “nuove presenze” nel campo della evangelizzazione e della educazione alla fede, della formazione salesiana dei collaboratori, della animazione e della esplicita proposta vocazionale, della animazione e guida delle associazioni e movimenti giovanili di evangelizzazione e d’impegno. Per essere in grado di fare delle “proposte forti” bisogna puntare sulla formazione permanente, considerando la comunità e la vita quotidiana come “luogo privilegiato” di questa formazione, garantendo nello stesso tempo «un atteggiamento positivo davanti alla cultura giovanile e davanti alle sfide educative e pastorali, rendendoci capaci di leggerle in profondità e di risponderne con qualità ed efficacia, assicurando, inoltre, la formazione pastorale e spirituale dei laici collaboratori».

Oggi non basta più neanche una semplice ristrutturazione a livello di ispettorie. Bisogna intervenire ai livelli più alti, favorendo la nascita di noviziati europei, di strutture comuni per la formazione non solo dei religiosi presbiteri ma anche di specifiche comunità per i salesiani cooperatori. Con la stessa disponibilità mentale ci si dovrebbe muovere sempre più convintamene nella riscoperta della missionarietà all’interno dei paesi europei, in una sapiente valorizzazione dei mezzi di comunicazione di massa, in una maggiore presenza come famiglia salesiana nei dibattiti culturali, sociali, politici e religiosi in cui si affrontano i problemi giovanili ed educativi, in una sempre più trasparente gestione delle risorse finanziarie, testimoniando la povertà religiosa e amministrando i beni con criteri di professionalità, aiutando i confratelli a percepire i vantaggi di una corretta centralizzazione di tutti gli aspetti generali senza deresponsabilizzare, per questo, le comunità locali.

Purtroppo, ha detto il rettor maggiore, manca ancora «una mentalità europea che aiuti a superare una visione solo ispettoriale, nazionale e regionale». La divisione dell’Europa salesiana in tre regioni, poi, rende particolarmente difficoltosi i processi di comunicazione, di coordinamento e di collaborazione interispettoriale. La stessa diversità di lingue, tra una regione e l’altra, è sicuramente una grande ricchezza da una parte, ma anche un grosso impedimento nel campo dalla comunicazione e della trasmissione di tutti i messaggi dall’altra.

A questo scopo, allora, è urgente «creare una mentalità europea in tutti i confratelli, ma soprattutto nei giovani salesiani, offrendo qualche iniziativa concreta, come per esempio incontri di giovani confratelli delle varie tappe di formazione iniziale, esercizi spirituali per ispettori, scambi di giovani in ambito europeo». Ancora più urgente, forse, è la ristrutturazione delle tre regioni europee, la configurazione delle ispettorie, favorendo anche tutti i possibili processi di accorpamento e quelli di coordinamento dei vari delegati ispettoriali della formazione, della pastorale giovanile, delle missioni. Anche se il cammino è ancora molto lungo, nelle realizzazioni in atto è già possibile intravederne i semi. È questa la premessa più confortante per poter ridare nei prossimi anni «un nuovo volto alla presenza salesiana in Europa».

A.A.