A QUARANT’ANNI DALLA DEI VERBUM
BIBBIA E VITA CONSACRATA
A quarant’anni dalla
promulgazione che impatto ha avuto la Dei Verbum, nella vita consacrati. La
parola di Dio è stata realmente la prima sorgente della loro spiritualità? Si è
attuato l’auspicio di Perfectae caritatis che invita i consacrati ad avere
quotidianamente in mano la Sacra Scrittura? Un’occasione per un’utile verifica.
È motivato dire che i consacrati/e hanno una nativa
affinità con la Sacra Scrittura, in quanto sono entrambi espressione della vita
cristiana “alla sorgente”: la Scrittura come documento di fondazione della
parola di Dio, i religiosi come testimonianza trasparente e vissuta della
stessa. A ciò porta Vita consecrata (VC) che propone come icona basilare di
codesto modo di essere nella Chiesa, la trasfigurazione di Cristo narrata dai
Vangeli, la quale, come è noto, nell’esperienza storica di Gesù, rappresenta la
più alta sintesi del mistero pasquale, da sempre fonte e culmine della fede del
cristiano.
Chiediamoci: a quarant’anni da Dei Verbum, cosa è
avvenuto nel rapporto tra consacrati e Bibbia, vi è quella corrispondenza che
DV afferma al n. 25 e che VC applica al n. 94?
Ritorneremo su entrambi i testi, premettendo una diagnosi
e ponendo a conclusione dei suggerimenti.
SALUTE BIBLICA
DEI CONSACRATI?
Con necessaria lealtà devo dire che non possiedo, e prima
ancora non conosco, ricerche estese (nazionali) su questo argomento. Mi limito
a due o tre dati indiziari che possono giovare a un’autovalutazione.
Il primo dato proviene dal contesto ecclesiale comune.
Sia pur come fatto di minoranza, si assiste nella Chiesa in Italia a un
progressivo dilatarsi dell’incontro del popolo di Dio con la Bibbia, in
particolare nella forma dell’incontro diretto. I gruppi di ascolto (GdA)
sperimentano oggi una sorprendente, felice e nondimeno delicata fioritura, che
si va estendendo a macchia d’olio, in certo senso più per spinta dal basso, o
meglio per istinto della fede dei fedeli, che per decisione programmata dei
pastori. Il Settore apostolato biblico (SAB) nazionale presso l’ Ufficio
catechistico nazionale, nel suo osservatorio ha fin qui potuto registrare oltre
un migliaio di GdA a Milano, a Firenze, a Roma, oltre 600 a Venezia, e
centinaia in altre diocesi. Di questi, che sono 227, più della metà dispongono
un SAB diocesano, cioè una struttura ufficiale approvata dal vescovo per lo più
all’interno dell’Ufficio catechistico diocesano.
Di codesto “rinascimento biblico” si è avuto un segnale
veramente confortante recente convegno internazionale su La Bibbia nella vita
della Chiesa, in occasione dei 40 anni di DV, organizzata dalla Federazione
biblica cattolica mondiale.
Due tratti sono da
individuare come particolarmente significativi e portatori di futuro: la
nascita e crescita dell’esperienza biblica nelle comunità parrocchiali,
l’intervento progressivo dei vescovi che vogliono “la Bibbia in mano al
popolo”, liberandola in certo modo dal monopolio di elìte (monastiche, di
movimenti), e anche garantendone la legittimità ecclesiale (non si tratta di
una devozione fra le altre) e insieme la consistenza istituzionale. Va
ricordato che la Chiesa italiana dispone di un documento base dell’AB, La
Bibbia nella vita della Chiesa del 1995,aggiornata nel 2005 da parte dell’UCN,
L’ apostolato biblico nelle comunità ecclesiali. Orientamenti operativi
(Elledici, Leumann - Torino).
È fondato pensare che a questo flusso partecipino quanto
meno le parrocchie e strutture simili tenute da religiosi, i quali
dall’esistente possono ben ricavare un incitamento a fare ancora di più e
meglio proprio con le risorse della loro identità carismatica.
Ma è vero che tanta parte degli istituti religiosi trova
la propria via biblica fuori delle parrocchie. Vengono subito in mente le
costituzioni rinnovate, che stabiliscono un esplicito rapporto con la parola di
Dio e di conseguenza con la Bibbia. Del resto quale, più dei monasteri, poté
essere patria del Libro sacro?
Ma qui piuttosto vorrei notare quello che mi proviene
dall’esperienza di incontro con istituti e persone consacrate, e cioè quanto
sia delicato e sofferto il rapporto con la Scrittura.
Senza dubbio, ciò avviene a causa di tradizioni
spirituali preconciliari, per cui molti istituti religiosi non nati
recentissimamente si sono trovati a conoscere e praticare una spiritualità
(vita di preghiera, motivazioni ascetiche, stile di vita) con una “Bibbia ai
margini”, più che al centro, o anche a incontrarla a frammenti staccati,
secondo una esegesi sorpassata, filtrata spesso da una mentalità dottrinalista
e moralistica …
Conseguenza è che anche a quarant’anni dal concilio chi
ha fatto il noviziato in tempi passati, e ora diventato anziano (quale istituto
non è abitato oggi da molti anziani?), può risentire una certa difficoltà, se
non un rifiuto, nei confronti dell’insistenza di fare perno sul testo biblico
per la coltivazione spirituale, personale e ancor più comunitaria. Mi viene in
mente la pratica della lectio divina. Colgo dall’esperienza due problemi:
realizzarla di fatto e farla correttamente. So che molte comunità, in
particolare di religiose, la compiono, e bene. Altre non poche comunità
resistono, non si è affermata in esse la convinzione del valore della lectio
tale da diventare accoglienza operativa abituale. Ripeto che qui dico dei dati,
non dò dei numeri. A ciascuno spetta riflettere sulla propria condizione.
Ma qui farei un’altra considerazione che riguarda per sé
tutti i cristiani, ma con particolare accento i consacrati. L’incontro con la
Bibbia, se ha una forma diretta di realizzazione, quella proposta
dall’Apostolato biblico (AB), oggi in crescente espansione, non va dimenticato
che vi è anche una forma indiretta, o meglio inclusiva, ove la Bibbia è
incontrata in contesti più ampi, nelle grandi azioni di Chiesa, di cui due
maggiori sono la catechesi e la liturgia. Ecco la domanda: che ne è della
liturgia della Parola nell’Eucaristia quotidiana e soprattutto domenicale? Sia
nell’ascolto come nell’omelia? Che spazio si dà alla parola di Dio richiesta
nella celebrazione del sacramento della riconciliazione? Come viene pregato il
Salterio nella preghiera delle ore? E quanto alla catechesi, pensando al
progetto catechistico italiano, l’iniziazione cristiana è anche iniziazione
alla parola di Dio come è richiesta dalla citata Nota CEI, La Bibbia nella vita
della Chiesa, n. 27? So per esperienza che la celebrazione eucaristica è
generalmente curata e alla parola di Dio si dà attenzione meglio di prima.
Anche la recita comunitaria di Lodi e Vespri l’ho sperimentata ben fatta. Molte
altre forme di preghiera e di ascesi vedono la presenza della Scrittura come
ispirazione di fondo. Insomma ne parlo bene, e di cosa diffusa. O mi sbaglio?
UNO SGUARDO
ALLE FONDAMENTA
Dei Verbum non ha dimenticato i consacrati. Ma i
consacrati ricordano Dei Verbum?
Proviamo a richiamare alcune voci significative del
magistero. È un utile ripasso della memoria.
Partiamo dal presupposto che quanto si dice per tutti i
cristiani, riguarda sempre anche i consacrati. Perciò il primo atto da compiere
sarebbe di prendere in mano i 26 paragrafi dei 6 capitoli di DV e rinfrescarne
il ricordo. Si noteranno aspetti di particolare interesse per il nostro tema.
– Come primo viene l’asserita centralità della parola di
Dio, compresa in termini non anzitutto di verità astratta, ma di evento
gratuito di amicizia interpersonale tra Dio e l’uomo, per cui la Parola si pone
come «sostegno e vigore della Chiesa…, saldezza della fede, cibo dell’anima,
sorgente pura e perenne della vita spirituale» (24).
– Alla Bibbia compresa nel grembo vitale della grande
Tradizione, spetta il ruolo di attestazione infallibile e indispensabile dell’
evento della Parola, per cui quanto si dice della parola del Dio vivente, pur
diversa dalla Scrittura che è un libro, si applica anche al Libro. Si veda come
l’affermazione del “Padre che parla con amore ai suoi figli” compaia al n. 2
(parola di Dio) e al n. 24 (Sacra Scrittura).
– Vi è un atteggiamento fondamentale e imprescindibile
della Chiesa nel suo essere e nel suo agire : “il religioso ascolto della
parola di Dio” e insieme “ la proclamazione con ferma fiducia” di essa (1). Di
questo “ religioso ascolto” della Chiesa che non parla di se stessa, ma si fa
serva della Parola si fa oggi insistente portavoce l’attuale papa, Benedetto
XVI.
– Le conseguenze pratiche sono immediate. Le raduna bene
il c. VI, chiamato per questo la magna charta della Bibbia nella Chiesa. Ne
sottolineo alcune, in aderenza più specifica alla condizione del consacrato.
Primo: occorre riconoscere e accogliere la Scrittura come
pane della parola di Dio in unione con il Corpo di Cristo, avvertendo così,
come abbiamo fatto, che il primario esercizio di incontro con il Libro sacro è
la liturgia, segnatamente l’Eucaristia (21 e 25)
Secondo: importa disporre di un contatto diretto,
palpabile con la Scrittura, secondo la affermazione conciliare, tra le più
innovative nella prassi pastorale, almeno dal concilio di Trento al Vaticano
II: «È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura»
(22). Che ogni consacrato abbia una Bibbia personale diventa una ovvietà,
evidentemente possedendola per usarla in corrispondenza al valore intrinseco
che sprigiona. È bello pensare che la comunità possa disporre di una Bibbia
intronizzata nei luoghi e momenti vitali della sua vita. Anzitutto nel
lezionario della cappella. So di religiosi che la tengono in bella vista nella
loro stanza. Anche il testo sacro entra nell’area dei segni sacramentali.
Terzo : evidentemente ciò che conta di più è la
frequentazione della Scrittura. Ecco il passo più mirato: «Il santo sinodo
esorta con ardore e insistenza (vehementer et peculiariter) tutti i fedeli,
soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil
3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture: “L’ignoranza delle
Scritture infatti è ignoranza di Cristo”. Si accostino essi volentieri al testo
sacro, sia per mezzo della liturgia ricca di parole divine, sia mediante la pia
lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi…
Si ricordino però che la lettura della Sacra Scrittura deve essere accompagnata
dalla preghiera, affinché possa svolgersi il colloquio tra Dio e l’uomo; poiché
“quando preghiamo parliamo con lui, lui ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli
divini” (s. Ambrogio)» (25).
È tutto un programma biblico-spirituale che non toglie,
anzi accresce il bisogno di conoscere la Bibbia anche in termini
scientifici,per evitare letture scorrette, fondamentalismi e spiritualismi, a
cui i consacrati possono essere più esposti, quanto più forte è la leadership
del carisma del fondatore e molti siano i suoi scritti. Ma a questo proposito
si veda più avanti.
Non dimenticheremo quanto alla scuola di DV propone Vita
consecrata. Al n. 94 concretizza le indicazioni conciliari con un’affermazione
solenne di inizio: «La parola di Dio è la prima sorgente di ogni spiritualità
cristiana». Tre sono le connotazioni avanzate: la pratica della lectio divina,
segnatamente sui Vangeli e testi neotestamentari; la “meditazione comunitaria
della Bibbia, con una “gioiosa condivisione”, promuovendo per il popolo di Dio
“scuole di preghiera, di spiritualità e di lettura orante della Scrittura”; in
terzo luogo, frutto atteso dalla “meditazione della parola di Dio” e suo
criterio valutativo, è sia “l’intensità della contemplazione” come “l’ardore
della vita apostolica”, pervenendo a “una sorta di istinto soprannaturale” che
ha caratterizzato l’esistenza delle migliori figure di consacrati.
GUARDANDO
AVANTI
Il programma è tanto motivato quanto concreto: si tratta
di fare con la Scrittura un effettivo programma di vita, con dei compiti da
assumere. E in verità è quanto istituti e singole persone vanno facendo.
Alla luce dell’esperienza, che mi ha fatto già esprimere
dei suggerimenti, vorrei ora focalizzarne alcuni.
Magari con fatica e certamente con pazienza, si deve
passare alla pratica della lectio divina come pratica normale quotidiana. Si
noti come questa sia l’insistenza di Giovanni Paolo II in NMI 39, di Benedetto
XVI nei suoi discorsi e dei vescovi italiani negli orientamenti per il prossimo
decennio (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia 49). Rimarco tre
elementi qualificanti: fare della Bibbia il testo abituale della meditazione
personale, avvalendosi di qualche commentario aggiornato (i buoni sussidi non
mancano); stabilire la Lectio comunitaria almeno una volta alla settimana, in
cui vi sia spazio alla meditazione, ma anche alla condivisione (vero banco di
prova dello spessore della comunione e comunicazione nella comunità e grande
fattore di maturazione); per questo si richiede un animatore, che non diventi
né saccente, né colui che “parla solo lui”, ma il fratello o la sorella esperto
e umile, che si fa accogliere perché nella vita di ogni giorno è buono ed
accogliente.
In secondo luogo inviterei i religiosi, come dice Vita
consecrata, ad aiutare il popolo di Dio a partecipare alla loro mensa della
Parola, nella messa, nell’Ufficio divino, suscitando scuole di preghiera con la
Bibbia. Magari in accordo con la comunità del luogo. È un atto di grande carità
spirituale che troverà accoglienza.
In terzo luogo non si dovrebbe trascurare in nome della
Bibbia la propria tradizione (e viceversa), quella espressa dal carisma del
fondatore e dall’esperienza di vita di tanti confratelli e consorelle, uomini e
donne di Dio. Ma piuttosto leggere “biblicamente” la propria eredità
spirituale, per ricavare quegli accenti della parola di Dio che codeste persone
esemplari hanno incarnato, pur nella contingenza culturale del loro tempo. Non
dovrebbe ridursi a un astratto esercizio storiografico, ma a una interessante
ermeneutica dello Spirito, che come ha fatto le Scritture continua la sua opera
nella Chiesa, segnatamente nei fondatori.
Una postilla. Sarebbe interessante se Testimoni
suscitasse una inchiesta, un sondaggio sulle esperienze dei religiosi in
relazione al pane biblico, stimolando non solo risposte con dei sì e dei no, ma
anche l’indicazione di esperienze, di modelli, di difficoltà e soprattutto di
frutti ricavati.
(Coordinatore
Apostolato biblico nazionale)