RIPERCORRENDO IL SINODO DEI VESCOVI
L’EUCARISTIA DONO PER ECCELLENZA
Il significato del
sinodo sta nell’avere indicato soprattutto la grazia dell’Eucaristia e
l’incomparabile dono che Gesù ha fatto alla Chiesa di se stesso, della sua
persona nella sua santa umanità e della sua opera di salvezza. Le altre
considerazioni derivano tutte da questo punto di riferimento.
Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucaristia
scrive che l’Eucaristia non è solo un dono, ma «il dono per eccellenza», perché
è il dono che il Signore ha fatto alla Chiesa di se stesso, della sua persona
nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza. La Chiesa infatti,
come sottolineava anche lo Strumento di lavoro del sinodo dei vescovi, vive
dell’Eucaristia fin dalle sue origini. In essa trova la ragione della sua
esistenza, la fonte inesauribile della sua santità, la forza dell’unità e il
vincolo della comunione, l’impulso della sua vitalità evangelica, il principio
della sua azione di evangelizzazione, la sorgente della carità e lo slancio
della promozione umana, l’anticipo della sua gloria nel banchetto eterno delle
Nozze dell’Agnello (cf. Ap 19, 7-9).
Il sinodo, che ha concluso i suoi lavori il 23 ottobre
scorso, prima di ogni altra cosa, è stato un invito a rivolgere uno sguardo
contemplativo su questo grande mistero d’amore, per ammirarne tutta la
grandezza e la bellezza. Sarebbe pertanto fuorviante limitarne la portata
soltanto andando alla ricerca, quasi con “curiosità giornalistica”, su quello
che ha detto e non detto su alcuni problemi come il celibato dei preti, la
comunione ai divorziati risposati, per concludere magari che tutto è rimasto
come prima e chiudere qui il discorso.
LA CHIESA L’ACCOGLIE,
ADORA E CELEBRA
È stato proprio su questo tema del dono che i padri
sinodali hanno voluto attirare l’attenzione, sia per cancellare le “ombre” che
lo possono offuscare, sia per metterne in risalto le “luci” così che abbia a
risplendere in tutto il suo fulgore. «L’Eucaristia – leggiamo infatti nella
proposizione 4, ossia fin dall’inizio – è un dono che scaturisce dall’amore del
Padre, dall’obbedienza filiale di Gesù, spinta fino al sacrificio della croce,
reso presente per noi nel sacramento, dalla potenza dello Spirito Santo che,
chiamato sui doni dalla preghiera della Chiesa, li trasforma nel Corpo e nel
Sangue di Gesù… La Chiesa accoglie, adora, celebra questo dono in trepida e
fedele obbedienza. E apprezza e ringrazia i sacerdoti (ai quali è chiesto tra
l’altro di celebrare quotidianamente la messa) che, anche a costo di sacrifici
talvolta pesanti, assicurano alle comunità cristiane questo dono di vita e le
educano a celebrarlo in verità e pienezza».
Molti purtroppo non lo capiscono. Le proposizioni
dedicano perciò ampio spazio a descrivere la dignità che deve avere la
celebrazione eucaristica nelle sue varie parti. Di qui l’insistenza affinché
ogni singolo elemento abbia una sua precisa dignità – nella liturgia non ci
deve essere nulla di banale o di sciatto. Per esemplificare: le letture «siano
proclamate con cura, se possibile da lettori istituiti»; l’omelia deve essere
preparata «accuratamente» e trasformarsi in «una vera mistagogia, ossia una
vera iniziazione ai misteri celebrati e vissuti»; il pane e il vino che poniamo
sull’altare devono apparire sempre più «espressione dell’offerta della vita
della famiglia umana» e significare «che tutta la creazione è assunta da Cristo
Redentore per essere trasformata nel suo amore ricapitolatore, ed essere
presentata al Padre».
Rientra in queste considerazioni anche l’insistenza
affinché il Dies Domini, e la celebrazione dell’Eucaristia domenicale
riacquistino la loro centralità nella vita del cristiano e nella società. La
domenica, infatti, «è veramente il giorno nel quale si celebra con gli altri il
Cristo risuscitato, giorno santificato e consacrato al Creatore, giorno di
riposo e di disponibilità», da cui deriva allora il triplice dovere di
parteciparvi: verso Dio, verso se stessi e verso la comunità».
C’è anche un’osservazione per quanto riguarda le messe
prefestive: si dice che «se il sabato sera appartiene già alla domenica (primi
vespri) ed è permesso di adempiere al precetto domenicale con la messa
prefestiva, è necessario rammentare che è il giorno della domenica in se stesso
che merita di essere santificato perché non sia “vuoto di Dio”».
Di fronte, inoltre, a certi comportamenti che sembrano
manifestare una mancanza di fede, il sinodo ricorda che all’Eucaristia è dovuta
la massima riverenza. Ai sacerdoti è chiesto di celebrare “attente ac devote”
ricordando che «la migliore catechesi sull’Eucaristia è la stessa Eucaristia
ben celebrata» (pr. 19). Ad essi è raccomandato anche di evitare l’eccesso di
interventi, cosa che può condurre a una manipolazione della messa, come per
esempio, quando si sostituiscono i testi liturgici con testi estranei o quando
si dà alla celebrazione una connotazione non liturgica.
Ai fedeli viene ricordato che «la degna ricezione
richiede lo stato di grazia» (pr. 7), da conseguire, per chi si trovasse in
stato di peccato mortale attraverso il sacramento della Riconciliazione. Questa
riverenza deve esprimersi anche mediante i segni esterni come «la pratica della
genuflessione o di altri gesti di adorazione secondo le differenti culture»; si
raccomanda di promuovere il ringraziamento dopo la comunione, «anche con un
tempo di silenzio».
A esaltare la bellezza di questo sacramento deve
cooperare anche «l’arte sacra nelle sue varie espressioni a cominciare
dall’architettura». Così pure si ricorda che il tabernacolo per la custodia del
Santissimo Sacramento deve avere nella chiesa «una collocazione nobile, di
riguardo, ben visibile, curata sotto il profilo artistico e adatta alla
preghiera». Inoltre, che ogni altra espressione artistica deve essere di
livello e invitare alla preghiera. Perciò, è detto, «si valorizzino i sacri
segni, si faccia attenzione all’espressione artistica dello spazio, degli
oggetti e delle vesti liturgiche. Si faccia in modo che il canto e la musica
corrispondano al mistero celebrato e al tempo liturgico».
Per favorire l’amore all’Eucaristia, il sinodo inoltre
«incoraggia fortemente» l’adorazione eucaristica e chiede che «sia mantenuta e
promossa», sempre riconoscendo che questa pratica scaturisce dall’azione
eucaristica e ad essa riconduce. La proposizione 6, parlando di questo
argomento, commenta: «Così vissuta l’adorazione eucaristica sostiene i fedeli
nel loro amore e esercizio cristiano verso gli altri e promuove una maggiore
santità personale e delle comunità cristiane». Per favorirla si esorta affinché
le chiese nelle quali è presente il Santissimo Sacramento restino aperte.
Ma è tutta la vita cristiana che deve essere permeata di
spiritualità eucaristica. Come è sottolineato nella proposizione 39: «I fedeli
cristiani hanno bisogno di una più profonda comprensione delle relazioni tra
Eucaristia e vita quotidiana». Infatti, «la spiritualità eucaristica non è
soltanto partecipazione alla messa e devozione al Santissimo Sacramento. Essa
abbraccia la vita intera». Soprattutto deve essere vissuta come fonte della
missione e allargare il cuore alle dimensioni del mondo: «I fedeli sono
invitati a prendere coscienza che una Chiesa autenticamente eucaristica è una
Chiesa missionaria (pr. 42). È in questo sacramento, infatti, che la Chiesa e
il cristiano prendono coscienza di rendere grazie a Dio «in nome dell’intera
creazione, aspirando alla santificazione del mondo e lavorando per essa». Essa
si dimostra anche un mezzo efficace di sviluppo di questa spiritualità al cuore
della vita familiare, professionale, speciale e politica. Inoltre apre il cuore
ai bisogni dei più piccoli e svantaggiati e alle stesse preoccupazioni per
l’ecologia, aiutando a ritrovare un rapporto armonioso e responsabile nei
riguardi del creato.
In questo contesto le proposizioni parlano anche della
particolare attenzione che la Chiesa deve avere verso i disabili mentali. Si
chiede che, se battezzati e cresimati, sia assicurata anche a loro la comunione
eucaristica che essi ricevono «nella fede della famiglia o della comunità che
li accompagna». Comunque, è precisato, «l’impossibilità di conoscere qual è la
sensibilità effettiva propria di certa tipologia di infermi non è una ragione
sufficiente per non dare loro tutti i sostegni sacramentali di cui la Chiesa
dispone» (pr. 44).
C’è anche un esplicito riferimento ai politici e ai
legislatori a cui viene chiesta una coerenza di vita: essi devono sentirsi
particolarmente interpellati nella loro coscienza, rettamente formata, sulla
grave responsabilità sociale che si assumono quando presentano o sostengono
leggi inique. Non si può infatti separare l’opzione privata e quella pubblica,
mettendosi in contrasto con la legge di Dio e l’insegnamento della Chiesa» (pr.
47).
Nelle proposizioni viene attirata l’attenzione anche
sulla «dimensione sociale dell’Eucaristia», nel senso che «il sacrificio di
Cristo è mistero di liberazione che ci interpella». In forza di questo impegno
è necessario lavorare per trasformare le strutture ingiuste così da ristabilire
la dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio. In questo modo
l’Eucaristia diventa nella vita ciò che essa significa nella celebrazione. Si
tratta di un movimento dinamico che apre alle dimensioni del mondo: «Mette in
questione il processo di globalizzazione che non di rado fa crescere lo scarto
tra paesi ricchi e paesi poveri; denuncia quelle potenze politiche ed
economiche che dilapidano le ricchezze della terra; richiama le gravi esigenze
della giustizia distributiva davanti alle disuguaglianze che gridano verso il
cielo; incoraggia i cristiani a impegnarsi e a operare nella vita politica e
nell’azione sociale». Tra gli ambiti di azioni vengono indicati in particolare
la preoccupazione per la pandemia del HIV/AIDS, la droga e l’alcolismo. Una
singolare pastorale meritano anche i carcerati affinché anch’essi possano
partecipare all’Eucaristia e ricevere la comunione.
Dalla partecipane all’Eucaristia deve derivare inoltre
l’impegno a costruire la pace nel nostro mondo segnato da tante violenze e
guerre, e oggi in modo particolare, dal terrorismo, dalla corruzione economica
e dallo sfruttamento sessuale.
L’Eucaristia, infine, in quanto sacramento di comunione
tra i fratelli che accettano di riconciliarsi in Cristo, deve diventare anche
occasione di dialogo e di riconciliazione.
QUESTIONI
PARTICOLARI
Il sinodo si è occupato anche di alcuni problemi
pastorali, oggi molto sentiti come la scarsità di sacerdoti e il celibato
sacerdotale; lo spinoso problema dei divorziati risposati; e
dell’intercomunione e dell’inculturazione. I sinodali, pur esprimendo una certa
varietà di opinioni, nelle proposizioni hanno scelto una linea in continuità
con la prassi tradizionale, lasciando poi al papa di esprimere il suo parere
definitivo.
Circa la scarsità di sacerdoti, soprattutto in certe
parti del mondo, è detto che il problema, tenuto conto della centralità
dell’Eucaristia per la vita della Chiesa, è sentito «con acuto dolore». Ma i
padri sinodali hanno tenuto a ribadire lo stretto rapporto che nella Chiesa
latina, a differenza di quelle orientali, esiste tra il celibato e l’ordinazione.
Non è pertanto pensabile che questa prassi possa essere cambiata. Anche
l’eventuale ordinazione dei cosiddetti “viri probati”, a cui alcuni padri hanno
fatto riferimento, è stata giudicata «come una strada non percorribile». Si è
invece insistito molto sulla necessità di incrementare la pastorale vocazionale
e la preghiera per le vocazioni (tra cui anche l’adorazione eucaristica) e su
una più equa distribuzione del clero (pr. 11).
A riguardo dell’inculturazione, la proposizione 26, non
solo l’auspica, ma affida anche alle conferenze episcopali il compito di
incrementarne i tentativi tenendo presente il giusto equilibrio tra criteri e
direttive già emanate a questo riguardo.
Per quanto riguarda la “sofferta preoccupazione” verso i
fedeli divorziati e risposati, non ci sono novità rispetto alla prassi finora
seguita. Il sinodo ha ribadito l’importanza di un atteggiamento e di un’azione
pastorale di attenzione e di accoglienza nei loro riguardi, sottolineando però
che «secondo la Tradizione della Chiesa cattolica, essi non possono essere
ammessi alla santa comunione, trovandosi in condizione di oggettivo contrasto
con la parola del Signore che ha riportato il matrimonio al valore originario
dell’indissolubilità». È però aggiunto: «I divorziati risposati tuttavia
appartengono alla Chiesa, che li accoglie e li segue con speciale attenzione
perché coltivino uno stile cristiano di vita attraverso la partecipazione alla
santa Messa, pur senza ricevere la santa Comunione, l’ascolto della parola di
Dio, l’adorazione eucaristica, la preghiera, la partecipazione alla vita
comunitaria, il dialogo confidente con un sacerdote o un maestro di vita
spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza, l’impegno
educativo verso i figli. Se poi non viene riconosciuta la nullità del vincolo
matrimoniale e si danno condizioni oggettive che di fatto rendono la convivenza
irreversibile, la Chiesa li incoraggia a impegnarsi a vivere la loro relazione
secondo le esigenze della legge di Dio, trasformandola in un’amicizia leale e
solidale; così potranno riaccostarsi alla mensa eucaristica, con le attenzioni
previste dalla provata prassi ecclesiale, ma si eviti di benedire queste
relazioni perché tra i fedeli non sorgano confusioni circa il valore del
matrimonio».
Di fronte alla situazione attuale, soprattutto alla
superficialità e impreparazione con cui tanta gente contrae matrimonio, «il
sinodo auspica che sia fatto ogni possibile sforzo sia per assicurare il
carattere pastorale, la presenza e la corretta e sollecita attività dei
tribunali ecclesiastici per le cause di nullità matrimoniale (cf. Dignitas
connubii), sia per approfondire ulteriormente gli elementi essenziali per la
validità del matrimonio, anche tenendo conto dei problemi emergenti dal
contesto di profonda trasformazione antropologica del nostro tempo, dal quale
gli stessi fedeli rischiano di esser condizionati specialmente in mancanza di
una solida formazione cristiana. Il sinodo ritiene che, in ogni caso, grande
attenzione debba esse assicurata alla formazione dei nubendi e alla previa
verifica della loro effettiva condivisione delle convinzioni e degli impegni
irrinunciabili per la validità del sacramento del matrimonio, e chiede ai
vescovi e ai parroci il coraggio di un serio discernimento per evitare che
impulsi emotivi o ragioni superficiali conducano i nubendi all’assunzione di
una grande responsabilità per se stessi, per la Chiesa e per la società, che
non sapranno poi onorare» (pr. 40).
Anche sulla possibilità di ammettere fedeli non cattolici
alla comunione eucaristica, molto spesso richiesta, il sinodo ha ribadito la
prassi tradizionale “per quanto dolorosa”. La proposizione 41 dice
testualmente: «Si deve chiarire che l’Eucaristia non designa e opera solo la
nostra personale comunione con Gesù Cristo, ma soprattutto la piena communio
della Chiesa. Perciò chiediamo che i cristiani non cattolici comprendano e
rispettino il fatto che per noi, secondo l’intera tradizione biblicamente
fondata, la Comunione eucaristica e la comunione ecclesiale si appartengono
intimamente e quindi la Comunione eucaristica con i cristiani non cattolici non
è generalmente possibile. Ancor più è esclusa una concelebrazione ecumenica».
Tuttavia, «dovrebbe essere chiarito che in vista della salvezza personale
l’ammissione di cristiani non cattolici all’Eucaristia, al sacramento della
Penitenza e all’Unzione dei malati, in determinate situazioni individuali sotto
precise condizioni è possibile e perfino raccomandata».
Questi ultimi problemi non devono tuttavia far perdere di
vista tutto ciò che il sinodo ha detto riguardo al grande dono dell’Eucaristia
e alla sua centralità nella vita della Chiesa e di ogni cristiano.
Ora le proposizioni sono in mano al papa e toccherà a lui
decidere se e quando pubblicare, seguendo l’esempio di Giovanni Paolo II,
un’esortazione apostolica. E spetterà ancora a lui dire l’ultima parola su
queste ultime questioni suscitate nel sinodo ma presenti anche nello Strumento
di lavoro in cui erano raccolte le varie voci provenienti da ogni parte del
mondo – segno di una sensibilità diffusa che attende più approfondite risposte.
A. Dall’Osto