LA MISSIONE NON PERDERE NESSUNO
Pane spezzato per la vita del mondo:
questo il tema eucaristico-apostolico della Giornata missionaria mondiale del
2005, scelto a suo tempo da Giovanni Paolo II. Proprio sul rapporto tra
comunione e missione a livello globale ci paiono decisive alcune affermazioni
del cardinal Walter Kasper, presidente del pontificio Consiglio per l’unità dei
cristiani, tratte dall’introduzione di un suo recente volume: «La tentazione
attuale più grande è quella di trovare la comunione e la pace tra culture,
religioni e Chiese attraverso una relativizzazione delle pretese di verità
delle religioni, e in particolare del cristianesimo. Così facendo non solo si
pongono, fin dal principio, sotto giudizio la missione e l’evangelizzazione,
sottraendo al cristianesimo la sua sostanza più propria e interna; ma si
perdono anche il valore e la profondità del dialogo stesso. In tal modo il
dialogo non diviene altro che un parlare senza impegno e obbligo alcuno,
riducendosi a mera chiacchera. L’unico dialogo degno di questo nome è il dialogo
nella verità e nell’amore»1.
Si evince da queste considerazioni che
il futuro della missione sta nel determinare esattamente i rapporti vitali tra
comunione, dialogo ecumenico ed evangelizzazione.
COMUNIONE
ECUMENICA
Facendo tesoro della riflessione in
atto sui 40 anni dal Vaticano II, si può affermare che la comprensione di un
evento di questa portata stia ancora davanti a noi: al cuore di esso c’è la
fatica di agire secondo una profonda spiritualità di comunione, consistente nel
“fare spazio” al fratello di fede dentro l’appartenenza del corpo di Cristo
(cf. Novo millennio ineunte al n. 43). Perciò, secondo Kasper, missione ed
ecumenismo sono due forme del cammino escatologico del popolo di Dio in
pellegrinaggio tra il qui e il non ancora. Cammino che deve sempre guardarsi
dai due ostacoli del relativismo e dell’indifferentismo.
Ebbene il concilio, attraverso la nota
e discussa formula del subsistit in (la Chiesa di Gesù Cristo sussiste nella
Chiesa cattolica, LG 8) che costituisce un segno dell’approfondimento della sua
auto-comprensione, «rinuncia al trionfalismo ed esclusivismo salvifico
riconoscendo elementi della Chiesa anche fuori della sua compagine visibile… Il
popolo di Dio conta anche peccatori tra le sue file, con la conseguenza che la natura
spirituale della Chiesa non appare chiaramente ai fratelli separati e al mondo,
la Chiesa ha la sua parte di responsabilità nelle divisioni esistenti e la
crescita del regno di Dio è ritardata. D’altra parte, le comunità separate a
volte hanno sviluppato meglio alcuni aspetti della verità rivelata, cosicché,
nella situazione di divisione, la Chiesa cattolica non può sviluppare
pienamente e concretamente la propria cattolicità» (pp. 60-61).
Da qui il cardinale fa nascere il
bisogno di una visione autocritica e penitente sotto il segno della communio:
«l’unità ecumenica verso cui tendiamo significa qualcosa di più di una rete di
Chiese confessionali che, entrando in comunione d’Eucaristia e di pulpito, si
riconoscono reciprocamente… L’unità nel senso della piena communio non
significa uniformità, ma unità nella diversità e diversità nell’unità.
All’interno dell’unica Chiesa vi è posto per una diversità legittima di
mentalità, di usi, di riti, di regole canoniche, di teologie e di
spiritualità». Quindi il contributo del decreto conciliare Unitatis
redintegratio alla soluzione del problema ecumenico è la distinzione tra piena
comunione e comunione non piena: «Da questa distinzione deriva il fatto che
l’ecumenismo non mira a creare associazioni, ma a realizzare una communio, che
non significa né assorbimento reciproco né fusione».
EVANGELIZZAZIONE
DIALOGICA
Su questo scenario di comunione si
colloca la riflessione di Kasper sul posto che occupa oggi l’Europa nella
Chiesa universale. Se il nostro continente vuole avere un futuro e riscoprire
la propria missione storica, deve rinnovare le sue radici cristiane e superare
con spirito ecumenico le antiche dispute confessionali, sulla base del suo
umanesimo di stampo antico-ebraico-cristiano, «deve rielaborare in modo critico
e costruttivo i legittimi ideali dell’illuminismo e trovare una coesistenza
rispettosa e un confronto critico e costruttivo con le altre religioni presenti
in Europa, in particolare con l’islam» (p. 188 e ss.).
La risposta al terrorismo non può essere
affidata solo a mezzi militari e polizieschi, ma richiede in primo luogo forza
morale e risolutezza. «Non basta, continua il nostro autore, mettere al posto
delle certezze di fede un vago sentimento religioso o la fuga in uno
spiritualismo esoterico e sincretistico, oppure un cristianesimo del benessere
interiore. Con tali surrogati difficilmente verremo a capo delle dure sfide con
cui ci stiamo confrontando». Esse sono rappresentate dal dialogo costruttivo
con la cultura pluralistica secolarizzata e con le scienze moderne, dal
contributo a un ordine globale giusto e solidale a fronte dell’intollerabile
divario tra i pochi ricchi e i molti poveri.
Questo è la visione dentro la quale la
Chiesa deve a promuovere l’incontro rispettoso delle religioni, recependo ciò
che gli uomini hanno in comune o li spinge alla reciproca convivenza e
accettando quel che nelle altre religioni è vero e santo (Nostra aetate). «Non
vogliamo lo “scontro di civiltà” (Huntington), ma l’amicizia tra i popoli, le
loro culture e religioni. Quest’amicizia non è perseguibile grazie a un
pluralismo e a un sincretismo religiosi di tipo puramente relativistico.
L’indifferentismo che ne conseguirebbe con garantirebbe la serietà inerente a
ogni convinzione religiosa, propria o altrui, attirandosi anzi il disprezzo,
soprattutto islamico… Con tutto il rispetto per le convinzioni altrui, cogliamo
nel Vangelo il fermento capace di destare nel dialogo tra le religioni un nuovo
umanesimo integrale, che non priva l’uomo di nulla ma gli dà la pienezza della
vita» (pp. 199 e ss.).
In questo senso si tratta anche di
fronteggiare il nuovo dogmatismo del relativismo, frutto di una logica che
rifiuta l’accoglienza di fermi e diversi convincimenti. L’assenza di un punto
di vista infatti non è tolleranza, ma debolezza; non è nemmeno rispetto
dell’altro, ma superficialità. La nuova evangelizzazione allora, connessa a una
reinculturazione del Vangelo, è possibile in Europa solo se realizzata in modo
ecumenico, nella collaborazione con le altre Chiese e comunità cristiane. Con
il pieno recupero dell’obiettivo di coloro che portarono in Europa l’annuncio:
essi non si prefissero di edificare una cultura cristiana ma di annunciare al
fede in Gesù Cristo. Il Vangelo infatti è una proposta alla libertà dell’uomo, non
vuole imporre una particolare dottrina ma proporre una visione universale. Un
universalismo che comunque non ha nulla a che spartire con l’integralismo o
fondamentalismo. Il mistero di Gesù Cristo è appunto che Dio si è fatto uomo e
ha assunto la natura umana “senza confusione né separazione”. Chi segue Cristo
si fa pure lui più uomo! (GS 41). Agire perciò da cristiani nel mondo significa
farlo in modo umano, non mortificante, con valutazione realistica di se stessi.
Appunto perché fondata sull’incarnazione di Dio, la cultura cristiana germinata
in Europa è cultura della misura umana (umiltà e misericordia) e al tempo
stesso cultura sociale.
Pertanto «la fede in Cristo non porta a
un cristianesimo privatistico da sagrestia», ma a uno stile di dialogo che per
sua natura si trasforma in testimonianza. La missione così intesa diventa
“superamento dei confini” non solo geografici ma anche qualitativi: non
esportazione ma scambio e assunzione di una nuova immagine di chiesa. «Nella
missione e nell’ecumenismo, attraverso ogni sorta di contraccolpi, discussioni
e anche strade sbagliate, si prepara il futuro storico della Chiesa… Non esiste
alternativa al comune cammino che abbiamo davanti».
Mario Chiaro
KASPER W., Non ho perduto nessuno.
Comunione, dialogo ecumenico, evangelizzazione. Collana “I libri de Il Regno”,
EDB, Bologna 2005, pp. 235, € 18,00.