LINEE NELLA RIFLESSIONE CAMALDOLESE
ACQUA DI SORGENTE PER RINNOVARSI
Alla sorgente del Vaticano II, la vita contemplativa, e l’intera VC,
Possono ancora abbeverarsi per ritrovare forza profetica. Uscendo da sé per
imparare la nuova grammatica dell’ospitalità, del dialogo con le diversità
culturali e religiose, del risveglio della sapienza.
A partire dal riscontro di una scarsa presenza
del mondo monastico durante i lavori del 1° congresso internazionale della VC
nel 2004 (Passione per Cristo, passione per l’umanità), il camaldolese
Alessandro Barban ci aiuta a riflettere sul perchè, in questi ultimi anni, il
monachesimo e la VR in genere abbiano assunto due atteggiamenti che diventano
rivelativi della complessa situazione ecclesiale: attenzione ai documenti
magisteriali riguardanti la vita religiosa (Vita consecrata del 1996, Ripartire
da Cristo del 2002) ma anche impasse e attesa. I testi citati sono stati
percepiti alla fine come poco comunicativi, preoccupati di fissare punti fermi
o risposte pre-costituite e quindi riluttanti ad affrontare i nodi reali della
VR: il suo collocamento intra-ecclesiale e il suo rapporto con la storia, la
comprensione delle dimensioni autentiche della cultura post-moderna, la
pluralità delle esistenze umane, il senso dei voti ecc.1
In questi ultimi decenni, rileva
Barban, la VC «si è sentita posta all’interno della Chiesa dentro a un processo
regressivo della propria vita spirituale (si ripeteva nei testi l’importanza
della lectio divina e della preghiera, ma di fatto prevalevano forme di
pensiero e pratiche devozionali), registrando un impoverimento teologico del
cammino di fede dei/delle religiosi/e che smorzava intuizioni, ricerche,
proposte di rinnovamento della vita consacrata».
COL CONCILIO
NELLA COMPLESSITÀ
Si è creato un clima da “serriamo le
fila” e un ritorno a prassi pre-conciliari, uniformandosi a un linguaggio
dottrinale e canonico. Le attuali polarità delle comunità religiose sono
diventate il pietismo devoto e la missione caritatevole, «mentre il concilio
Vaticano II aveva prospettato alla vita religiosa di essere luogo di ascolto
della parola di Dio e di qualificare la propria missione come maturazione e
consapevolezza della fede e di educazione-formazione del popolo di Dio». Come
conseguenza, i documenti non sono riusciti a far nascere un dibattito
coinvolgente e delle scelte condivise: da qui l’attesa di molti religiosi per
un linguaggio rinnovato della fede cristiana nella complessità. Complessità più
che crisi, ecco la cifra interpretativa più confacente alla situazione
ecclesiale mondiale. Complessità che esige la riscoperta e la valorizzazione
del proprio carisma come rinnovamento continuo dell’esperienza nell’oggi, per
recuperare profezia ed evitare nostalgia o conservazione.
In questa direzione si sta muovendo la
riflessione camaldolese e se ne possono trarre indicazioni interessanti per
tutta la VC. Il tratto profetico che emerge riguarda la grammatica
dell’ospitalità, l’intreccio tra cultura e monachesimo, il risveglio della
sapienza. Alla base ritroviamo il “triplice bene” della spiritualità
romualdina, fatto di amicizia fraterna del cenobio, aurea solitudine dell’eremo
e testimonianza dell’evangelium paganorum o martirio d’amore. Questo terzo
bene, in particolare, è dono prezioso dello Spirito che spinge a comunicare il
Vangelo dentro la cultura contemporanea, attraverso il dialogo con i credenti
di altre dimensioni di fede, per arricchirsi vicendevolmente. La cella così
ridiventa luogo della presa di distanza critica dalla società e da una Chiesa
esposta al rischio di mondanizzarsi.
Il concilio, afferma Emanuele
Bargellini,2 ha offerto un diverso concetto di rinnovamento: «Non si tratta di
riparare certi guasti del momento ma di costruire un nuovo edificio, di
liberare nuova linfa vitale, partendo dalle fondamenta solide e dalla radice
sana». Il decreto conciliare Perfectae caritatis (n. 2) ha indicato i due nuovi
criteri del rinnovamento, dopo secoli di penuria spirituale. Il primo consiste
nel ritorno continuo alle fonti, il secondo nell’adattamento alle mutate
condizioni dei tempi. Entrambi i movimenti convergono nell’abbeverarsi alla
sorgente primordiale di ogni vita cristiana, Gesù Cristo come è presentato dai
vangeli. Egli è allora il modello del triplice bene, che in tal modo diventa
stile di discepolato culminante nell’auto-donazione di se stessi.
OSPITALI
PRESENTI E SAPIENTI
La vita contemplativa tende, per sua
intrinseca natura, all’unità. L’unificazione a tutti i livelli è allo stesso
tempo una pratica ascetica e un traguardo spirituale. Perciò “Cristo medesimo è
ricevuto” (cf. Regola di san Benedetto) in ogni ospite, di qualsiasi fede o
opinione religiosa egli sia.
L’ospitalità appunto è forse uno dei
gesti più elementari della vita: si viene al mondo non gettati in una vuota
insensatezza ma avvolti in uno sguardo meravigliato e protettivo. In quest’atto
primordiale di accoglienza si fa l’esperienza di essere l’uno accanto
all’altro. Accolti e ospitati dal Signore nella comunità, a ognuno è chiesto
anche di “intonarsi” agli altri. Così nella Chiesa va coltivata la particolare
sensibilità per le differenze accettate e onorate: mai senza l’altro! (Michel
De Certau). Purtroppo non è sempre così, anzi, l’altro inquieta e sembra
mettere in pericolo identità arroccate in difesa della propria specificità.
Perciò «siamo invitati da Gesù, lo sconosciuto che bussa alla porta del nostro
cuore a lasciarci toccare da un mistero, da un’origine… Per poter ospitare Dio
straniero siamo sempre chiamati a rompere un guscio, e infrangere una “legge” e
valicare una frontiera».3
Un Dio mai esauribile e afferrabile
infatti ci ospita, si fa ospitare senza catturarci o farsi catturare. In questo
sta la parabola della vita di Gesù. Ogni qual volta allora che ci raccogliamo
al centro di noi stessi e apriamo la sacra Scrittura (profondo gesto di
ospitalità), facciamo l’esperienza di essere struttura aperta all’ascolto.
«Ascolta perché se non riapri in te l’ascolto ospitale e meditante non sarai
capace di ascoltare te stesso, non sarai capace di ascoltare gli altri e quindi
di fare la positiva esperienza di essere ascoltato, accolto, ospitato».
Ebbene, l’ospitalità apre alla
necessità di entrare nel linguaggio culturale odierno. Questo significa
innanzitutto essere presenti alla visione ecologica della realtà: scoprire con
stupore il primato della connessione sulla separazione, percepire il mondo non
più come meccanismo ma come organismo, avvertire il processo di meticciamento
dell’uomo col mondo. Questo può ispirare un nuovo stile comunitario per
«imparare a compiacersi delle alterità, delle pluralità espressive, non
pretendendo di esercitare un pensiero unico, ma promuovendo la trama delle
differenze e delle sperimentazioni in una relazione sempre più grande, capace
di accogliere anche le conflittualità e i punti di vista divergenti».4
Nell’uomo contemporaneo insomma affiora una conoscenza sensibile e una
sensibilità affettiva verso la realtà. L’invito alla conoscenza sensibile
significa per la VR apprezzare l’evento Cristo come estetica che non antepone
nulla all’amore, sciogliendo osservanze ed obbedienze.
Ma la cultura odierna invita anche a
una nuova coscienza conviviale, soprattutto delle espressioni religiose. «Non
c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le
religioni senza dialogo tra le religioni. Non c’è dialogo tra le religioni
senza criteri etici globali» (Hans Küng). Proprio l’evento fondante delle
nostra fede è un atto di abbassamento di Dio nella conflittualità e quindi
anche nel rifiuto. Di conseguenza l’amore di Gesù, multiversale e oblativo (
“monastico” nel senso di aperto allo Spirito), è capace di abitare i confini
senza che questi diventino barriere.
Ecco l’invito a una comprensione dei
voti come nuovi punti di partenza: castità come far posto a chi è in ricerca,
povertà come accoglienza della precarietà e dissolvimento di costruzioni
ereditate, obbedienza come ascolto attento di quanto ci viene incontro per far
fiorire nuove forme di vita.
Per concludere, alla luce di quanto
detto su ospitalità e dialogo interculturale, la vita contemplativa non può che
produrre una nuova sapienza, intesa come una teologia che «differisce da quella
più concettuale, analitica, dialettica, puramente oggettiva, derivata dalla
tradizione scolastica. La teologia sapienziale è sperimentale, è una personale
partecipazione a quanto è conosciuto: è una modalità conoscitiva
contraddistinta dal carattere partecipativo…
La rinascita della sapienza cristiana
presso studiosi quali Casel e Vagaggini, de Lubac e Danielou, Chenu e Congar è
consistita anche in un lavoro di recupero storico-teologico che ha portato
frutto nei maggiori documenti del concilio… Al centro di questo rinnovamento è
la riscoperta del mistero di Cristo… il centro focale attorno al quale può
sorgere una nuova visione sapienziale».5
Monaci come Bede Griffiths, Henri Le
Saux e Thomas Merton hanno attraversato i confini della più antica sapienza
cristiana per integrarla con quella di altre tradizioni, in specie induiste e
buddiste, intrinsecamente connesse all’esperienza contemplativa. Compito
urgente oggi è infatti quello di «capire e articolare la relazione tra il
mistero di Cristo e la non-dualità delle tradizioni asiatiche», tra dimensione
storica e dimensione unitiva.
Possiamo pertanto immaginare quattro
movimenti della sapienza cristiana: a) risveglio; b) svolta orientale
(spiritualità ricentrata sull’identità battesimale, interpretata con la chiave
della conoscenza unitiva o non-duale); c) svolta occidentale (comprensione
della modernità come continuità tra Cristo e l’autonomia delle persone, fra
Cristo e la laicità); d) svolta globale (scoperta post-moderna di una nuova
profondità nell’incarnazione e nell’Eucaristia).
«Dio divenne uomo affinché l’uomo
diventasse Dio. Gesù Cristo è il punto d’intersezione dei due grandi assi delle
religioni del mondo: la storia salvifica e il compimento unitivo o identità
non-duale… Sono particolarmente gli scritti paolini e giovannei che si prestano
al meglio a questa interpretazione unitiva… Ireneo, seguendo Paolo, chiama
questo processo la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo… Nei grandi testi
dottrinali delle lettere agli Efesini e ai Colossesi, il mistero di Cristo è
espresso in forma quaternaria: Dio e la creazione, giudei e gentili, immaginati
come poli opposti di intersezione fra asse verticale e orizzontale, sono
condotti a unità nel corpo cruciforme di Cristo».
La riflessione sul mistero di Cristo
nel Vaticano II è coincisa con un punto di transizione epocale, all’alba di
un’età globale in cui i diversi popoli si percepiscono correlati come un’unica
umanità.
Perciò alla VC odierna è offerto il
privilegio di entrare in questa inedita relazione comunicativa con Dio e di un
diverso abitare fra e con gli uomini.
Mario Chiaro
1 Di Barban l’introduzione al volume
Come acqua di sorgente. La spiritualità camaldolese tra memoria e profezia, EDB
2005.
2 Vedi il suo saggio dal titolo Monaci
oggi nella Chiesa, op. cit., pp. 23-48.
3 Sandro Rotili, Grammatica
dell’ospitalità, op. cit, pp. 333 e seguenti.
4 Ivan Nicoletto, Presenti al presente,
op. cit., pp. 353 e seguenti.
5 Bruno Barnhart, Il futuro della
sapienza monastica, op. cit., pp. 385 e ss.