NUOVE PROSPETTIVE DELLA MISSIONE

IL SUO NOME È RICONCILIAZIONE

 

Si tratta di un recente modello teologico di missione quanto mai opportuno in un mondo lacerato da divisioni, guerre e discordie, situazioni che attendono di essere sanate. È un cammino e insieme un traguardo da raggiungere, ed è al suo interno che assume significato pieno la nostra collaborazione  alla missio Dei.

 

In questi ultimi tempi la Chiesa si è trovata, sempre più spesso, in situazioni di ingiustizia strutturale, guerre e conflitti interetnici, chiamata a ricomporre il tessuto sociale, riconciliare le persone, guarire le ferite delle vittime e dei carnefici ristabilendo la comunione. Mozambico, Sud Africa, Sierra Leone, Burundi, Rwanda, Congo ecc. sono il banco di prova della Chiesa e della sua missione di sacramento universale di salvezza. Per questo si parla della riconciliazione come di un nuovo paradigma della missione. Di questo si è occupata la Conferenza mondiale sulla missione e l’evangelizzazione, promossa dal Consiglio ecumenico delle chiese ad Atene lo scorso maggio. In quella sede p. Robert Schreiter della Catholic theological Union di Chicago ha parlato sul tema La riconciliazione come nuovo paradigma della missione.1

Constatato che questo paradigma o modello teologico di missione è recente (non lo si trova nel libro di David Bosch, La Trasformazione della missione), Schreiter afferma che si tratta di un modello particolarmente opportuno per la missione nel mondo attuale, segnato da prolungate situazioni di odio e di conflitto che attendono di essere sanate con la forza del Vangelo. Analizzando la nozione biblica di riconciliazione, come essa è presentata da san Paolo, Schreiter evidenzia tre tipi di riconciliazione. Il primo lo si potrebbe chiamare riconciliazione verticale: è Dio che riconcilia con sé un’umanità peccatrice per mezzo della morte del Figlio suo, Gesù Cristo (cf. Rm 5,1-11).

Il secondo tipo di riconciliazione, chiamata orizzontale, si realizza tra gli individui e i gruppi, per esempio tra giudei e gentili, grazie al sangue di Cristo: i Gentili ricevono la vita nel Cristo, il quale ha «abbattuto il muro di separazione, cioè l’inimicizia» e ha fatto di loro dei «concittadini» dei santi, membri della «famiglia di Dio» (cf. Ef 2,12-20). Il terzo tipo di riconciliazione, quella cosmica, si trova in Efesini e Colossesi: Dio riconcilia nel suo Cristo il cosmo, tutte le persone e le cose dell’universo (cf. Ef 1,10), facendo la pace in tutto il creato grazie al sangue del Cristo (cf. Col 1,20).

Per Paolo, la Chiesa partecipa all’opera riconciliatrice di Gesù Cristo attraverso un ministero di riconciliazione (cf. 2Cor 5,17-20) che essa, corpo di Cristo, condivide con il suo capo, Gesù Cristo. La missione della Chiesa svolge quindi un ministero di riconciliazione per cui funge da ambasciatrice per Cristo, supplicando «in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio». È nel quadro di questa triplice riconciliazione che si iscrive la missione cristiana. Radicata nella missio Dei, nell’opera cioè della Trinità, la missione della Chiesa, essa stessa bisognosa di riconciliazione, diventa lo strumento della grazia di Dio per un mondo diviso e scoraggiato. Bob Schreiter delinea la riconciliazione secondo la Scrittura in cinque brevi tesi.

1. Dio è l’autore di ogni autentica riconciliazione; noi non possiamo che partecipare alla sua opera riconciliatrice, «fungiamo da ambasciatori» in nome di Cristo (2Cor 5,20).

2. La principale preoccupazione di Dio nel processo di riconciliazione è la guarigione delle vittime. Per due ragioni: perché Dio mostra una particolare cura dei poveri e degli oppressi e, secondo, perché Dio non può permettere che la guarigione di una vittima dipenda da una conversione che il colpevole, troppo spesso, non attua.

3. Nella riconciliazione Dio trasforma sia la vittima che il colpevole in una «nuova creatura» (2Cor 5,17), perché Dio non vuole la morte di nessuno, ma che ciascuno viva.

4. Solo noi, cristiani, siamo in grado di dare un senso alla sofferenza collegandola a quella di Gesù Cristo. Questo ci aiuta a sfuggire al potere distruttore della sofferenza e ad arrivare, con lui, alla speranza della risurrezione, della vita nuova.

5. La riconciliazione sarà completa quando «l’universo intero» sarà ricapitolato nel Cristo (Ef 1,10). In attesa, la nostra riconciliazione non potrà che essere parziale e limitata, ma ci permetterà di vivere nella speranza.

 

LA RICONCILIAZIONE

CAMMINO DI GUARIGIONE

 

Nel nostro tempo si parla molto di riconciliazione, ma non è sempre chiaro quello che si vuol dire, dato che il termine è usato e deformato in contesti disparati. Per chiarirne il senso Schreiter distingue nella riconciliazione il processo e l’obiettivo, dato che la riconciliazione è il cammino e insieme il traguardo cui si vuole arrivare.

Consideriamo anzitutto la riconciliazione come processo, come maniera di procedere. È ovvio che qui si parla della dimensione sociale o orizzontale della riconciliazione, senza per questo dimenticare quella verticale che la Chiesa realizza nei sacramenti e quella cosmica che è oggetto della liturgia e dell’impegno per la salvaguardia del creato. Pur essendo queste due ultime dimensioni parti costitutive della riconciliazione, paradigma della missione, qui trattiamo della dimensione orizzontale della riconciliazione.

Noi missionari partecipiamo alla dimensione orizzontale della riconciliazione, all’opera di guarigione che Dio offre all’umanità ferita dall’oppressione e dall’ingiustizia, dalla guerra e dalla cieca distruzione, attraverso tre cammini. Il primo consiste nel dire la verità, spezzando il cerchio di omertà con cui si tenta di nascondere il male commesso contro le persone più povere e vulnerabili della società. Dire la verità è sconfiggere e correggere le menzogne che i prepotenti dicono e propalano per schiacciare gli innocenti con sensi di vergogna. Per un cristiano dire la verità non è solo denunciare dei fatti in modo vero e credibile; è farlo in nome di Dio. In ebraico la verità (‘emet) è un attributo divino. Per guarire una società spezzata e divisa bisogna dire la verità con questo spessore «teologico». Per questo tocca alla Chiesa impegnarsi a creare dei luoghi sicuri e accoglienti dove si possa dire e ascoltare la verità, infrangendo il muro del silenzio.

La ricerca della verità deve accompagnarsi alla ricerca della giustizia. Volere la giustizia senza impegnarsi a trovare la verità trasforma la giustizia in vendetta. La lotta per la giustizia presenta molti aspetti. Essa comporta la giustizia punitiva, che castiga, secondo la legge, gli autori di un male per affermare a tutti che la società riconosce il male commesso e non intende tollerarlo in avvenire. Comporta inoltre la giustizia riparatrice per ristabilire la dignità e i diritti della vittima; la giustizia distributiva, perché la guarigione e la creazione di una società giusta sarebbero impossibili se la vittima si vedesse ingiustamente privata dei suoi beni; e la giustizia strutturale, ossia un riordino delle istituzioni e dei processi della società in modo che la giustizia sia l’elemento strutturante della società. Una società giusta dovrà, in particolare, ridistribuire le risorse, amministrare con equità il diritto, garantire a tutti le cure sanitarie, l’alloggio, l’alimentazione, l’istruzione e il lavoro.

Il terzo aspetto della riconciliazione, considerata come processo, è la ricostruzione delle relazioni. Se le relazioni non sono fondate sull’equità e sulla fiducia, la società ricadrà presto nella violenza. Per migliorare le relazioni le vittime dovranno sanare la memoria per non rimanere prigioniere del passato ed espellerne le tossine legate ai ricordi della violenza e dell’emarginazione. Questo suppone che i colpevoli si pentano del male fatto, si convertano, chiedano scusa e riparino il male fatto alle vittime. Qui bisogna impegnarsi sul difficile cammino del perdono. Lo stato non deve dare amnistie e impunità prima che le vittime abbiano potuto farsi ascoltare. Perdonare non è dimenticare, ma ricordarsene in un modo differente. Perdonare non esclude di ricercare la giustizia in tribunale, soprattutto per evitare che il male venga ripetuto. Perdonare deve andare insieme con la giustizia, perché questa, da sola, può diventare vendetta che riavvia la spirale della violenza. Solo il perdono consente di eliminare le tossine dei torti subiti dalla vittima, creando uno spazio in cui il colpevole possa pentirsi e riparare. Perdonare è ricordare il passato, ma in modo che renda possibile un avvenire diverso tanto per la vittima che per il colpevole.

 

LA RICONCILIAZIONE

COME OBIETTIVO

 

Dire la verità, lottare per la giustizia, tendere al perdono sono tre dimensioni o elementi essenziali del processo di riconciliazione sociale. Tuttavia, dice Bob Schreiter, il processo di riconciliazione non procede sempre, come dovrebbe, secondo onestà, giustizia e retta intenzione, anzi, spesso, non riesce a giungere a termine, o perché rimane incompiuto oppure perché viene concluso prima del tempo o sviato per iniziativa di chi si trova in posizione di potere. Che fare in questi casi?

Questa situazione incresciosa ci porta a considerare la riconciliazione non solo come processo, ma anche come obiettivo. Non si deve credere che, dopo una lunga guerra, la pace rifiorisca e s’imponga da sola nè che la democrazia rinasca, come l’araba fenice, dalle ceneri della dittatura. Purtroppo non è così, e allora non si percorre il cammino, impegnativo e complesso, della ricerca della verità, della giustizia e del perdono, ma ci si accontenta di soluzioni di compromesso che non sono né di verità né di giustizia.

Schreiter invita perciò a distinguere, senza separarle, la riconciliazione come processo dalla riconciliazione come obiettivo. Se vogliamo che il processo verso la riconciliazione sia percorso integralmente, bisogna tener fissa davanti a noi la riconciliazione come l’obiettivo da raggiungere. È Dio che riconcilia, noi possiamo solo partecipare a quello che egli fa. Da questa consapevolezza emerge la distinzione tra ottimismo e speranza. Il primo è frutto della fiducia nelle nostre risorse e ha la sua sorgente dentro di noi. Ma è solo la speranza che ci permette di non scoraggiarci per i nostri limiti che emergono nel confronto con l’enormità del male e del peccato che vengono evidenziate nelle situazioni di ingiustizia e di oppressione. E questa viene da Dio, Da lui solo viene l’energia per andare avanti, come ha fatto con Abramo e Sara; noi viviamo nella fede, nella certezza delle cose nelle quali speriamo (cf. Eb 11,1).

 

LA CHIESA, COMUNITÀ

DI MEMORIA E SPERANZA

 

E la missione della Chiesa? La sua partecipazione alla missio Dei, intesa come opera divina di riconciliazione del mondo con Dio, le permette di essere comunità di memoria, di speranza e di autentica evangelizzazione.

La Chiesa è, prima di tutto, una comunità di memoria, che non dimentica, come vorrebbero i potenti, le sofferenze inflitte ai poveri, ma crea degli «spazi di sicurezza» dove le vittime possono dire, a voce alta e forte, i torti subiti per superare quella giusta collera che, se non riconosciuta, potrebbe avvelenare ogni prospettiva di futuro. Tali spazi fanno rinascere la fiducia e ridonano la dignità personale alle vittime. Una comunità di memoria rifiuta la menzogna che deforma la verità, serve al carnefice e danneggia la vittima. Se non si ricercasse la giustizia e non si lottasse per ristabilirla, dire la verità non servirebbe a nulla e lo spazio di sicurezza resterebbe vuoto. Pur perseguendo l’obiettivo della giustizia in tutte le dimensioni viste sopra (punitiva, riparatrice, distributiva e strutturale), una comunità di memoria si interessa anche alle prospettive di perdono e di futuro. Il difficile ministero della memoria è possibile nella misura in cui è radicato nella memoria della Pasqua di Gesù Cristo che, non avendo conosciuto peccato, si è identificato per noi con il peccato, «affinché, grazie a lui, potessimo diventare giustizia di Dio» (2Cor 5,21).

Vivere nel ricordo della passione di Cristo – che ha sofferto fino a morire ma che non è stato dimenticato da Dio – è la sorgente della speranza che ci consente di conservare la prospettiva di un mondo riconciliato, non alla maniera di un’utopia, ma come prospettiva fondata sulla memoria di ciò che Dio ha fatto in Gesù Cristo. «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, dice Paolo, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi. Siamo infatti tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati, …portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» (2Cor 4,7-10).

La riconciliazione appartiene a Dio, non a noi. Malgrado tutto quello che possiamo soffrire, non possiamo scoraggiarci, se portiamo nel nostro corpo la morte di Gesù, perché, attraverso la nostra condizione sofferente, appare l’opera di riconciliazione di Dio. Questa è la missione della chiesa: essere ministro di riconciliazione, proclamare in se stessa, corpo di Cristo, la morte e la risurrezione del Cristo. I nostri fratelli ortodossi dicono che la missione è la liturgia dopo la liturgia. La nostra missione non ha solo una valenza «politica», ma è prima di tutto la partecipazione a un’opera infinitamente più grande di noi: l’opera del Dio trinitario, il cui disegno è la salvezza e la guarigione del mondo.

 

Gabriele Ferrari s.x.

 

1 Il testo originale della conferenza di Robert Schreiter cpps, si trova nel sito del Consiglio ecumenico delle chiese (www.coe.org).