CELEBRATO IL 40° DEL “PERFECTAE
CARITATIS”
LUCI E OMBRE DI UN CAMMINO
La celebrazione ufficiale promossa dalla Congregazione per la vita
consacrata. Tanti (forse troppi) i temi e i relatori. Sfide, problematiche e
prospettive della vita consacrata oggi in Europa e nel mondo. È mancato il
confronto assembleare.
Espliciti riferimenti al congresso internazionale sulla vita consacrata del
novembre scorso.
Il decreto conciliare Perfectae
caritatis sul rinnovamento della vita consacrata ha compiuto quarant’anni. La
Congregazione per la vita consacrata ha voluto celebrare questo anniversario
con un apposito simposio, il 26-27 settembre, nell’aula del sinodo in Vaticano,
allo scopo – come ha ricordato nel suo breve indirizzo iniziale il prefetto
della Congregazione dei religiosi, mons. Franc Rodé – di gettare uno sguardo
sul «cammino che la vita consacrata, guidata dallo Spirito, ha percorso in
questi anni» e insieme «cercare segni e orientamenti che aiutino tutte le
persone consacrate a essere sempre come ha ricordato il santo padre Benedetto
XVI, testimoni della trasfigurante presenza di Dio».1
Mons. Rodé nel suo intervento ha
auspicato che la rilettura di questo fecondo cammino possa offrire nuove
prospettive per il futuro. Non è stato facile, però, per i convegnisti cogliere
queste prospettive non solo per la programmata assenza di momenti di confronto
sia assembleare che in gruppi di studio, ma anche per una mancata sintesi
finale, quanto mai opportuna, data la disparità delle tante relazioni e
comunicazioni ascoltate.
CONSACRATI
DA DIO
Diventa difficile, in questa sede, dar
ragione dei ben 17 relatori (in soli due giorni!), alcuni dei quali, di fronte
alla “inesorabilità” del tempo a disposizione, sono stati costretti a saltare
pagine intere dei testi scritti. Il primo intervento è stato quello del card.
Cottier. Il rinnovamento, ha detto, si opera soprattutto con il ritorno alle
fonti e con la riscoperta del carisma dei propri fondatori. Fra le tentazioni
più comuni da evitare ha ricordato sia quella del fissismo tutto proiettato in
un passato idealizzato, sia del nuovismo ideologico e senza identità. Ogni
forma di rinnovamento non avrà comunque successo se non sarà accompagnata da un
parallelo rinnovamento spirituale.
La testimonianza del card. Cottier è
stata ampiamente integrata dall’intervento di p. Molinari. L’esigenza, già
allora fortemente sentita, di una presentazione della vita religiosa
«teologicamente sicura, positivamente ricca e sanamente aperta» era possibile
solo aggirando e superando alcuni pericolosi scogli, quali la tendenza verso un
attivismo privo del suo principio vivificatore e spirituale, l’eccessiva
insistenza sul concetto di “personalità umana” priva del valore conferito dalla
grazia del battesimo, la mancanza di idee chiare sul rinnovamento e
sull’adattamento della vita religiosa.
Gli elementi principali del decreto
conciliare si trovano tutti anticipati nel proemio: la fecondità dell’azione
dello Spirito Santo nella Chiesa, la dimensione teologale della vocazione, la
vera natura della vita religiosa, la visione unificante dei voti religiosi, il
primato della verginità consacrata.
Prima di concludere il suo intervento
con un esplicito riferimento al ruolo dei fondatori, Molinari ha voluto
denunziare le «penose ed anche dannose conseguenze» che a proposito della
“consacrazione speciale” propria della vita religiosa, sono derivate spesso da
traduzioni «gravemente errate, sia grammaticalmente che teologicamente» di
alcuni testi conciliari. Tutte le volte che il concilio parla di “consacrazione
religiosa”, questa va intesa non come una specie di “autoconsacrazione” a Dio,
ma sempre e solo come autentica consacrazione operata da Dio stesso, una
consacrazione nuova e particolare nei confronti di quella battesimale anche se
in essa radicata. Quella che potrebbe sembrare una questione puramente
terminologica, chiama in causa, invece, l’essenza della vita religiosa stessa,
in quanto «unione e partecipazione più intima e radicale alla vita e all’opera
redentrice di Cristo».
LA VITA CONSACRATA
VISTA DALL’ESTERNO
Non rientrava negli intenti di p.
Molinari illustrare il cammino della vita consacrata dal concilio ad oggi.
Anche p. Mezzadri e mons. De Paolis non sono mai scesi sul terreno delle
“sfide” post conciliari e attuali della vita consacrata. Solo nelle sue battute
conclusive p. Mezzadri ha accennato al ripensamento della presenza dei
religiosi e alla riorganizzazione delle loro opere in corso. Attraverso
l’adattamento e l’aggiornamento i religiosi si sono “modernizzati”. Ma la
«modernità non è ancora vita. Si parla di un nuovo concilio. Per la vita
religiosa non sembra questo il percorso da fare». Peccato che il relatore,
proprio sulla base del suo interessante excursus della vita religiosa maschile
e femminile nei secoli XVI e XVII, non abbia tentato di tracciare almeno alcune
linee di fondo di questo percorso.
Tutta in prospettiva giuridica è stata,
poi, la relazione di mons. de Paolis. L’unico canone del diritto canonico che
parla delle nuove forme di vita consacrata, ha sottolineato, è il 605. Se dal
punto di vista canonico la Chiesa ha dimostrato in passato di saper modificare
le sue leggi anche sugli istituti di vita consacrata, allora, nella situazione
attuale, «non pare che il problema sia eminentemente e prima di tutto
giuridico. Le difficoltà sembrano oggi provenire dallo stile di vita che le
nuove comunità presentano. La Chiesa non vede come si possa additare in tali
forme di vita un cammino sicuro oggettivamente, ossia in base alla normativa
che le regola, verso la santità».
Cercando di chiarire come la vita
consacrata oggi sia vista dal mondo esterno, Michelina Tenace ha esordito
evidenziando un certo disagio di fronte a quanti si chiedono chi sia mai il
soggetto in questione. Si tratta della “gente”, dei “laici”? È comunque vero il
fatto che oggi la vita consacrata è apprezzata e disprezzata insieme, «è
considerata indispensabile alla stessa esistenza e identità della Chiesa, ma
anche considerata secondaria rispetto alla responsabilità di tutti di vivere la
consacrazione del battesimo».
L’ECO DEL CONGRESSO
INTERNAZIONALE
Dopo una sintesi molto concreta delle
critiche da una parte e dei motivi di apprezzamento dall’altra nei confronti
della vita consacrata, la Tenace ha illustrato alcune antinomie che sono oggi
costitutive della vita consacrata stessa: dalla radicalità e normalità
all’umanesimo e divinizzazione, all’azione e contemplazione, alla fuga mundi e
missione ad gentes¸ alla fragilità e integrazione, alla persona e comunità, al
martirio e compimento. Se, come dice Benedetto XVI, i religiosi sono chiamati
ad essere testimoni della trasfigurante presenza di Dio, questo cosa può
concretamente significare? Se attraverso la trasfigurazione il Signore si
rivela come Figlio da ascoltare e da seguire, preparando la pasqua e
anticipando la pentecoste con l’esperienza dello Spirito che apre gli occhi per
vedere la divinità nell’umanità, allora la mentalità eucaristica e l’esperienza
dello Spirito non possono non essere il presupposto dell’attuale rinnovamento
della vita consacrata.
Letture più problematiche e attuali
delle tante sfide della vita consacrata, anche e soprattutto alla luce dei
quattro decenni postconciliari, sono state quelle offerte sia dai presidenti
delle unioni dei superiori e delle superiore generali che dalle comunicazioni sulle
realizzazioni e le prospettive della vita consacrata nei vari continenti del
mondo. Attraverso questi interventi sono riecheggiate nel simposio alcune
tematiche di fondo del congresso internazionale sulla vita consacrata del
novembre scorso Passione per Cristo, passione per l’umanità.
Oggi, ha detto Rodriguez Echeverría, i
religiosi sono invitati a uscire dall’Egitto, ad attraversare il mar Rosso, a
incontrare popoli stranieri. Solo in questo modo la vita consacrata può
diventare una esperienza appassionata di Dio. Solo in questo modo è possibile
affrontare le sfide del secolarismo, del contagio neoliberista e consumista,
dell’individualismo, della professionalizzazione della missione dei consacrati,
della istituzionalizzazione a tutti i costi, della clericalizzazione della vita
consacrata, della non valorizzazione della vita religiosa laicale, della
complessità della inculturazione e dell’impatto con le nuove tecnologie. «Non
dobbiamo pretendere di essere un potere o una organizzazione imponente o di prestigio…
Per noi è una questione solo di amore. Unendo mistica e profezia sull’esempio
di Cristo, bisogna saper dare la propria vita per i piccoli, i giovani, i
poveri, gli infermi, gli adulti, tutti gli uomini che il Signore ci ha
affidato».
Anche Terezinha Rasera non poteva non
riferirsi al congresso internazionale di cui, per altro, era stata presidente.
Dopo una panoramica sulla vita consacrata femminile nei vari continenti, ha
accennato ad alcune mutazioni epocali in corso oggi nel mondo. Facendo sua una
espressione di Olóriz, ha osservato che l’universo femminile costituisce una
chiave interpretativa senza la quale non si può pensare oggi a una più profonda
umanizzazione del mondo. Purtroppo le religiose, in quanto donne, condividono
le stesse condizioni di povertà, di mancanza di libertà e di istruzione, di
lavoro remunerato delle donne di tutto il mondo. Anche all’interno della Chiesa
incontrano spesso grandi difficoltà e soffrono situazioni di emarginazione.
Nel momento in cui la vita consacrata
entra nelle dinamiche del modello neoliberale, rischia di perdere la sua forza
simbolica e la sua testimonianza profetica. Ciò di cui soffre maggiormente la
vita consacrata è una certa forma di struttura giuridica e sociale nella quale
è stata troppo a lungo inquadrata nel corso della storia, soffocata dal
legalismo, privata della sua libertà e radicalità evangelica. Proprio per
questo la vita consacrata oggi è chiamata a un conversione radicale, a un
ritorno alla profezia, non solo personale ma soprattutto comunitaria. Stiamo
soffrendo la crisi della “centralità occidentale”. Da qui angustie,
inquietudini, insicurezza e sconforto. In questo orizzonte di crisi e di
mutazioni la vita consacrata è sfidata a inculturarsi aprendosi interamente al
Vangelo; deve uscire dai propri conventi per scoprire le vie delle nostre
città, gli emigranti, le prostitute e i prostituti, quanti vivono al di fuori
di ogni sicurezza e garanzia umana. Solo in questo modo, in questa crisi
epocale, la vita consacrata femminile deve saper affrontare la più radicale di
tutte le sue sfide: rendere visibili al mondo attuale i valori del Vangelo.
Solo trasversalmente, nel corso di
questo simposio, sono ritornati i temi di fondo più ampiamente sviluppati dai
quindici gruppi di studio del congresso internazionale sulla vita consacrata.
Una esplicita risonanza si è avuta anche nella relazione della madre Antonia
Colombo sul servizio dell’autorità. L’attenzione prioritaria alle persone, il
modello comunionale, il criterio del coinvolgimento, la condivisione della
corresponsabilità, il ministero dell’accompagnamento e della animazione della
comunità, il primato dello spirituale sul manageriale, la comunione con i
laici, l’ascolto del grido dei poveri, sono solo alcuni ambiti da cui non si
può assolutamente prescindere oggi nell’esercizio dell’autorità.
Molto denso, infine, è stato il
discorso affidato a singoli relatori sulla situazione attuale della vita
consacrata nei diversi continenti. È sintomatica la consonanza con le
conclusioni dei gruppi continentali del congresso internazionale. Quello che là
era il risultato di un incontro a più voci, qui invece è stato oggetto di una
riflessione sistematica affidata a singoli e qualificati relatori. Ha
impressionato soprattutto la relazione dell’arcivescovo di Boston, il
cappuccino mons. Sean Patrick O’Malley (impedito all’ultimo momento dal
partecipare di persona al simposio) sulla situazione della vita consacrata
negli Stati Uniti. Sono bastati pochi dati statistici a far comprendere la
gravità della situazione. Dal 1965 al 2005 i religiosi sacerdoti sono passati
da 23.000 a 14.000, i religiosi fratelli da 12.000 a 5.000, le religiose da
180.000 a 68.000, il tutto a fronte di un aumento della popolazione cattolica
da 45 a 65 milioni di abitanti.
Questa crisi, ha commentato mons.
O’Malley, non culminerà con la morte della vita consacrata negli Stati Uniti.
Si è detto convinto più che mai che, anche a questo riguardo, vita mutatur, non
tollitur. Rispetto alle rivalità del passato oggi c’è una maggior collaborazione
fra i diversi istituti religiosi. Una grande speranza è riposta
dall’arcivescovo di Boston nelle nuove comunità di vita consacrata.
Occorrerebbe, tuttavia, una maggior interazione da parte dei vescovi e degli
istituti più antichi con queste nuove realtà. Se in un prossimo futuro il
numero dei consacrati negli Stati Uniti sarà sicuramente sempre più ridotto,
grazie alle nuove comunità e ai membri consacrati dei tanti movimenti
apostolici ed ecclesiali, la speranza non morirà.
Angelo Arrighini
1 Fra i tanti relatori è stato
soprattutto il p.