OLTRE I NOSTRI SCHEMI

 

Caro Direttore,

le scrivo dopo aver letto l’articolo “E se fosse un tempo di grazia?”, pubblicato sul numero 10/2005 di “Testimoni”. L’autore dell’articolo, riporta, in sostanza, il pensiero di Josè Maria Vigil.

Quanto questi dice si ritrova in molti altri interventi di specialisti della vita consacrata. Tutti avvertiamo la gravità della situazione, che la vita consacrata sta affrontando. Le diagnosi che vengono fatte sono quasi perfette; forse, anche vere, almeno seguendo criteri umani di valutazione. Ma dopo diagnosi precise e indovinate, non si riesce a indicare terapie altrettanto mirate.

Anche il Vigil non fa eccezione. Parla di rifusione, ma che cosa vuol dire? Parla di un nuovo linguaggio, un nuovo sistema di valori, una nuova ragion d’essere…; ma basta l’aggettivo nuovo per proporre qualcosa di veramente nuovo? Invita la vita consacrata a investire “le sue principali energie e le sue migliori risorse umane nel pensare il futuro, nell’investigare la vera natura della crisi attuale…”; non è un appello un po’ troppo generico?. E, infine, l’articolo conclude: “Si impongono urgentemente mutazioni e cambiamenti sostanziali”. Ma quali nel concreto?

Noi religiosi e religiose ci sentiamo dire queste cose ormai da oltre quarant’anni e, a detta proprio di quelli che ce le dicono, siamo al “collasso” della vita consacrata nel mondo occidentale? E allora?

Non sono così ingenuo da non vedere la complessità e la gravità del problema; solo che da un po’ di tempo sono tentato di dare molto meno credito a questo tipo di approccio alla vita consacrata: analisi, individuazione dei problemi, proposte di soluzione. È uno schema utile, indispensabile per “studiare” la vita religiosa; non smuove, però, il cuore di nessuno dei religiosi e delle religiose. Perché?

Sembra che da più parti ci si stia indirizzando verso un’analisi che metta finalmente a nudo il vero problema: scarsa vita di fede nei consacrati e consacrate. Chiamare la crisi con il suo vero nome credo ci responsabilizzi tutti, e non solo gli studiosi di vita consacrata, a fare la nostra parte.

Chiedo scusa per l’approssimazione di queste righe, davvero scritte di getto, ma ho voluto esprimere un disagio, forse solo mio…

Con stima e gratitudine per il vostro prezioso lavoro.

 

Fr. Stefano Baldini, cappuccino

 

 

Senza dubbio c’è un eccesso di analisi e tutte, come lei giustamente scrive, ripetono le stesse cose. Mi pare tuttavia che il titolo di quell’articolo ci offra una chiave di lettura che ci consente di considerare con maggior serenità la cosiddetta “crisi” di cui tanto si parla. E se fosse tempo di grazia? È una domanda che dobbiamo coraggiosamente porci. Non sarebbe forse opportuno mettere un attimo da parte i nostri criteri “sociologici” di analisi, per cercare invece di discernere ciò che lo Spirito vuole dirci?

Forse allora troveremmo risposte più convincenti e potremmo guardare avanti con maggiore fiducia e speranza. (A.D.)