ANCORA SULLA DIREZIONE SPIRITUALE
IN ASCOLTO DELL’AZIONE DI DIO
Compito del
direttore spirituale è di essere attento all’azione del Dio nelle persone che
dirige, di aiutarle a divenire sempre più consapevoli di questa azione dentro
di loro, di aiutare le persone a stare con le loro esperienze e a non fuggire
dalla sacra voce di Dio. Egli deve essere un uomo di preghiera e ricco di
riflessione teologica.
C’era una volta la “direzione spirituale”: così si
potrebbe chiosare oggi una riflessione su una pratica che, per un verso, sembra
essersi atrofizzata nel popolo cristiano e, per altro verso, viene confusa con
il sacramento della riconciliazione, arrivando a considerarla: a) come una
implicita richiesta di iniziazione cristiana, che il direttore spirituale deve
esplicitare all’interno di un cammino di ritrovata consapevolezza cristiana; b)
come aiuto personale di fronte a profondi disagi, malesseri e/o difficoltà
spirituali (qui non va confusa la direzione spirituale con un cammino
psico-terapeutico, anche se è importante la conoscenza delle dinamiche psicologiche
sia durante il sacramento della penitenza, sia nell’esercizio della direzione
spirituale); c) come discernimento cristiano dell’esistenza: per rinnovare
scelte già operate o farne di nuove, più corrispondenti alla struttura
individuale e ai carismi personali. Ci sembra perciò significativo ogni sforzo
di rilanciarla, con rinnovato rigore ma anche secondo la sensibilità e gli
stili relazionali odierni. Ignatius Feaver ofm, al capitolo dei frati
cappuccini della provincia lombarda, la scorsa estate, ci aiuta in questo senso
con una riflessione situata in un orizzonte più ampio, dal momento che coniuga
direzione spirituale e formazione del post-noviziato.
La direzione spirituale è stata uno dei ministeri della
Chiesa presenti fin dall’inizio, anche se non era necessariamente chiamata con
tale termine. Si usavano definizioni come: guida spirituale, consigliere
spirituale o accompagnamento spirituale. Leggiamo di persone che si recavano
nel deserto per cercare la guida spirituale dei padri e madri del deserto.
Oggi, questo ministero richiama immediatamente il metodo di sant’Ignazio o a
quello di san Giovanni della Croce. Ma, secondo Feaver, che tiene corsi
residenziali su questo tema, si può parlare di accompagnamento nel cammino
spirituale personale anche a partire da una prospettiva francescana. «Se noi
prendiamo la lettera di san Francesco a frate Leone possiamo avere un saggio di
cosa sembra essere per san Francesco la direzione spirituale: “Frate Leone,
frate Francesco tuo ti dà salute e pace. Così dico a te. figlio mio, come una
madre, che tutte le parole che abbiamo detto in via, brevemente in questa frase
riassumo a modo di consiglio; e dopo non ti sarà necessario venire da me per
consigliarti, poiché così ti dico: in qualunque maniera ti sembra meglio di
piacere al Signore Iddio e di seguire i suoi passi e la sua povertà, fatelo con
la benedizione di Dio e la mia obbedienza. E se credi necessario per il bene
della tua anima, o per averne conforto, venire da me, e lo vuoi, o Leone, vieni
(FF 249-250)». Da questo testo, si identifica il “cuore” del cammino spirituale
nel seguire i passi e la povertà di Cristo. Infatti Francesco, secondo Feaver,
esperto formatore di formatori della provincia canadese, «vede il suo ruolo
come madre, con tutto quello che ciò comporta... tenerezza, educazione,
empatia, amore, ascolto. Egli comunica il suo profondissimo rispetto per la
libertà interiore di fra Leone. In queste parole così brevi Francesco descrive
l’essenza della direzione spirituale, che è anzitutto un profondo rispetto per
la presenza e l’azione di Dio nell’altro». Da qui si può anche intuire il
legame fra i principi della spiritualità (e quindi la formazione) e le abilità
necessarie per la direzione spirituale.
ABBANDONARSI
ALL’AMORE
La direzione spirituale innanzitutto mette a fuoco come
una persona vive con Dio e come Dio vive con lei. L’invito della direzione
spirituale è quello di arrendersi all’Amore. Infatti questo è quello che
impegnò san Francesco e san Bonaventura: per entrambi il “terreno” di tale resa
è l’esperienza vissuta quotidianamente. E l’invito di Dio è di abbandonare
tutto il nostro io – intelletto, vita affettiva e volontà – poiché in questo
consiste la sapienza. «La direzione spirituale riguarda esattamente
l’accompagnamento di una persona che desidera entrare in questo abbandono». Di
fatto possiamo anche affermare che questo è il principale scopo della
formazione. L’abbandono di tutto il nostro essere avviene nel contesto di una
profonda relazione con Dio. Ora, in linea con la tradizione francescana,
secondo Feaver, «il compito del direttore spirituale è di ascoltare l’azione
del Dio Uno e Trino nelle persone che dirige, di aiutarle a divenire sempre più
consapevoli di questa azione dentro di loro, di aiutare le persone a stare con
le loro esperienze e a non “fuggire” dalla sacra voce di Dio». L’oggetto della
direzione spirituale è aiutare la persona a stare nel momento presente, perché
è proprio nel momento presente che possiamo discernere la presenza di Dio più
chiaramente. Quello che conta infatti non è il ricordo di un’esperienza di Dio
passata o sperata.
Tutto ciò è importante anche nella dinamica della
formazione. Come formatori si è chiamati ad apprendere l’arte di accompagnare i
giovani consacrati per facilitare l’approfondimento della loro relazione con
Dio. Questo non può avvenire se non sono presenti quattro aspetti. In primo
luogo si tratta di stabilire una base di fiducia: «può accadere che i formatori
sono lì perchè il provinciale ve li ha messi, non perché lo desiderino; di conseguenza
essi guidano i giovani con “regole” e “programmi” ma con poco cuore. Quando i
giovani percepiscono questo, essi non aprono il loro cuore». In secondo luogo è
necessario che il formatore sia consapevole di entrare in un terreno sacro:
«Dio sta già lavorando in quella persona. È una terribile responsabilità essere
invitati ad assistere e a camminare con qualcuno nella sua relazione con Dio.
Comunque, è importate per i formatori il sapere di essere stati invitati
all’interno della vita spirituale di un’altra persona; altrimenti nessuno ha il
diritto di invadere quello spazio».
In terzo luogo si chiede al formatore di sviluppare un
cuore in ascolto: «Questo è forse il compito più difficile, sia nella direzione
spirituale che come formatore. Accade così spesso di dare una risposta prima
che la domanda sia posta. Il giovane in formazione non parlerà di quello che ha
nel cuore se è giunto alla conclusione che il formatore non ascolta oppure ha
tutte le risposte. Al di là e oltre il racconto espresso dal giovane, il
formatore è in ascolto dell’azione dello Spirito di Dio nella sua vita, dei
suoi profondi desideri».
Infine il formatore è in ascolto di quelle aeree della
vita che necessitano di discernimento: «Qualcuno parla della direzione
spirituale come di un discernimento permanente. Si tratta di questo, di
imparare ad ascoltare come la volontà di Dio agisce nella vita del formando. A
livello di postulato è la esplicita domanda sulla chiamata di una persona a
questa vita. Nel noviziato è l’attenzione all’invito di Dio ad approfondire
questa relazione. E nel post-noviziato è il discernimento del discepolato».
L’ACCOMPAGNATORE
E IL FORMATORE
Un importante principio di spiritualità insegna che
l’esperienza di guidare gli altri è una fonte per la crescita della propria
personale relazione con Dio. Si può dire lo stesso del formatore. Ogni persona
donata da Dio a una fraternità religiosa è incentivo a rinnovarsi nello spirito
della specifica vocazione di un istituto. Così, nel ministero del direttore
spirituale, l’attenzione a ciò che avviene dentro di sé è decisivo altrettanto
quanto l’essere presenti alla persona diretta.
Questo atteggiamento conduce alla consapevolezza che
questo ministero è profondamente “incarnazionista”. Perciò le domande terribili
che il direttore o formatore deve porsi continuamente sono: ho dato tutto me
stesso al ministero della formazione? Quali sono le non libertà o i blocchi
nella mia vita che potrebbero interferire con l’azione di Dio nella vita di chi
sto accompagnando? Quali sono le mie pre-comprensioni riguardo alla vita
religiosa?
Con questo spirito di conversione continua, secondo
Feaver, la spiritualità generata da un carisma arriva a toccare il centro
vitale della persona, cioè il profondo desiderio di essere amato da Dio. Sia la
direzione spirituale che la formazione esplorano infatti questo desiderio nel
contesto delle relazioni e della cultura di ciascuno. La sfida per il
formatore, come per il direttore spirituale, è di entrare in questo “luogo” con
il coinvolgimento della propria vita personale. Si tratta di un processo molto
lontano da una concezione lineare di perfezione: «È un movimento nel quale
ognuno è contemporaneamente un pellegrino e un peccatore che è amato, sostenuto
e portato alla pienezza dall’Amore di Dio».
Quanto detto porta direttamente al tema della preghiera:
essa è ascolto dell’azione dello Spirito di Dio nella vita, in luoghi di
solitudine e di contemplazione. Se non si prega, non c’è nessun “contenuto” per
una direzione spirituale e una formazione di qualità. Come dice san Paolo: «…
lo Spirito scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti
dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui?.. Ora noi … abbiamo
ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato...»
(1Cor 2,10-16).
Accanto all’orazione, un altro importante esercizio, che
Feaver è giunto a sperimentare come vitale per il suo compito, è la riflessione
teologica. Essa è un processo di integrazione della quotidiana esperienza di
vita con la fede e il carisma specifico. La riflessione teologica infatti
«alimenta la crescita di una fede matura perché mette in relazione l’esperienza
di vita con la sapienza dell’eredità cristiana. Per praticare la riflessione
teologica dobbiamo essere capaci di prestare attenzione e di ricercare il
significato della nostra esperienza individuale, del nostro mondo e della
nostra eredità religiosa».
Nel processo di formazione del post-noviziato questo
significa disponibilità a riflettere comunitariamente sui voti e, con la cooperazione
degli organi di governo dell’istituto, sul vissuto storico della fraternità.
Proprio la riflessione teologica infatti è «una sorta di direzione spirituale
comunitaria nella quale lo Spirito Santo è il direttore».