IL DETTO E NON DETTO DEL CONGRESSO
OCCORRE UNA TRIPLICE AUDACIA
Riflettendo sul
detto e sul non detto, sulle indicazioni del congresso, ci sembra che le doti
richieste oggi ai religiosi, alle comunità e agli istituti per il cammino
futuro si possano sintetizzare nella virtù dell’audacia, del coraggio, sotto
vari aspetti e in molteplici settori.
Illuminanti sono le relazioni e le successive riflessioni
che Testimoni ha dedicato al congresso sulla vita consacrata. Hanno raccontato
l’avvenimento (sia detto per inciso non molto seguito e recepito a livello di
base) nei suoi tratti essenziali, evidenziato aspetti positivi e negativi, non
nascosto reticenze, silenzi e omissioni. Ne è uscito un ritratto chiarificatore
e istruttivo sulla realtà e le attese della vita consacrata del nostro tempo e
i suoi problemi, come pure la sua volontà di continuare a essere presente nella
vita della Chiesa e della società come testimonianza viva del Vangelo. Non è
certo giunta al termine della sua storia, nonostante le riconosciute difficoltà
di ripensarsi in termini nuovi, di riposizionarsi negli ambiti di una cultura e
di un’attualità sempre cangianti ed esigenti. Anzi in questa continua sfida
alla trasformazione senza tradire la propria anima la vita consacrata trova
l’energia di aprirsi continuamente al futuro.
Riflettendo sul detto e sul non detto, sulle indicazioni
del congresso, e in modo particolare sulle analisi e le annotazioni dei gruppi
di studio, ci sembra che le doti richieste oggi ai religiosi, alle comunità e
agli istituti per il cammino futuro si possano sintetizzare nella virtù
dell’audacia, del coraggio, sotto vari aspetti e in molteplici settori. Diamo
qui per scontata la fondamentale audacia delle radici, sulla quale ha
giustamente insistito il congresso, cioè l’ardire di radicarsi nella parola di
Dio, di credere e affidarsi allo Spirito, di esprimere nella vita e nell’agire
la luminosità e la forza del proprio carisma.
AUDACIA DI INCARNAZIONE
E DI SEGNO
Sono sempre formidabili ed esemplari le parole iniziali
della Gaudium et spes, il documento conciliare che a 40 anni dalla sua
promulgazione non ha perso nulla dell’importanza e della verità dei suoi
principi: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini
d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le
gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla
vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità
(…) si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua
storia». Sono affermazioni che tracciano il profilo del credente, laico e
consacrato, e additano i luoghi del vivere e dell’agire del cristiano. Per il
consacrato sono la richiesta della necessità e dell’obbligo di fare risuonare
la Parola, di cui dovrebbe essere il comunicatore per eccellenza, nelle
mutevoli condizioni della storia, per essere fedele al mandato dell’annuncio
ricevuto – con tutta la Chiesa – di Cristo: il suo “Andate” invia non ad
astratte e impersonali situazioni, ma alle concrete realtà culturali – fatte di
carne e di sangue – dei popoli e degli individui.
Il compito è di fare “vedere Gesù” ai “greci” (Gv 12,
20s) di ogni tempo – i lontani, gli immemori, i superficiali – che, nonostante
tutte le difficoltà personali e culturali, lo cercano, magari inconsciamente,
nella loro sete di senso, di autenticità, di giustizia. Con l’atteggiamento di
valorizzare totalmente l’umano e il terreno, anche se a questo non ci si deve
fermare, che se è autentico è anche spirituale, facendo risuonare nel cuore
l’eco delle loro ansie e attese. Il credente sa che oggi Dio lo percepiamo e lo
riconosciamo nel Cristo incarnato che con la sua umanità partecipa intimamente
alla storia dell’uomo e diviene il modello dell’atteggiamento del vero suo
discepolo, che lo “si riconosce abitato dal fuoco divino” – per ricordare
Simone Weil – non dal modo “in cui parla di Dio, ma dal modo in cui parla delle
cose terrestri”. Il religioso, come ogni cristiano, è confortato, nella sua
incarnazione per e dentro la storia, dal comportamento stesso di Dio, che con
l’Alleanza è entrato in un rapporto strettissimo con le realtà umane, facendosi
comunione di doni e di amore e richiedendo all’uomo una risposta esistenziale,
fatta di storia e di quotidianità.
AUDACIA DI PROFEZIA
E DI PRESENZA
La vita consacrata – ha messo in rilievo il congresso – è
stimolata dal complesso degli elementi del momento storico a rinnovarsi
continuamente, radicata nella Parola e nell’esempio di Cristo e rivolta alla
cultura del proprio tempo. La natura della vita religiosa si precisa –
nell’esplicitazione del carisma – nella comunione piena con le necessità e le
esigenze dell’uomo, come richiede la Gaudium et spes.
È noto come la vita consacrata sia chiamata dai numerosi
documenti del magistero a essere profezia per il nostro tempo (cf. ad esempio:
Lumen gentium 44; Evangelii nuntiandi 69; Vita consecrata 84-87) e non certo
per presentarsi quale unica e ispirata voce di Dio e al di sopra delle
debolezze umane e spirituali della gente, ma piuttosto per divenire l’umile e
sempre perfettibile modello di una vita ispirata ai valori di Dio, nella
percezione esatta della relatività delle realtà terrene e della necessaria
apertura alle realtà trascendenti. In questa prospettiva profetica, la
ricordata piena comunione con le istanze dell’uomo si deve coniugare con
l’avvertita irriducibilità della vita consacrata con le mode e gli andazzi del
tempo. Proprio come i profeti biblici che erano profondamente inseriti nei
problemi religiosi, sociali e politici del loro popolo, ma per additarne le
deficienze secondo i progetti di Dio e indicarne le soluzioni secondo la sua
Parola.
La profonda solidarietà con l’ambiente e la cultura non
deve portare i religiosi all’omologazione, che significa sempre perdita di
identità e di slancio della loro funzione profetica, perché allora non si ha
più nulla da dire di diverso e di costruttivo anche per la società: in questo
caso la lettura della storia non coglie più la distanza tra la visione
prospettica della parola di Dio e la realtà in atto e la vita consacrata non ha
più nessuna testimonianza da proporre per colmare questo distacco.
L’atteggiamento profetico richiesto al consacrato richiede discernimento, una
virtù più volte sottolineata al congresso: non deve assolutamente estraniarsi
dalla città terrena, che vede il sudore e le fatiche dell’uomo, per guardare
con estatica anticipazione la città futura, ma nello stesso tempo deve
ricordare che essere nel mondo non vuol dire e non richiede essere del mondo.
Il religioso – come ogni cristiano – considera la città futura come la
realizzazione e la definitiva costruzione della città dell’uomo, che ha
contribuito a edificare seguendo i valori umani, individuali e sociali,
ispirati alla parola di Dio. Il modello supremo dei profeti del NT è sempre
Cristo, che ha camminato nella nostra storia in piena condivisione con le
persone del suo tempo, che ogni giorno incontrava peccatori, emarginati,
reietti, ma che a tutti annunciava le alternative strade della redenzione,
dell’amore e della giustizia.
La profezia è un invito – autenticato dalla vita – a
compiere un viaggio, progressivo e magari altalenante ma continuo, alla
comprensione del disegno di Dio per l’umanità. È la proposta, forte e non
accomodante, dei valori del Vangelo, che sono sempre e dovunque proposte
vitali, contro ogni cultura rafferma, immobile, contenta, propiziata da coloro
che hanno tutto l’interesse a congelare l’esistente, visto come l’optimum dai
benestanti, per i quali ogni rivendicazione di miglioramento è vista come pericoloso
sovvertimento della (loro) società. È l’interrogarsi che i consacrati debbono
compiere ogni giorno sul dovere di leggere il tempo alla luce di Dio, sul come
essere segno per l’uomo e la società, sul dove portare il vangelo, sul modo di
comunicarlo. La profezia è esigente.
AUDACIA DI TESTIMONIANZA
E DI FUTURO
La profezia non è patrimonio personale, non è chiusura
compiaciuta in un rapporto individuale con Dio, non è privilegio da conservare
in modo geloso. Ma è comunicazione, rivelazione,vita che si spende per gli
altri. È – con parola moderna e spesso inflazionata perché resa innocua dalla
ripetizione non coinvolgente – testimonianza.
Oggi la vita consacrata – lo ha riconosciuto anche il
congresso – è minoranza emarginata dalle grandi visioni della cultura e della
società, è presenza sparuta nelle vicende e nelle strade della storia umana. Ma
i religiosi, appunto perché non intrallazzati e non partecipi di nessun potere
né di alcuni compromessi conseguenti che esigono il silenzio, possono e debbono
essere presenza critica: è l’audacia – conservando la propria identità e
libertà – di essere “disturbo” nella “società del silenzio” interessato o
complice, dell’aggiustamento astuto, della lottizzazione del potere, della
paura di essere additati alla gogna del ridicolo e del passatismo. Per il
religioso – come per ogni autentico cristiano – si presenta oggi la necessità
di dare scandalo: qui i “guai” di Cristo risuonano per chi non dà scandalo,
perché si dimentica di essere l’annunciatore e il testimone di Colui che ha già
sconvolto il mondo e il modo corrente e indolente di pensare, di essere il
portatore di valori forti che rendono continuamente contemporaneo il messaggio
del vangelo.
E la testimonianza – per sua natura – è visibilità nel
presente ed è segnalazione e indicazione di un futuro diverso che dalla
testimonianza di una visione alternativa può scaturire. Il travaglio presente
della vita consacrata, alla ricerca di un’identità tradizionale e nuova, di
senso di vita e di presenza, di ambiti rinnovati di missione, non blocca il
futuro, come ha rilevato il congresso, perché non porta a riavvolgersi su se
stessi, nella sensazione di impotenza, né riproietta nel passato, nella
percezione del tutto già “compiuto” e dell’ “irrealizzabile” nell’avvenire, atteggiamenti
che hanno il sapore del “leccarsi le ferite” e che rivelano mancanza di
speranza.
Piuttosto questo travaglio – se visto e vissuto
nell’audacia della fede – apre al futuro con rinnovato dinamismo, che assume il
presente – nella continuità con le ricchezze del passato – come humus per
fecondare l’avvenire. La vita religiosa – ci diceva già Vita consecrata 110 –
ha ancora “una grande storia da costruire”. Il religioso (il cristiano) sa che
la storia è un cammino verso una meta e un traguardo che stanno sempre oltre il
già raggiunto e che è storia di salvezza per l’uomo. In questa “insonnia della
storia” si inserisce, naturalmente, anche l’avventura terrena della vita
consacrata.
Ennio Bianchi