REGOLAZIONE AFFETTIVA E DINAMICHE INTERPERSONALI

IMPORTANZA DEI VISSUTI EMOTIVI

 

È molto importante prendersi cura della vita affettiva. Non bisogna infatti restare succubi dei propri stati emotivi, ma è necessario attivarsi in maniera propositiva e conforme alle esigenze della propria consacrazione. La comunità è il contesto specifico per la maturazione interpersonale, dove affinare il proprio modo di stare insieme.

 

Nella vita consacrata è importante che le persone si contengano nei loro comportamenti affettivi per riuscire ad adattarsi alle regole di convivenza che sono comunemente accettate all’interno del gruppo di appartenenza. Se un confratello alza la voce in una riunione, o se una consorella resta muta per una settimana, sono comportamenti che a volte sembrano uscire da certi canoni comunemente accettati nel contesto delle relazioni comunitarie. Non è possibile non comportarsi secondo le regole della propria comunità o della propria congregazione. Quindi una certa regolazione del proprio vissuto emotivo è necessaria quando le persone vivono nello stesso gruppo e hanno degli obiettivi da raggiungere insieme, come succede nella vita consacrata.

L’adattamento e la regolazione emotiva, però, perché possa contribuire alla crescita della comunità, occorre che sia congruente con il vissuto sperimentato dalle persone in interazione, occorre cioè che sia sentito e condiviso da loro. Diversamente rischia di essere un surrogato relazionale, un adattamento superficiale inteso a “far finta di” volersi bene, per cui le persone dicono di sopportarsi, di amarsi, di rispettarsi, ma solo per il quieto vivere e per evitare il peggio, attivando delle relazioni interpersonali strutturate secondo la logica di emozioni false e indifferenziate.

 

CRESCITA AFFETTIVA

A TUTTO CAMPO

 

Parlare di vissuto emotivo nella vita consacrata potrebbe sembrare fuori posto, o al massimo possibile solo nella misura in cui ci si riferisce alle cose belle che succedono in comunità: la condivisione della Parola, la gioia della comunione fraterna, la soddisfazione per la programmazione riuscita, ecc. È comunque vero che nei conventi o nelle comunità le persone spesso sperimentano vissuti emotivi molto forti, sia positivi che negativi, che però non sempre riescono a integrare nel processo di crescita interpersonale. Ci sono individui che sono eternamente soddisfatti del proprio lavoro o di un successo ottenuto con la propria attività (per esempio nel campo pastorale, o nel settore vocazionale), così come ci sono altri che si sentono debilitati quando le cose non vanno bene, quando non vengono apprezzati, o quando non riescono a comunicare quello che sentono. Insomma, dal punto di vista emotivo c’è spazio per tutti perché tutti provano emozioni, e ognuno partecipa – positivamente o negativamente – alle situazioni interpersonali in modo differenziato a seconda del proprio stato emotivo.

Il problema è di integrare tutto ciò nella crescita comune del gruppo. Intatti, cosa accade quando le persone soffrono per una offesa ricevuta? Oppure, cosa fare del risentimento emotivo quando qualcuno si sente giudicato dal proprio confratello? E che dire della tristezza che pervade tutto l’essere, quando si precipita nell’incubo della depressione? Non sono altrettante emozioni che coinvolgono l’individuo e lo guidano verso le uniche strategie di adattamento che gli sembrano possibili, anche se al momento non funzionali al suo benessere personale o interpersonale?

Nella nostra riflessione sull’importanza dei vissuti emotivi nella vita consacrata, partiamo dalla consapevolezza che le emozioni sono parte integrante della vita di ogni persona. Non si può vivere senza sentire, così come non si può vivere senza ragionare.

Già il documento Perfectae caritatis ci ricordava come sia importante prendersi cura della vita affettiva, senza trascurare alcun mezzo che giovi “alla sanità mentale e fisica” e senza dimenticare “che la castità si potrà custodire più sicuramente se i religiosi sapranno praticare un vero amore fraterno nella vita comune”.1 Ciò sta ad indicare che gli individui non devono semplicemente restare succubi dei propri stati emotivi, ma possono attivarsi in maniera propositiva per modulare il proprio vissuto emotivo perché sia congruente con l’ideale comune dell’amore verso Gesù Cristo. La comunità religiosa è il contesto specifico per questa maturazione interpersonale, di confronto e di scontro, di gioia e di dolore, di perdono e di amore, dove le persone possono continuamente allenarsi ad affinare il proprio modo di stare insieme per arrivare a sentire gli stessi sentimenti di Cristo.

 

REGOLAZIONE AFFETTIVA

E COMPORTAMENTO INTERPERSONALE

 

Se da una parte l’obiettivo che i consacrati e le consacrate hanno è quello di raggiungere una comunione vera che sia specchio della comunione trinitaria,2 dall’altra occorre menzionare che tale finalità sarà raggiunta integrando insieme da una parte le condizioni di ricchezza e di pienezza di vita che scaturiscono dalla propria vocazione di consacrazione a Cristo, e dall’altra le condizioni di debolezza umana che a volte emergono nei vissuti personali e interpersonali e che trovano riscontro nelle ripercussioni emotive di ciascuno.

Nella comunità è sempre possibile migliorare questo passaggio dalla condivisione reale dei vissuti di ognuno alla convivenza ideale fondata sul perdono e l’amore reciproco, ogniqualvolta le persone si coinvolgono per migliorare il proprio modo di relazionarsi, attraverso il riconoscimento dei diversi stati emotivi, per apprezzare le emozioni positive o per modificare ed equilibrare quelle negative.

Anzi, il documento La vita fraterna in comunità ci ricorda che “la situazione di imperfezione delle comunità non deve scoraggiare. Le comunità infatti riprendono quotidianamente il cammino, sorrette dall’insegnamento degli Apostoli: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10); “Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri” (Rm 12,16); “Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi” (Rm 15,7); “Correggetevi l’un l’altro” (Rm 15,14); “Rispettatevi gli uni gli altri” (1Cor 11,33); “Mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13); “Confortatevi a vicenda” (1Tess 5,11); “Sopportandovi a vicenda con amore” (Ef 4,2); “Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda” (Ef 4,32); “Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo” (Ef 5,21); “Pregate gli uni per gli altri” (Gc 5,16); “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri” (1Pt 5,5); “Siamo in comunione gli uni con gli altri” (1Gv 1,7); “Non stanchiamoci di fare il bene a tutti, soprattutto ai nostri fratelli nella fede” (Gal 6,9-10)”.3

Per vivere in modo autentico tale sequenza di emozioni secondo lo stile del Vangelo, lo stesso documento offre delle indicazioni su come educare progressivamente la sfera emotiva. «Per favorire la comunione degli spiriti e dei cuori di coloro che sono chiamati a vivere assieme in una comunità sembra utile richiamare la necessità di coltivare le qualità richieste in tutte le relazioni umane: educazione, gentilezza, sincerità, controllo di sé, delicatezza, senso dell’umorismo e spirito di condivisione».4

Questo processo di maturazione emotiva nella comunione fraterna, vissuta al prezzo della riconciliazione reciproca, non è qualcosa che si ottiene magicamente ma è piuttosto un lavoro che impegna le persone a costruire quotidianamente relazioni veritiere in un contesto di apprendimento reciproco, dove ognuno si sente coinvolto e impara a vivere gli stessi sentimenti di Cristo, regolando in modo adeguato il proprio mondo affettivo, consapevole che tale processo di adattamento costruttivo dura tutta la vita, poiché «la persona consacrata non potrà mai ritenere di aver completato la gestazione di quell’uomo nuovo che sperimenta dentro di sé, in ogni circostanza della vita, gli stessi sentimenti di Cristo».5

 

RICONOSCERE

LE EMOZIONI

 

Sappiamo che le emozioni servono a dirigere le persone, a motivarle, a dare orientamento al comportamento.6 Esse hanno un riscontro fisiologico in quanto investono le funzioni vegetative dell’individuo, come la circolazione, la respirazione, la digestione, le stesse funzioni motorie. Basti pensare a un momento di intensa gioia, in cui la persona si sente coinvolta e gusta fisiologicamente l’evento che le dà gioia. Lo stesso accade quando si vivono intensi sentimenti negativi: la paura, la tristezza, la rabbia, passano attraverso il corpo che ne riflette l’intensità attraverso le diverse funzioni sensoriali e con diversi disturbi fisici. “Quando devo affrontare il consiglio di comunità dove le altre mettono in discussione il programma che io propongo, sento le emozioni passare attraverso lo stomaco”, commentava una responsabile di comunità impegnata a redigere l’ordine del giorno della prossima riunione comunitaria.

Tale riscontro fisiologico può arrivare a vere e proprie reazioni viscerali, con una perdita momentanea del controllo neurovegetativo e con la conseguente difficoltà a prendere sane distanze dall’evento emotivo. Le reazioni possono essere espresse in maniera diretta, per esempio attraverso la mimica facciale, gli atteggiamenti del corpo, il modo di comunicare con l’altro. Oppure possono essere di tipo più psicologico, con un riduzione del controllo di sé, con una più esplicita difficoltà ad articolare in maniera logica le azioni o le riflessioni sul vissuto emotivo, con una ridefinizione del proprio stile comportamentale.7

Inoltre, se è oramai accertato che la vita emotiva incide sul proprio stile personale e sulla fisiologia delle proprie reazioni, essa segna in maniera significativa anche il proprio modo di stare con gli altri. Anche in questo caso si tratta di una progressiva crescita per apprendere ad amare nel contesto interpersonale della comunità religiosa secondo lo stile di Gesù. Il documento La vita fraterna in comunità lo ricorda ancora una volta in modo chiaro quando sottolinea che la gioia relazionale non ci fa dimenticare né tanto meno fuggire dalla monotonia delle faccende quotidiane, soprattutto quando le persone perdono il gusto nel fare le cose e stentano a riscoprire il senso del loro stare insieme, se non è centrato su sentimenti autentici di accoglienza e di rispetto reciproco.8

«Una fraternità senza gioia è una fraternità che si spegne. Ben presto i membri saranno tentati di cercare altrove ciò che non possono trovare a casa loro. Una fraternità ricca di gioia è un vero dono dell’Alto ai fratelli che sanno chiederlo e che sanno accettarsi impegnandosi nella vita fraterna con fiducia nell’azione dello Spirito. Si realizzano così le parole del salmo: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme... Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre” (Sl. 133, 1-3), “perché quando vivono insieme fraternamente, si riuniscono nell’assemblea della Chiesa, si sentono concordi nella carità e in un solo volere”. Tale testimonianza di gioia costituisce una grandissima attrazione verso la vita religiosa, una fonte di nuove vocazioni e un sostegno alla perseveranza. È molto importante coltivare questa gioia nella comunità religiosa: il superlavoro la può spegnere, lo zelo eccessivo per alcune cause la può far dimenticare, il continuo interrogarsi sulla propria identità e sul proprio futuro la può annebbiare».9

Ciò significa che attraverso una regolazione adeguata del proprio mondo affettivo le persone cambiano il proprio modo di sentire e crescono verso la pienezza dei sentimenti di Cristo. Per esempio, sperimentano che è possibile comunicare ciò che sentono dentro, quando c’è un clima di fiducia e di apprezzamento reciproco, oppure possono rinchiudersi nel silenzio e nella solitudine quando il contesto relazionale non facilita l’apertura di sé, o quando la propria sensibilità psicologica è ferita dall’incontro con gli altri. Così come possono pure correggersi reciprocamente per promuovere il cammino comune della ricerca delle “cose di Cristo”.10

A questo proposito, proprio per essere più specifici nel significato maturante della regolazione affettiva, è importante ribadire la valenza relazionale della sensibilità emotiva. “Sono troppo sensibile a quello che le altre mi dicono”, osservava una superiora impegnata a capire perché le sue attenzioni non fossero apprezzate dalle consorelle della sua comunità. Da una parte la sua sensibilità le permetteva di essere attenta alle situazioni delle altre, e il più delle volte ciò funzionava bene perché diventava l’occasione per sostenere chi era in difficoltà, o per gioire con chi aveva motivo per farlo. Dall’altra, però, non si accorgeva che a volte questa sua sensibilità diventava un’occasione per invadere il territorio emotivo dell’altra e le impediva relazioni emotive rispettose e costruttive. “Non capiscono che lo faccio per il loro bene, e ogni volta che qualcuna mi risponde in modo stizzoso, ci rimango male, perché sono troppo sensibile a queste situazioni, mi feriscono dentro”. Entrare nel mondo dell’altro attraverso il proprio vissuto emotivo diventa un ostacolo alla relazione se la persona non differenzia le proprie emozioni da quelle che l’altro vive, per accorgersi di come il mondo affettivo condiziona il proprio modo di stare con gli altri.

Quando invece il vissuto emotivo diviene un’occasione per aprire gli occhi della mente e del cuore su quanto accade nella relazione, le persone hanno la possibilità di affinare il loro contatto emotivo, e crescono insieme verso obiettivi condivisi perché ne riscoprono il gusto e la profondità. «La consapevolezza della continuità tra noi e il mondo esterno, tra la nostra realtà caratteriale e la realtà relazionale, porta a vedere le emozioni non come una cosa dannosa ma come una continua espressione del nostro essere-in-relazione».11

 

PROSPETTIVA PEDAGOGICA

DEGLI SCAMBI EMOTIVI

 

Il vissuto emotivo può essere una ricchezza che promuove la crescita, così come può anche essere un’occasione per bloccarsi e rinchiudersi in se stessi. Molte volte l’alternativa tra l’una o l’altra delle possibilità dipende dalle situazioni psicologiche che ogni individuo vive dentro di sé, dalla struttura della propria personalità, dai suoi bisogni, dalle sue fragilità caratteriali. Ma tutto questo è imperniato nella sua storia relazionale, sia quella attuale che quella passata. Lungo il continuum di relazioni intessute e integrate nella struttura della propria psiche, la persona regola le proprie emozioni armonizzandole nella prospettiva della maturazione della propria identità psicologica.

«La piattaforma relazionale necessita e si nutre del continuo e concreto contatto tra le persone, dove si può imparare a sentire e sperimentare il proprio vissuto emotivo con gli altri. Contattare l’ambiente delle relazioni con questo senso di attenzione e di gratitudine per i doni dell’altro ci previene dal rischio di fuggire dalle relazioni e dai contatti quotidiani, e amplifica in ogni persona la capacità di differenziare gli stati emotivi che viviamo, per identificare quando ci sentiamo a nostro agio (e rafforzarne i comportamenti relativi), oppure per decidere di cambiare quando ci sentiamo a disagio per eventuali situazioni relazionali difficili».12

Ciò significa che le persone in relazione possono fare tesoro del vissuto emotivo, positivo o negativo che sia, per esplorare nuovi modi di stare insieme che siano maggiormente costruttivi per gli obiettivi che si propongono nel loro stile di vita comunitaria. La comunità religiosa, in quanto centrata sulla testimonianza di Gesù Cristo, ha l’obiettivo di rispecchiarne i sentimenti di pace e di gioia, che sono i segni visibili dei valori del regno. «Non bisogna dimenticare infine che la pace e il gusto di stare insieme restano uno dei segni del regno di Dio. La gioia di vivere pur in mezzo alle difficoltà del cammino umano e spirituale e alle noie quotidiane, fa parte già del Regno. Questa gioia è frutto dello Spirito e abbraccia la semplicità dell’esistenza e il tessuto monotono del quotidiano».13 In questo modo, esse si impegnano a constatare che alcune modalità di stare insieme, se centrate su uno stile autentico di vivere le emozioni, le aiuta a progredire verso un benessere relazionale dove anche i vissuti disfunzionali possono essere occasione di crescita e di correzione reciproca. Al contrario, quando le emozioni sono utilizzate per manipolare l’altro e la relazione, esse pongono le basi per contesti relazionali di malessere, di sfiducia, di gelosia, di rabbia sottesa, di aggressività passiva, tutte emozioni che bloccano la crescita verso gli obiettivi comuni e, ciò che è peggio, amplificano vissuti psicologici disfunzionali in quei soggetti che ne sono particolarmente sensibili.

Se da una parte questo impegna quanti vivono nei gruppi comunitari a una maggiore attenzione reciproca affinché i comportamenti emotivi possano essere autentici, dall’altra sollecita ciascuno a saper cercare attivamente quei comportamenti che permettono di tradurre con i fatti le parole del salmo 133: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme... Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre”.

 

 Giuseppe Crea

 

1 Perfectae Caritatis 12.

2 Ripartire da Cristo 29.

3 La vita fraterna in comunità 26

4 Ibidem 27.

5 Vita consecrata 69.

6 Nàbràddy M. (2005), Emotion theories and Transactional Analysis emotion theory: a comparison, in Transactional Analysis Journal, 35, p. 74.

7 Galimberti U. (1992), Emozione, in: Idem, Dizionario di psicologia, UTET, Torino, p. 332.

8 La vita fraterna in comunità 28.

9 Ibidem.

10 Ibidem 39.

11 Crea G., Gli altri e la formazione di sé, Dehoniane Bologna, p. 152.

12 Ibidem.

13 La vita fraterna in comunità 28.